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Welfare aziendale: tra vantaggi fiscali e vera finalità sociale
In occasione dell’evento ESG & Welfare organizzato da Day a Roma lo scorso 29 ottobre, Diego Paciello, responsabile dell’area fiscale welfare dello Studio Toffoletto, ha presentato una lettura lucida e critica dell’evoluzione del welfare aziendale in Italia, tra vantaggi fiscali, finalità sociali e nuove sfide normative.
- Dalla leva fiscale alla diffusione del welfare
- Fringe benefit, premi di risultato e ambiguità normative
- Welfare, ESG e centralità delle persone
Dalla leva fiscale alla diffusione del welfare
Nel suo intervento, Paciello ha ricordato come il welfare aziendale abbia conosciuto una vera diffusione solo dopo la crisi del 2008. In quel contesto le imprese, alla ricerca di strumenti alternativi alla retribuzione tradizionale, hanno trovato nel welfare una soluzione particolarmente efficace grazie ai vantaggi fiscali e contributivi. Proprio questa leva economica, però, ha portato in alcuni casi a un utilizzo distorto dello strumento, con il rischio di perdere di vista la sua natura sociale originaria. Da qui, negli anni successivi, gli interventi del legislatore e le interpretazioni restrittive dell’Agenzia delle Entrate, finalizzati a ricondurre il welfare alla sua funzione autentica: la detassazione, ha sottolineato Paciello, esiste solo se è giustificata da una reale finalità sociale.
Fringe benefit, premi di risultato e ambiguità normative
Un passaggio rilevante dell’intervento ha riguardato i fringe benefit, spesso impropriamente assimilati al welfare. Si tratta, ha spiegato Paciello, di strumenti con una natura essenzialmente retributiva, non imponibili entro determinate soglie, nati per gestire i benefit di modico valore. Oggi, però, circa la metà delle risorse destinate al welfare confluisce proprio nei fringe benefit, alimentando una crescente ambiguità tra ciò che è welfare sociale e ciò che è semplice agevolazione fiscale.
Altro nodo centrale è quello dei premi di risultato, rafforzato dalla legge di stabilità 2016 con la possibilità di conversione in welfare. Una misura importante, ma che mantiene un’impostazione premiale: il welfare nasce in questo caso dal raggiungimento di obiettivi economici e non da una scelta strutturale di responsabilità sociale. Paciello ha espresso perplessità anche su alcune misure più recenti, come la detassazione degli straordinari, che rischiano di andare in controtendenza rispetto alla cultura del welfare.
Welfare, ESG e centralità delle persone
Nel suo intervento, ha poi evidenziato il legame sempre più stretto tra welfare ed ESG, in particolare la componente “S” di Social. I piani di welfare oggi consentono alle imprese di misurare il benessere delle persone, l’impatto sociale e la qualità dell’organizzazione del lavoro, elementi sempre più rilevanti anche nella rendicontazione non finanziaria.
Dopo la pandemia, ha osservato Paciello, il welfare è diventato anche uno strumento chiave di attrattività e posizionamento sul mercato del lavoro: le persone scelgono le aziende non solo per la retribuzione, ma per i valori, l’attenzione alla qualità della vita e alla conciliazione tra lavoro e vita privata. In questo scenario, un welfare autentico può generare un ritorno concreto anche in termini di competitività.
Non mancano criticità applicative e interpretative, come nel caso dei servizi di cura alla persona, talvolta oggetto di letture restrittive che rischiano di snaturarne la funzione sociale. Per questo, secondo Paciello, sarebbe auspicabile arrivare a una disciplina più organica, attraverso una sorta di “testo unico” del welfare aziendale che chiarisca in modo definitivo finalità, strumenti e confini.
Il messaggio conclusivo dell’intervento è chiaro: il welfare aziendale non può essere ridotto a una semplice leva fiscale. I benefici economici sono importanti, ma devono restare una conseguenza e non l’obiettivo. Solo mantenendo al centro la finalità sociale, il welfare può continuare a rappresentare uno strumento credibile di benessere per le persone e di sostenibilità per le imprese.