Welfare Aziendale

Tanti servizi su misura adatti a tutti gli stili di vita dei dipendenti. Salute, famiglia, previdenza , trasporto, tempo libero e acquisti.

formazione e welfare aziendale
Agosto 19, 2020
Welfare Aziendale

Formazione dei dipendenti e welfare aziendale

Un programma di formazione ben costruito è un valore aggiunto sia per il dipendente, sia per l’azienda. Ecco perché la formazione dei dipendenti può essere considerata parte integrante del welfare aziendale. Tra le misure che le aziende inseriscono sempre più di frequente nel proprio piano di welfare aziendale c’è la formazione dei dipendenti. Questo perché essa costituisce un’importante opportunità di crescita non solo per i lavoratori, ma anche per le stesse imprese. Scopri tutto quello che c’è da sapere sulla formazione come misura di welfare aziendale e sulle persone che hanno diritto ad usufruirne.   Perché la formazione è considerata “welfare aziendale”? Chi sono i lavoratori che possono usufruirne? Come possono beneficiarne i lavoratori? Quali sono i benefici della formazione aziendale per le imprese? Normativa in materia di formazione e welfare aziendale Le proposte di corsi di formazione Day   Perché la formazione è considerata “welfare aziendale”? Il welfare aziendale ha tra i suoi scopi principali la soddisfazione dei lavoratori, il miglioramento del clima interno e l’aumento del benessere generale. Tra i benefit che più spesso vengono offerti ai dipendenti ci sono non solo i servizi di istruzione per i loro familiari, ma anche corsi di formazione destinati agli stessi lavoratori. Che non sono solo i corsi di formazione obbligatoria che le imprese sono tenute a organizzare per adeguarsi alle normative. In questo caso si tratta anche di quei corsi definiti di formazione volontaria, talvolta regolamentati dai contratti nazionali di categoria (come il CCNL metalmeccanici), che permettono al lavoratore di accrescere il proprio know-how e intraprendere un percorso di crescita personale e professionale. Insomma, uno strumento che può davvero risultare utile per un lavoratore perché può trasferire le competenze acquisite nel lavoro; e che, inoltre, gli offre un concreto accrescimento sia sotto il profilo culturale, sia nell’ambito personale, e incide favorevolmente sul clima interno e sulle performance dell’azienda. La formazione dei collaboratori rappresenta infatti un valore aggiunto non solo per loro stessi, ma anche per i datori di lavoro. Per questo essa può essere considerata in tutto e per tutto una misura di welfare aziendale, assoggettata agli stessi obblighi e agevolazioni delle altre misure di welfare previste dalla legge.   Chi sono i lavoratori che possono usufruirne? Potenzialmente, tutti i lavoratori di un’impresa possono usufruire della formazione aziendale e godere dei benefici che comporta. Secondo il comma 2 dell’articolo 51 del TUIR, le misure di welfare aziendale devono essere erogate alla totalità dei dipendenti o a categorie omogenee di lavoratori, come dirigenti o operai appartenenti ad un intero settore. Perciò, quando un’impresa decide di offrire ai propri dipendenti un percorso di formazione aziendale, può scegliere come destinatari tutti i suoi collaboratori oppure una categoria di lavoratori. Nel secondo caso, i criteri di selezione delle categorie di lavoratori possono essere diversi, a seconda delle esigenze dell’azienda e dei collaboratori destinatari della formazione aziendale. Tali criteri possono comprendere: dipendenti che hanno in comune la stessa sede di lavoro o lo stesso ufficio; lavoratori con lo stesso livello salariale; lavoratori con lo stesso livello contrattuale; dipendenti che hanno uguali esigenze personali, sociali e organizzative.   Come possono beneficiarne i lavoratori? I benefici per i lavoratori destinatari della formazione aziendale sono numerosi e vanno dall’accrescimento delle competenze all’aumento della felicità e del benessere personale. In particolare, la partecipazione a un corso di formazione può aiutare le persone a migliorare le proprie hard skills, cioè quelle competenze tecniche connesse alla propria occupazione e al business della propria azienda; o le soft skills, cioè quelle competenze che non sono strettamente legate al business aziendale ma fanno parte del bagaglio di conoscenze del soggetto. Acquisire nuove competenze e mantenersi aggiornati in merito alle novità del proprio settore, inoltre, rende i lavoratori più felici e motivati, migliora la loro capacità di problem solving e di comunicazione. A beneficiare della formazione aziendale non sono solo i singoli lavoratori, ma anche coloro che fanno parte di un team. Grazie alle conoscenze acquisite, le persone che lavorano in squadra riescono a migliorare la comunicazione tra di loro, a gestire le proprie priorità, a smussare i conflitti e gestire i cambiamenti.   Quali sono i benefici della formazione aziendale per le imprese? La formazione aziendale non comporta importanti benefici solo per i lavoratori a cui è destinata, ma anche per le aziende che la erogano. Tra i principali vantaggi dell’offrire di un’attività formativa ai dipendenti ci sono: raggiungimento degli obiettivi di crescita; incremento della competitività. La formazione consente ai dipendenti, e di conseguenza all’azienda, di tenersi al passo con le ultime novità di settore e rimanere sempre competitiva; innovazione; miglioramento della scolarizzazione delle fasce di dipendenti che hanno maggiori rischi occupazionali; aumento della produttività. Il miglioramento delle competenze dei lavoratori e delle loro performance contribuisce ad aumentare la produttività dell’azienda; aumento dell’engagement e fidelizzazione dei dipendenti. Il fatto che un’impresa investa nella formazione dei propri collaboratori dimostra che considera le proprie risorse umane fondamentali per la sua crescita, le fa sentire più coinvolte e aumenta la loro fedeltà e il loro coinvolgimento nelle sue sorti; diminuzione del turnover. I dipendenti che partecipano a dei corsi di formazione aziendale si sentono parte di un ambiente di lavoro più stimolante e non si sentono immobili e con poche prospettive. Ciò fa sì che evitino di abbandonare il proprio posto di lavoro per un impiego che ritengono più stimolante. La formazione come benefit La formazione del lavoratore può rappresentare un valore aggiunto per l’azienda anche quando questa avviene all’esterno e non è direttamente organizzata dalla stessa. Per agevolare la scolarizzazione e il rafforzamento delle competenze dei dipendenti che scelgono di intraprendere un percorso di studio, le aziende possono mettere a loro disposizione dei voucher welfare, che possano spendere per l’acquisto di libri o per il pagamento di tasse e costi d’iscrizione. In alcuni casi è proprio il CCNL di riferimento a stabilire che, nel caso in cui l’azienda non organizzi corsi che promuovano la crescita lavorativa e personale del dipendente, essa sia tenuta ad erogargli una somma in denaro che gli consenta di iscriversi a dei corsi sia di formazione professionale, sia relativi ad altre tematiche, organizzati da soggetti esterni. Tale somma può essere convertita, appunto, in voucher welfare, che sono esenti da tassazione fino al valore di 258,23 euro. Normativa in materia di formazione e welfare aziendale La normativa in materia di formazione e welfare aziendale è costituita dal TUIR, il Testo Unico sulle Imposte sui Redditi: tale decreto, nell’esplicitare quali siano le somme e i servizi che costituiscono il reddito da lavoro dipendente, elenca anche in maniera esaustiva quali siano i beni e i servizi di welfare aziendale, in quanto sono proprio tali beni e servizi ad usufruire di una tassazione agevolata e ad essere quindi esclusi dalla formazione del reddito. Normalmente, l’articolo di riferimento per stabilire quali siano le misure di welfare aziendale è l’articolo 51, intitolato “Determinazione del reddito da lavoro dipendente”, che al comma 2 esplicita quali siano le misure di welfare aziendale che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente. Scorrendo la lista, che comprende assicurazioni sanitarie, previdenza complementare, assistenza agli anziani e ai parenti non autosufficienti, spese per i mezzi di trasporto e servizi legati all’istruzione dei familiari, come rimborso di rette scolastiche e acquisto di libri, non si trova traccia della formazione dei dipendenti. Ciò potrebbe far pensare che, non essendo compresa in questo articolo, essa sia quindi esclusa dalle misure di welfare che beneficiano di agevolazioni fiscali. In realtà, pur non essendo esplicitata nelle misure di welfare escluse dalla formazione del reddito previste dal secondo comma dell’articolo 51, la formazione dei dipendenti vi rientra a pieno titolo. Sempre il comma 2, alla lettera f, stabilisce infatti che non concorre a formare il reddito l’uso di opere e servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, purché offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari, per le finalità di cui al comma 1 dell'articolo 100. Il comma 1 dell’articolo 100 stabilisce quali siano le somme deducibili dalle tasse per le aziende e specifica che tra di esse rientrano le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto. Quindi, leggendo gli articoli del TUIR relativi alla formazione del reddito da lavoro dipendente e alla deducibilità delle spese sostenute dall’impresa, si può affermare che, secondo la normativa, la formazione offerta volontariamente ai dipendenti sia una misura di welfare aziendale, soggetta ad agevolazioni fiscali sia per il dipendente, sia per il datore di lavoro.   Le proposte di corsi di formazione Day Day mette a disposizione delle aziende sue clienti e dei loro dipendenti una piattaforma per il welfare aziendale che comprende decine di servizi, che vanno dai voucher welfare allo shopping e comprendono anche dei servizi di formazione. In particolare, grazie alla partnership con HRD, la società fondata da Roberto Re, fanno parte dei servizi di welfare offerti dalla piattaforma Day i seminari che si occupano di crescita personale, in particolare quelli incentrati sulla gestione delle emozioni, sulla leadership, sull’orientamento ai risultati.
Chi ha diritto al welfare aziendale?
Agosto 11, 2020
Welfare Aziendale

Chi ha diritto al welfare aziendale?

Il welfare aziendale si rivolge ai lavoratori dipendenti del settore privato con misure volte a migliorarne la qualità della vita. Scopri nel dettaglio chi sono i destinatari di queste misure.   Lo strumento del welfare aziendale è impiegato da un numero sempre crescente di aziende per offrire un sostegno al reddito dei lavoratori e soddisfarne i bisogni, così da migliorare la conciliazione vita-lavoro. Per loro natura, le misure di welfare aziendale non possono essere erogate ad personam ma devono essere rivolte a una pluralità di soggetti. In questo articolo ti spiegheremo chi ha diritto al welfare aziendale e perché. Ogni azienda ha un piano di welfare aziendale? Chi beneficia del piano di welfare? I vantaggi per i lavoratori Il datore di lavoro può fare più piani di welfare differenti tra loro? Ogni azienda ha un piano di welfare aziendale? Sono sempre di più le aziende italiane, anche tra le PMI, che riconoscono il valore del welfare aziendale e decidono di offrire ai propri dipendenti benefit e incentivi di vario tipo. Anche grazie all’introduzione del Jobs Act, che si è posto come obiettivo l’introduzione di sistemi di welfare aziendale sempre più dinamici e innovativi. Spesso, sono gli stessi contratti collettivi di categoria che impongono alle imprese di mettere a disposizione dei propri dipendenti misure di welfare aziendale di vario tipo. Altre volte, sono le aziende che decidono di offrirle autonomamente ai lavoratori. Tuttavia, ciò non significa che tutte queste imprese abbiano attuato un piano di welfare aziendale. Sono molti i casi in cui le misure vengono erogate senza essere comprese in uno schema ben definito. Quando il welfare aziendale è obbligatorio La sempre crescente attenzione nei confronti del welfare aziendale e dei suoi numerosi vantaggi per aziende e dipendenti ha fatto sì che sempre più categorie ne riconoscessero l’utilità. Così, negli ultimi anni, è accaduto sempre più spesso che, in occasione del rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro di diversi settori siano state incluse al loro interno una serie di iniziative per migliorare la qualità della vita dei dipendenti. I primi a inserire l’obbligatorietà delle misure di welfare nel loro contratto collettivo sono stati i metalmeccanici, seguiti poi da altri settori, tra cui le telecomunicazioni, gli orafi e argentieri, gli operatori di telefonia, il turismo e la ristorazione. Secondo quanto stabilito da questi contratti, il contributo non può essere monetizzato, cioè non può essere inserito nella busta paga del dipendente o convertito in denaro, ma deve essere finalizzato all’erogazione di beni e servizi che rientrino tra le misure di welfare aziendale. I vantaggi di un piano di welfare aziendale Perché le misure di welfare offerte ai dipendenti risultino davvero efficaci e riscuotano il consenso delle persone a cui sono rivolte, è bene che vengano inserite all’interno di un piano di welfare aziendale. Nel piano di welfare, infatti, sono indicati: le categorie di dipendenti che hanno diritto a beneficiare dei beni e dei servizi offerti; quali beni e servizi siano i più adatti ad essere erogati ai lavoratori; le modalità in cui deve avvenire l’erogazione delle misure di welfare; i criteri di valutazione per capire se il piano stia o meno funzionando. Il piano di welfare aziendale, perciò, offre alle imprese diversi benefici: consente di individuare le misure di welfare già presenti in azienda e di valorizzarle; permette di strutturare l’offerta di beni e servizi di welfare in modo da renderla davvero conveniente sia per l’impresa, sia per i lavoratori; consente di monitorare la soddisfazione dei dipendenti nei confronti dei servizi di welfare erogati. Le soluzioni di welfare Day per aziende e dipendenti Le aziende che trovano difficile gestire il proprio piano di welfare possono affidarsi ad una società come Day, che ha sviluppato la piattaforma Day welfare. Un servizio strutturato e completo, che permette di comporre le tipologie di benefit in base alle esigenze aziendali, così da garantire la soddisfazione dei dipendenti, stilare il regolamento che ne regola la fruizione e offrire un supporto continuo agli HR manager. Chi beneficia del piano di welfare? La fruizione dei piani di welfare aziendale è riservata ai lavoratori dipendenti delle aziende private, ma può essere estesa anche ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti che hanno un rapporto di lavoro continuativo con le stesse (ad esempio i professionisti che hanno un contratto co.co.co.). I beni e servizi che ne fanno parte, per essere considerati parte del welfare aziendale e godere delle agevolazioni fiscali, non possono essere erogati ad personam ma devono essere rivolti alla generalità di dipendenti o a categorie omogenee di lavoratori, come indicato dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi all’articolo 51. I beni e servizi erogati ad personam dall’azienda al dipendente, infatti, non godono di tassazione agevolata in quanto sono considerati parte integrante della retribuzione. Con categorie omogenee di dipendenti non si intende solo la distinzione più classica tra dirigenti, operai o lavoratori che appartengono a determinati reparti. Tra le categorie omogenee di lavoratori che possono venire individuate dai datori di lavoro per l’erogazione del welfare aziendale, ci sono, ad esempio: dipendenti con lo stesso livello contrattuale (V, IV, III, II livello e così via); dipendenti che appartengono a una stessa sede aziendale, allo stesso ufficio o allo stesso settore; dipendenti con figli; dipendenti che appartengono a una determinata fascia di reddito; dipendenti che decidono di convertire in welfare aziendale il proprio premio di risultato. I lavoratori non sono gli unici beneficiari delle misure di welfare aziendale erogate dalle aziende. La legge prevede anche l’estensione della fruizione di determinate agevolazioni ai loro familiari. Anche in questo caso, è il TUIR, all’articolo 12, a indicare chi sono i familiari che hanno diritto ad avere accesso ai beni e servizi offerti nell’ambito del piano di welfare. Si tratta di: i coniugi non legalmente ed effettivamente separati; i figli, compresi i figli naturali riconosciuti e i figli legalmente adottati o in affido; i genitori, compresi i genitori adottanti; i generi e le nuore; il suocero e la suocera; i fratelli e le sorelle.   I vantaggi per i lavoratori Grazie al welfare aziendale i lavoratori hanno accesso a una serie di agevolazioni sia lavorative che personali, come ad esempio l’orario di lavoro flessibile o la possibilità di ottenere beni e servizi per sé e per i familiari, che favoriscono la conciliazione vita-lavoro, riducono il livello di stress e aumentano il benessere di chi le riceve. I servizi di welfare, inoltre, possono essere totalmente o parzialmente detassati, sia dal punto di vista contributivo, sia dal punto di vista retributivo, cosa che aumenta il potere d’acquisto del beneficiario.   Il datore di lavoro può fare più piani di welfare differenti tra loro? La risposta a questa domanda è no, per un’azienda non è possibile sviluppare più piani di welfare in contemporanea. La natura stessa del piano di welfare non rende necessario, per le aziende, svilupparne più di uno in contemporanea, in quanto ogni piano può comprendere una pluralità di misure di welfare, anche molto diverse tra loro, e venire integrato all’occorrenza. Dopo aver individuato le categorie di lavoratori alle quali destinare il welfare aziendale, il datore di lavoro decide quali siano le misure di welfare da inserire all’interno del piano. Tali misure possono riguardare la sfera lavorativa del lavoratore, oppure quella familiare. Ad esempio, possono riguardare la sanità, l’istruzione, la formazione personale del dipendente, la previdenza complementare, il tempo libero, i trasporti pubblici. I beni e servizi compresi nei piani di welfare aziendale possono avere natura accessoria (fringe benefits) o complementare alla retribuzione (flexible benefits), come auto aziendale, voucher welfare, pensione complementare, assicurazione sanitaria, rimborso delle spese per l’istruzione dei figli (ad esempio la retta dell’asilo), assistenza per i parenti non autosufficienti, e così via. Sarà poi il lavoratore a scegliere quale delle misure sia più adatta alle sue necessità e ai suoi scopi. Non c’è, invece, nessuna legge che vieti alle aziende di strutturare un piano di welfare limitandolo a determinate categorie di beni e servizi. In alcuni casi, le aziende, specialmente quelle di grandi dimensioni, creano piattaforme complesse e articolate, che toccano tutte le aree del welfare. In altri, dopo aver studiato le necessità e le preferenze dei propri dipendenti, le imprese decidono di creare un piano di welfare che si concentri solo su un’area specifica. Anche se non è possibile, e utile, per un’azienda, sviluppare più piani di welfare in contemporanea, può accadere che le aziende sviluppino più piani di welfare in successione. Per sua natura, infatti, il piano di welfare aziendale è uno strumento dinamico, che, per essere sempre attuale ed efficiente, ha bisogno di rinnovarsi periodicamente. I piani di welfare possono avere una durata variabile, cioè avere scadenza annuale, biennale o triennale. Una volta giunti a scadenza, devono essere rinnovati. Se un’impresa, misurando l’efficacia del proprio piano di welfare, si rende conto che le misure adottate non hanno più la stessa efficacia di quando è stato sviluppato o sono diventate obsolete, può decidere di svilupparne uno nuovo, partendo dai dati già in suo possesso o raccogliendone di nuovi.
Auto aziendale ad uso promiscuo
Luglio 27, 2020
Welfare Aziendale

L’auto aziendale ad uso promiscuo

Tra le agevolazioni concesse più spesso dalle imprese ai propri dipendenti nell’ambito dell’applicazione delle politiche di welfare aziendale c’è l’auto aziendale ad uso promiscuo. Ecco tutto quello che devi sapere su questo tipo di benefit.   La concessione dell’auto aziendale ad uso promiscuo ai lavoratori dipendenti e ai professionisti è considerata una remunerazione in natura, soggetta a tassazione agevolata. Scopri quali sono i requisiti perché l’auto aziendale sia considerata ad uso promiscuo e come funzionano l’utilizzo e la tassazione di questo tipo di benefit.   Cosa significa auto ad uso promiscuo? Come funziona? La tassazione dell’auto ad uso promiscuo Chi può usufruire dell’auto a uso promiscuo? Auto ad uso promiscuo: chi paga la benzina? Auto ad uso promiscuo e buoni carburante Auto aziendale ad uso promiscuo e maternità   Cosa significa auto ad uso promiscuo? Prima di vedere come funziona questo benefit, cerchiamo di capire cosa significa “auto ad uso promiscuo” e cosa la differenzia dall’auto ad uso aziendale e dall’auto ad uso esclusivamente privato. Ognuna di queste tre modalità di fruizione dell’auto aziendale, infatti, comporta obblighi e agevolazioni diverse sia per il lavoratore, sia per il datore di lavoro. Iniziamo dalla definizione che ci riguarda più da vicino: quella di auto ad uso promiscuo. Con questo termine si intende l’utilizzo dell’auto aziendale da parte del dipendente sia per esigenze lavorative, sia per esigenze personali, quindi anche al di fuori dell’orario lavorativo (ad esempio il sabato e la domenica o nei giorni di vacanza), senza che quest’ultimo debba sostenere i costi di acquisto o di gestione. Quando l’auto è ad uso aziendale, invece, il dipendente può usarla solo ed esclusivamente in ambito lavorativo e non durante il tempo libero. Quello dell’auto ad uso personale è un caso piuttosto raro, che prevede la fruizione a titolo esclusivamente privato di un’auto fornita dall’azienda al dipendente. A seconda del caso, il benefit erogato dall’azienda comporta anche diverse modalità di tassazione.   Come funziona? L’auto aziendale ad uso promiscuo è il caso più tipico, per quanto riguarda l’erogazione di questo tipo di fringe benefit. Il suo funzionamento segue delle regole ben precise, contenute nel contratto individuale stipulato tra l’azienda e il dipendente che ne usufruisce. Le aziende che intendono offrire l’uso dell’auto aziendale come benefit ai propri dipendenti stipulano un contratto di noleggio a lungo termine o di leasing con un concessionario per ottenere le autovetture da fornire ai lavoratori. In seguito, viene stipulato un altro contratto, tra l’azienda e il dipendente, per regolamentare i termini di utilizzo del mezzo. Tale concessione può avvenire sia in sede di assunzione, sia quando il rapporto di lavoro è già in essere: in entrambi i casi, essa viene regolamentata dal contratto individuale stipulato tra il dipendente e il datore di lavoro. Nel contratto di assegnazione si possono trovare, tra le altre, tutte, o alcune, di queste voci: l’indicazione che l’auto è data in concessione al dipendente sia per lo svolgimento delle sue mansioni durante l’orario di lavoro, sia per uso personale; se altre persone, oltre al dipendente, hanno diritto ad usare l’auto; a quali obblighi deve sottostare l’utilizzatore dell’auto (ad esempio, il rispetto delle norme del Codice della Strada o l’obbligo di occuparsi della manutenzione o revisione del veicolo); se il dipendente debba o meno versare una quota all’azienda per l’uso del veicolo.   La tassazione dell’auto ad uso promiscuo L’auto ad uso promiscuo, essendo un fringe benefit, cioè una prestazione in natura concessa al lavoratore in aggiunta al compenso ordinario, è esclusa solo parzialmente dalla tassazione. Per calcolare in maniera esatta la quota di benefit che andrà a comporre il reddito imponibile, che sarà quindi assoggettata sia all’IRPEF, sia all’imposizione contributiva, si usano come riferimento le tabelle ACI, che vengono aggiornate ogni anno, in concomitanza con l’emissione della nuova legge di bilancio. Questo perché, per la tassazione di questa determinata tipologia di fringe benefit, si fa valere il valore convenzionale del bene (cioè un importo forfettario), e non quello definito normale. Nel caso specifico, il valore del bene assoggettato a tassazione è pari al 30% dell’importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15.000 km annui, calcolato sulla base del costo chilometrico indicato nelle tabelle. Per eseguire il calcolo corretto della percentuale che verrà inserita in busta paga, il datore di lavoro dovrà ripartire l’importo previsto dalle tabelle ACI sul numero di giorni in cui al dipendente è concesso l’uso del veicolo. Facciamo un esempio pratico. Al lavoratore viene concessa in uso promiscuo una Jeep Renegade 1300 T4 da 150 cavalli. Il costo chilometrico convenzionale di questa vettura, nelle tabelle ACI in vigore per il 2020, è di 0,5338 euro che, moltiplicato per 15.000, dà un totale di 8.007 euro. Di questi, il 30 %, cioè 2.402,01 euro, finiranno nella busta paga del lavoratore. Supponiamo che il dipendente abbia in uso l’auto per 25 giorni al mese: in busta paga, ogni mese, verrà indicato un importo di 200,16 euro, che sarà soggetto al pagamento di IRPEF e contributi. In alcuni casi, al dipendente viene richiesto dal datore di lavoro il pagamento di un indennizzo per l’uso privato dell’auto fornita in dotazione dall’azienda: in questo caso, il costo dell’indennizzo viene sottratto dal valore convenzionale indicato in busta paga. Se, ad esempio, al lavoratore venisse richiesto il pagamento di un indennizzo di 50 euro al mese, l’importo che figura in busta paga non sarebbe più di 200,16 euro, ma di 150,16 euro. Dal mese di luglio 2020, la quota di valore convenzionale da attribuire al lavoratore in busta paga diminuisce al 25% se gli viene assegnata un’auto poco inquinante. Se, invece, il veicolo è considerato altamente inquinante, l’importo che viene indicato in busta paga può andare dal 30 al 50 per cento del valore convenzionale.   Chi può usufruire dell’auto ad uso promiscuo? In teoria, possono usufruire dell’auto ad uso promiscuo sia il dipendente, sia i suoi familiari, purché i loro nomi siano inseriti nell’assicurazione stipulata dall’azienda. Non tutte le imprese, però, concedono questa possibilità al lavoratore. Solitamente, nel contratto di assegnazione, è specificato se il suo uso è riservato solamente al lavoratore oppure se è esteso anche ai familiari.   Auto ad uso promiscuo: chi paga la benzina? Il pagamento dei costi sostenuti per il carburante dell’auto aziendale ad uso promiscuo spetta in parte al dipendente, in parte al datore di lavoro. Quando il lavoratore utilizza l’auto aziendale per lavoro, ha diritto ad ottenere un rimborso delle spese sostenute per l’acquisto del carburante. Rimborso che, tuttavia, non viene erogato in base alle ricevute che certificano la spesa sostenuta dal dipendente. Anche in questo caso, vengono in soccorso di aziende e lavoratori le tabelle ACI, questa volta relative ai costi chilometrici. Queste tabelle sono quelle che i datori di lavoro utilizzano per calcolare la quota convenzionale che costituirà il rimborso del carburante che spetta al dipendente a cui è assegnata l’auto.   Auto ad uso promiscuo e buoni carburante Anche nel caso in cui il lavoratore utilizzi l’auto per questioni personali, e quindi non abbia diritto ad ottenere un rimborso del carburante acquistato, può comunque ammortizzare il costo del carburante se, tra i fringe benefit che gli vengono concessi, ci sono anche i buoni carburante. I dipendenti che ricevono dall’azienda i buoni carburante, infatti, possono utilizzarli anche per pagare il rifornimento dell’auto aziendale. Chi utilizza i voucher Cadhoc di Day, inoltre ha la possibilità di convertirli in buoni carburante seguendo una semplice procedura online. Dopo averli convertiti, il lavoratore può utilizzare i suoi buoni per fare rifornimento nelle catene Q8 e IP.   Auto aziendale ad uso promiscuo e maternità Cosa succede quando una lavoratrice che usufruisce dell’auto aziendale ad uso promiscuo va in maternità? Il benefit può essere revocato e la quota di valore convenzionale inserita in busta paga può venire sospesa? Molte lavoratrici si pongono queste domande, spesso perché l’azienda per cui lavorano chiede loro la restituzione del mezzo durante il periodo di maternità. I fringe benefit, essendo regolamentati da un contratto, non possono essere revocati in maniera unilaterale dall’azienda quindi la lavoratrice in maternità avrà comunque diritto all’uso dell’auto e sarà tenuta al pagamento delle tasse sulla quota di valore convenzionale computata in busta paga. Nel caso in cui l’azienda chieda alla lavoratrice la restituzione del veicolo durante il periodo della maternità, essa sarà tenuta a corrisponderle un’indennità su base mensile.
I vantaggi del welfare aziendale
Luglio 21, 2020
Welfare Aziendale

Vantaggi del welfare aziendale per aziende e dipendenti

Il welfare aziendale comprende tutte le iniziative messe in campo da un’azienda per favorire il benessere dei propri dipendenti e comporta numerosi vantaggi anche per l’impresa stessa. Ecco quali sono tutti i vantaggi del welfare aziendale.   Grazie al welfare aziendale, i dipendenti delle aziende che ne applicano i principi godono di un maggiore benessere e di un migliore work-life balance. Tutto ciò garantisce alle imprese una maggiore produttività ed efficienza. Questi sono solo alcuni dei vantaggi del welfare aziendale per aziende e dipendenti. Vediamo quali sono gli altri. Welfare aziendale: cosa ci guadagna l’azienda? Quali sono i vantaggi per il dipendente? Welfare aziendale: esistono degli svantaggi? Tassazione del welfare aziendale   Welfare aziendale: cosa ci guadagna l’azienda? Negli ultimi anni c’è stata una crescente attenzione nei confronti del welfare aziendale da parte delle PMI, che si sono rese conto dei numerosi vantaggi dati dall’introduzione di un piano di welfare aziendale ben strutturato e bilanciato. In particolare, sono 3 i vantaggi principali che derivano dall’offrire ai lavoratori incentivi che migliorino la loro vita lavorativa e personale: miglioramento del clima aziendale; aumento della soddisfazione e del benessere dei dipendenti; vantaggi fiscali. Perché abbiamo indicato questi tre come i principali vantaggi di un buon piano di welfare? Perché il miglioramento del clima aziendale, che deriva dall’offrire ai collaboratori un ambiente di lavoro più moderno e flessibile e dal garantire il loro benessere tramite l’erogazione di beni e servizi dedicati anche alle loro famiglie, è ciò che genera tutta una serie di altri vantaggi che non sono di certo trascurabili. Uno dei maggiori è di sicuro l’incremento di produttività e competitività, dovuto al fatto che i dipendenti più felici e soddisfatti sono anche più produttivi. Non solo. Quando un lavoratore è soddisfatto del proprio lavoro, non lo lascerà per andare a cercare nuove opportunità e si sentirà più fedele nei confronti dell’azienda. Ciò significa che le aziende con un buon piano di welfare aziendale riscontrano una riduzione del turnover, e si trovano quindi a risparmiare sui costi e sulla formazione per l’inserimento dei nuovi assunti. Una maggiore fidelizzazione dei lavoratori, inoltre, riduce spontaneamente il fenomeno dell’assenteismo. Un altro dei vantaggi della corretta applicazione delle misure di welfare aziendale è il ritorno d’immagine. Un’impresa che appare virtuosa ai propri dipendenti, si mostra tale anche ai propri concorrenti e ai vari soggetti con cui si trova a relazionarsi, compresi i possibili, nuovi, dipendenti. Sono molte, infatti, le persone desiderose di lavorare per un’azienda che valorizza i propri collaboratori, riconoscendone i meriti e avendo a cuore il loro benessere. Veniamo ai vantaggi fiscali. Un vantaggio non trascurabile dell’applicazione del welfare aziendale è dato anche dalle numerose agevolazioni fiscali riservate alle imprese che mettono in atto dei piani di welfare. Tali agevolazioni consistono nella detassazione parziale o totale delle somme investite. Si tratta, forse, del beneficio maggiore per un’azienda, soprattutto a fronte dei numerosi riscontri ottenuti. Attenzione, però. Solo le aziende che offrono benefit di vario tipo ai propri dipendenti per ottemperare alle disposizioni contenute nei CCNL di primo e secondo livello, o per tener fede agli accordi sindacali, sono esentate dal pagamento di tasse e contributi sugli importi spesi per l’erogazione di tali benefit.   Quali sono i vantaggi per il dipendente? Se l’applicazione delle misure di welfare aziendale è vantaggiosa per le aziende, non lo è da meno per i dipendenti, che ottengono tutta una serie di benefici dalla fruizione delle agevolazioni messe a loro disposizione. Grazie alle misure a sostegno del reddito offerte nell’ambito dell’applicazione delle politiche di welfare aziendale, i dipendenti non ricevono somme in busta paga che vengono in parte erose dalla tassazione, ma tutta una serie di beni e servizi destinati a loro stessi e ai familiari, la cui fruizione è in grado di migliorare la qualità della loro vita lavorativa e privata. Tra i maggiori vantaggi del welfare aziendale per i dipendenti ci sono: aumento del benessere personale, grazie alla fruizione di benefit come i servizi sostitutivi di mensa, o dalla possibilità di utilizzare la propria quota di welfare per acquistare abbonamenti in palestra, andare al cinema o al teatro o viaggiare; aumento della capacità di conciliazione vita-lavoro, che il lavoratore può ottenere usufruendo dei servizi dedicati al benessere familiare o dello smart working; maggior potere d’acquisto, ottenuto, ad esempio, grazie al rimborso delle spese di viaggio sostenute per recarsi al lavoro, oppure delle spese sostenute per l’acquisto di testi scolastici o per il pagamento delle rette delle scuole per l’infanzia; riduzione del cuneo fiscale, grazie alla detassazione dei servizi di welfare.   Welfare aziendale: ci sono degli svantaggi? Non dimentichiamo che il welfare aziendale offre soprattutto vantaggi sia alle aziende che ai loro dipendenti, ma possono esserci talvolta anche dei piccoli svantaggi. Possibili svantaggi per le aziende Possono derivare soprattutto dal fallimento delle misure di welfare, causate dalla creazione di un piano di welfare che non risponda davvero ai bisogni dei dipendenti. O dalla mancanza di una comunicazione chiara e adeguata su quali siano i benefit riservati ai dipendenti e le modalità con cui possono usufruirne. Un altro svantaggio del welfare aziendale, per le imprese, è dato dalla minor detassazione (solo il 5 per mille degli importi investiti), nel caso in cui le misure siano attivate per decisione unilaterale della stessa, o siano erogate a un gruppo troppo ristretto di dipendenti. Molte aziende che non hanno ancora attuato piani welfare, ritengono che offrire agevolazioni ai propri dipendenti sia dispendioso. Questo perché non tengono in conto i numerosi vantaggi, anche in termini di guadagno, che essi producono. Possibili svantaggi per i dipendenti Tra gli svantaggi per i lavoratori ci sono: il divieto di convertire in denaro le misure di welfare aziendale erogate, specialmente se vengono offerte alternative poco appetibili; la perdita della quota di contributi versata dall’azienda sull’importo erogato sotto forma di benefit. Perdita che, tuttavia, può essere compensata se si decide di usare come benefit la conversione totale o parziale della quota di welfare in una pensione complementare. Quasi tutti gli svantaggi del welfare aziendale sono inferiori ai benefici che derivano dalla sua applicazione. Inoltre, molti dei problemi che colpiscono aziende e dipendenti possono essere annullati dalla creazione di un solido piano di welfare. Per questo, per un’impresa può essere utile affidarsi a società che offrono il servizio di creazione e gestione dei piani di welfare aziendale, come Day Welfare, che aiuta i reparti di risorse umane a pianificare tutto fin nei minimi dettagli.   Tassazione del welfare aziendale La tassazione del welfare aziendale è regolamentata da una serie di normative. La più importante di tutte è sicuramente il TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), che agli articoli 51 e 100 definisce le agevolazioni e gli obblighi fiscali concernenti il reddito da lavoro dipendente e il reddito delle imprese. In particolare, l’articolo 51 del TUIR, determina quali siano le somme e i servizi che concorrono, in tutto o in parte, a formare il reddito da lavoro dipendente. Vediamo quali sono i casi più frequenti di esenzione totale o parziale dei benefit dal reddito imponibile secondo la normativa: SERVIZIO EROGATO REGIME FISCALE Contributi per l’assistenza sanitaria integrativa Non concorrono a formare il reddito del dipendente fino ad un massimo di 3.615,20 euro annui (vanno ricomprese sia le somme versate dal datore di lavoro, sia le somme versate dal dipendente) Premi versati per assicurazioni per rischi legati alla professione Non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente Contributi versati dall’azienda e dal lavoratore a fondi di previdenza complementare Non concorrono alla formazione del reddito fino a 5.164,57 euro annui. Servizi di trasporto collettivo forniti per agevolare il raggiungimento del posto di lavoro Non concorrono alla formazione del reddito Servizi, rimborsi e prestazioni erogati dal datore di lavoro per la fruizione, da parte dei familiari dei dipendenti, di servizi di educazione e istruzione, anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi connessi. Non concorrono alla formazione del reddito Erogazione di borse di studio per i componenti della famiglia dei lavoratori Non concorrono alla formazione del reddito Erogazione di somme o rimborso delle spese sostenute per la frequenza di centri estivi o di doposcuola dei familiari dei lavoratori. Non concorrono alla formazione del reddito Erogazione di somme o prestazioni per la fruizione di servizi di assistenza per parenti anziani o non autosufficienti Non concorrono alla formazione del reddito Oneri di utilità sociali (check-up medico, abbonamenti a palestre, cinema o teatri, finanziamento di corsi di studio extra aziendali, servizi di baby-sitting) Non concorrono alla formazione del reddito Voucher, buoni spesa, buoni carburante Non concorrono a formare il reddito se il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ha un importo complessivo non superiore a 258,23 euro annui.   Beni e servizi di welfare aziendale erogati in sostituzione del premio di risultato Non concorrono alla formazione del reddito fino all’importo massimo di 3.000 euro annui   Per quanto riguarda le somme spese dall’azienda per finanziare le misure di welfare aziendale, secondo quanto stabilito dall’articolo 100 del TUIR, la deducibilità massima dei beni e i servizi erogati in seguito un’iniziativa unilaterale dell’impresa è del 5 per mille dell’importo totale. Qualora le misure di welfare aziendale siano comprese nella contrattazione collettiva di primo e secondo livello o negli accordi stipulati dall’azienda con i sindacati, e quindi la loro erogazione risulti obbligatoria, le somme investite per finanziarle sono totalmente esenti da tassazione. Inoltre, per avere accesso alla detassazione, le imprese devono offrire i servizi di welfare aziendale alla totalità dei dipendenti o a categorie omogenee di lavoratori.
Piani di welfare aziendale
Luglio 16, 2020
Welfare Aziendale

Come attivare un piano di welfare aziendale

Il piano di welfare aziendale è uno degli strumenti preferiti dalle aziende che desiderano offrire delle agevolazioni ai propri collaboratori, per migliorare il clima aziendale. Scopri come funziona.   Le aziende hanno sempre più a cuore il benessere dei propri dipendenti e mettono in campo misure sempre più moderne e agili per garantirlo. Grazie alla creazione di piani di welfare aziendale, le imprese possono offrire ai lavoratori tutta una serie di benefit che migliorino la qualità della vita sia nella sfera lavorativa, sia nella sfera personale. In questo articolo ti spiegheremo cos’è, come funziona e come si attiva un piano di welfare aziendale. Cos’è un piano di welfare aziendale e quali tipologie esistono Come attivare un piano di welfare aziendale Quali beni e servizi è possibile inserire in un piano di welfare aziendale? Quanto costa gestire un piano di welfare aziendale?   Che cos’è un piano di welfare aziendale? Negli ultimi anni si sente parlare sempre più spesso di welfare aziendale. Cosa si intende, di preciso, con questo termine? Il termine welfare aziendale viene utilizzato per indicare quell’insieme di politiche aziendali che si occupano di migliorare il benessere dei dipendenti, rendendo più agevole la conciliazione vita-lavoro, tramite l’erogazione di servizi di sostegno al reddito. Tali servizi possono essere complementari o alternativi alla retribuzione ordinaria. Sono sempre di più gli studi che indicano come la soddisfazione in ambito lavorativo renda i dipendenti più soddisfatti e li spinga ad aumentare la produttività, creando quindi un valore aggiunto per l’azienda. Perché il welfare aziendale diventi una vera e propria opportunità di crescita, per un’impresa, e comporti anche dei vantaggi fiscali, deve essere pianificato in ogni minimo dettaglio: dalla scelta delle agevolazioni da offrire ai dipendenti fino alla loro erogazione. È a questo punto che entra in gioco il piano di welfare aziendale: un vero e proprio programma che si occupa di tutti gli aspetti che riguardano le agevolazioni offerte ai dipendenti, che le aziende possono scegliere di attuare da sé oppure dare in gestione a delle società che si occupano di tutti gli aspetti dei piani di welfare aziendale. Nessun piano di welfare aziendale può, e deve, essere uguale a un altro. Ogni azienda è inserita in un preciso contesto territoriale, ha una sua cultura d’impresa, valori precisi e un suo particolare approccio alle risorse umane, nonché dipendenti con bisogni ben definiti. Un buon piano di welfare, perciò, non può non tenere conto di tutti questi fattori, per funzionare davvero. Tipologie di piani di welfare aziendale Quando si parla di piani di welfare si intende una categoria molto ampia di interventi, che al suo interno comprende strategie molto diverse tra loro anche nella forma, non solo nei contenuti. Per quanto riguarda la forma, in particolare, devi sapere che esistono 3 diverse tipologie di piani di welfare aziendale, che si configurano anche in un diverso trattamento fiscale: welfare volontario; welfare contrattato; welfare di produttività. I piani di welfare volontario vengono attuati dall’azienda con un’azione unilaterale. In questo caso è il datore di lavoro a decidere gli importi da destinare alla loro attuazione, i destinatari e il tipo di benefit da erogare. L’agevolazione fiscale, per questo tipo di piani, è pari al 5 per mille del valore dei servizi erogati. I piani di welfare contrattato sono quelli che derivano da un’imposizione del CCNL o da contrattazioni di secondo livello intraprese con le sigle sindacali. Solitamente, in questi casi, l’impresa decide insieme ai sindacati quali sono i destinatari e il tipo di prestazioni da inserire nel piano di welfare. C’è poi il welfare di produttività, che è uno dei modelli più apprezzati dalle aziende italiane. Esso consiste nell’offrire al dipendente la possibilità di convertire il proprio premio di produttività in prestazioni di welfare aziendale, purché nel corso dell’anno ci sia stato un incremento misurabile della produttività dell’azienda. Anche questo tipo di piano di welfare può essere attuato solo in presenza di un obbligo derivato dal CCNL di riferimento o dagli accordi stipulati in sede di contrattazione di secondo livello aziendale o territoriale.   Come attivare un piano di welfare aziendale? Per attivare un piano di welfare aziendale non basta solamente decidere, dall’oggi al domani, di erogare dei benefit ai propri dipendenti. Se si ha in mente di avviare una politica volta al miglioramento del work-life balance dei propri collaboratori, si deve mettere in atto una strategia ben definita, che passa attraverso diverse fasi. 1. Analisi della situazione contrattuale dell’azienda e delle relazioni sindacali Quando un’impresa decide di attuare un piano di welfare aziendale, la prima cosa che deve fare è analizzare la sua situazione contrattuale, per capire se essa preveda già l’erogazione di alcune misure di welfare ai dipendenti. Molti CCNL di categoria, infatti, obbligano le aziende che li applicano ad offrire ai dipendenti determinate misure di welfare. Può anche accadere che siano già in essere contrattazioni di secondo livello o accordi sindacali che comprendano alcune misure di welfare. Nel caso in cui un’impresa abbia già stabilito l’erogazione di alcune misure di welfare, può decidere di perfezionarle o ampliare l’offerta o la platea dei beneficiari. 2. Analisi della popolazione aziendale e dei bisogni dei dipendenti Un piano di welfare davvero efficace non può prescindere da un’attenta analisi della popolazione aziendale e dei suoi bisogni. Per questo, è utile avviare dei sondaggi per capire quanto i collaboratori siano soddisfatti delle misure già erogate. Un sondaggio può essere utile per capire quali misure di welfare potrebbero risultare più gradite e necessarie ai dipendenti. Oltre ad analizzare la soddisfazione dei dipendenti e le loro esigenze, per strutturare un piano di welfare è utile anche censire i lavoratori, dividendoli per fasce di età, sesso ed interessi. 3. Creazione ed attuazione del piano di welfare e misurazione dei risultati L’ultimo passo consiste nella creazione del piano di welfare aziendale vero e proprio e nella sua attuazione. Dopo aver analizzato a fondo la propria situazione contrattuale e aver svolto dei sondaggi per comprendere meglio le necessità dei propri dipendenti, l’azienda decide: l’importo del budget che intende investire nel piano di welfare, come comporre il pacchetto di beni e servizi, le modalità di erogazione degli stessi. L’impresa può svolgere autonomamente questi passaggi, affidando l’incarico al reparto che si occupa delle risorse umane, oppure affidarsi a chi si occupa della creazione e della gestione di piani di welfare aziendale personalizzati. Come Day, che con la piattaforma Day Welfare aiuta le aziende a creare e gestire i piani di welfare aziendale. Una volta attuato, il piano di welfare non può essere abbandonato a sé stesso. È importante che l’impresa ne monitori periodicamente l’andamento, per verificarne l’efficacia.   Quali beni e servizi è possibile inserire in un piano di welfare aziendale? Un piano di welfare aziendale è uno strumento molto flessibile, che permette alle imprese di strutturarlo nella maniera che preferiscono, inserendo al suo interno un’ampia gamma di beni e servizi. Ecco alcuni tra i benefit più comuni che un’impresa può inserire nel proprio piano di welfare: introduzione di forme di lavoro che agevolino la conciliazione vita-lavoro, come la banca ore, l’offerta di una maggiore flessibilità oraria e la possibilità di ottenere un contratto part-time, lo smart working e il job-sharing; erogazione di servizi di risparmio, come il rimborso delle spese per l’acquisto dei testi scolastici per i figli, i buoni acquisto, il servizio di trasporto aziendale, il rimborso delle spese mediche, l’offerta di alloggi a prezzi agevolati, le convenzioni con cinema, teatri e palestre, i viaggi premio aziendali, la stipula un’assicurazione sanitaria o la possibilità di formare una pensione integrativa presso fondi di previdenza complementare; erogazione di servizi salva-tempo come la mensa aziendale, il car pooling, il servizio lavanderia; erogazione di servizi di cura della persona rivolti alle famiglie dei dipendenti, come l’asilo nido aziendale, il rimborso delle spese sostenute per le rette di scuole dell’infanzia, doposcuola invernali, centri estivi, l’assistenza agli anziani o ai parenti non autosufficienti; erogazione di servizi per il benessere dei dipendenti, come i programmi di medicina preventiva, lo sportello medico, la palestra interna e la zona relax, i corsi di formazione e le borse di specializzazione.   Chi ha diritto a usufruire del welfare aziendale? Secondo quanto stabilito dalla legge, le aziende possono strutturare i propri piani di welfare includendo al loro interno servizi destinati alla fruizione sia da parte dei lavoratori dipendenti, sia da parte dei loro familiari. La normativa di riferimento (art.12 del TUIR) stabilisce che i familiari ammessi al godimento dei servizi di welfare aziendale sono il coniuge non legalmente separato, i figli (compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottati e in affidamento), i genitori, i suoceri, i generi e le nuore, i fratelli e le sorelle.   Quanto costa gestire un piano di welfare aziendale? Il costo della gestione di un piano di welfare aziendale è variabile e dipende da diversi fattori: il numero di dipendenti a cui si intendono erogare i benefit previsti dal piano; il costo dei benefit erogati; le tasse. Poniamo il caso che un’azienda di medie dimensioni decida di erogare a tutti i propri dipendenti un credito welfare di 200 euro annuali, che consenta loro di accedere a un paniere di beni e servizi che comprende il rimborso delle spese per la famiglia o il tempo libero (acquisto di testi scolastici, rette per asili, doposcuola e centri estivi, spese per assistenza agli anziani, abbonamento in palestra e così via). Presumendo che l’azienda abbia un numero di dipendenti pari a 250 unità, e che le misure di welfare siano ricomprese in una contrattazione di primo o secondo livello o in un accordo sindacale, il costo del piano di welfare ammonterebbe a 50.000 euro. Questo perché, tra i vantaggi dei piani di welfare, c’è la detassazione e l’intero importo investito in welfare sarebbe escluso dalla tassazione, secondo quanto stabilito dall’art.51 del TUIR. Nel caso in cui l’attuazione del piano di welfare fosse frutto di un’iniziativa unilaterale dell’azienda, invece, il costo del piano di welfare aumenterebbe, poiché sarebbe deducibile dalle tasse solo il 5 per mille dell’intero importo. Prendiamo invece il caso di un’azienda con 200 dipendenti che decida di erogare un premio di risultato di 1.000 euro ai propri collaboratori nel caso in cui vengano raggiunti determinati obiettivi di produttività, innovazione o redditività, offrendo loro la possibilità di convertire il premio in servizi di welfare aziendale. In questo caso, a seconda della modalità di erogazione del premio, cambierebbe anche il costo sostenuto dall’azienda. Se, infatti, l’importo venisse erogato in denaro, l’azienda spenderebbe 1.323 euro per ogni dipendente, mentre il lavoratore riceverebbe 880 euro in busta paga (fino a 3.000 euro i premi di risultato a tassazione agevolata). Se l’azienda predisponesse un piano di welfare aziendale per l’erogazione del premio di risultato e tutti i dipendenti decidessero di convertire il proprio premio nei servizi compresi al suo interno, l’azienda spenderebbe 1.000 euro per erogare il premio di risultato e il dipendente riceverebbe beni o servizi per il suo intero valore.
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