Gestione Risorse Umane

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congedo paternità padre e figlio
Luglio 14, 2025
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Congedo di paternità: cosa prevede la normativa italiana

Negli ultimi anni, la figura del padre all’interno del nucleo familiare ha assunto un ruolo sempre più attivo e presente, soprattutto nei momenti cruciali legati alla nascita di un figlio. In questo contesto, il congedo di paternità rappresenta uno strumento essenziale per garantire la presenza del padre nei primi giorni di vita del bambino e per favorire una maggiore equità nella condivisione delle responsabilità familiari. La normativa italiana, pur avendo fatto progressi, rimane molto indietro rispetto agli standard europei, evidenziando la necessità di ulteriori interventi per garantire diritti più equi ai padri lavoratori. Vediamo quindi cosa prevede attualmente la legge italiana in merito a questo tema. Che cos'è il congedo di paternità Quali sono le disposizioni della Legge Italiana in merito al congedo di paternità? Come richiedere il congedo di paternità Quanto dura il congedo di paternità? Come si calcolano i 10 giorni di congedo di paternità? Differenze con il congedo di maternità Quali sono le novità per il congedo parentale nel 2025? Vantaggi del congedo di paternità Che cos'è il congedo di paternità Il congedo di paternità è un periodo di astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro riconosciuto al padre in occasione della nascita, dell’adozione o dell’affidamento di un figlio. L’obiettivo principale è permettere al padre di partecipare attivamente ai primi momenti della vita del bambino, favorendo il legame affettivo con il neonato. Si tratta di un congedo diverso da quello “parentale”, che può essere fruito da entrambi i genitori nei primi anni di vita del figlio, ed è una misura autonoma rispetto al congedo di maternità e nell’ottica di garantire un’equa ripartizione dei carichi familiari. Quali sono le disposizioni della Legge Italiana in merito al congedo di paternità? La normativa italiana in materia di congedo di paternità è regolata principalmente dal D.Lgs. 151/2001 e successive modifiche, in particolare quelle introdotte con la Legge di Bilancio 2022 e ulteriori aggiornamenti nel 2023 e 2024. Le principali disposizioni attualmente in vigore includono: 10 giorni lavorativi di congedo obbligatorio per il padre: si tratta di giorni retribuiti al 100%; il congedo può essere utilizzato in un periodo compreso tra i due mesi precedenti la data presunta del parto e i cinque mesi successivi alla nascita del bambino. In questo caso si tratta di un diritto autonomo e aggiuntivo rispetto a quello della madre, spettante al padre a prescindere dal diritto della madre al proprio congedo di maternità. Tale congedo obbligatorio è riconosciuto anche al padre che usufruisce del congedo di paternità ai sensi dell’articolo 28 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151; 1 giorno facoltativo in più, in accordo con la madre, che può essere fruito in alternativa a un giorno di congedo di maternità. in caso di parto plurimo, la durata del congedo è estesa a 20 giorni lavorativi. Questa misura è obbligatoria per il datore di lavoro, il quale non può opporsi alla fruizione del congedo. Come richiedere il congedo di paternità Il padre lavoratore deve presentare la richiesta di congedo al datore di lavoro con almeno 5 giorni di preavviso, specificando le date in cui intende usufruirne. La procedura può variare leggermente a seconda del tipo di contratto (pubblico o privato) e delle modalità aziendali, ma generalmente prevede: comunicazione scritta (anche via e-mail o tramite portale aziendale); specifica dei giorni scelti; in alcuni casi, allegato del certificato di nascita o dichiarazione della madre; nei casi in cui il pagamento avvenga direttamente da parte dell’INPS — ovvero per lavoratori agricoli, stagionali, addetti ai servizi domestici e familiari, disoccupati e sospesi dal lavoro non beneficiari della cassa integrazione guadagni, nonché per i lavoratori dello spettacolo con contratto a termine o saltuari — la domanda deve essere presentata online all’Istituto. nei casi di pagamento a conguaglio, non è necessario presentare la domanda online all’INPS. In tali situazioni, il lavoratore padre dipendente del settore privato è tenuto a comunicare per iscritto al proprio datore di lavoro i giorni di congedo che intende fruire. per quanto riguarda i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni, la domanda deve essere sempre presentata direttamente alla propria amministrazione datrice di lavoro. Quanto dura il congedo di paternità? Come anticipato, la durata prevista per il congedo di paternità obbligatorio è di 10 giorni lavorativi, non frazionabili in ore. A questi si può aggiungere 1 ulteriore giorno facoltativo, per un totale massimo di 11 giorni. Questi giorni sono retribuiti interamente dall’INPS e non incidono negativamente né sulle ferie né sulla retribuzione. Come si calcolano i 10 giorni di congedo di paternità? I 10 giorni di congedo di paternità si riferiscono a giorni lavorativi, e quindi non includono le domeniche o eventuali giorni festivi non lavorati. Tuttavia, se la giornata festiva è normalmente lavorativa per il dipendente (come può accadere nei turni), essa può rientrare nel conteggio. È possibile frazionare i 10 giorni, ovvero non è necessario prenderli consecutivamente. Il padre può distribuirli all’interno del periodo che va da due mesi prima a cinque mesi dopo la nascita del figlio, a seconda delle proprie esigenze e compatibilmente con l’attività lavorativa. Differenze con il congedo di maternità Il congedo di maternità è molto più lungo rispetto a quello di paternità ed è obbligatorio per la madre. Dura 5 mesi (2 mesi prima del parto e 3 mesi dopo), anche se in certi casi può essere fruito in modalità flessibile. Le principali differenze sono: durata: 5 mesi per la madre, 10 giorni per il padre; obbligatorietà: obbligatorio per la madre, obbligatorio ma molto più breve per il padre; fruizione: il congedo di maternità è continuo; quello di paternità può essere frazionato. Durante il congedo di maternità, la lavoratrice ha diritto a un’indennità pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera, calcolata sulla base dell’ultima busta paga antecedente l’inizio del congedo. Tale indennità può essere elevata fino al 100% della retribuzione, qualora il contratto collettivo nazionale o l’accordo integrativo aziendale preveda l’integrazione da parte del datore di lavoro. Per quanto riguarda il congedo di paternità obbligatorio, al lavoratore spetta un’indennità giornaliera pari al 100% della retribuzione. I due congedi rispondono a finalità diverse: quello di maternità tutela la salute della madre e del bambino, quello di paternità promuove la condivisione della genitorialità. Quali sono le novità per il congedo parentale nel 2025? La Legge di Bilancio 2025 ha portato modifiche importanti in materia di congedi. In particolare, ha elevato dal 60% all’80% la maggiorazione dell’indennità dell’ulteriore mese di congedo parentale previsto dalla legge di bilancio 2024, e ha disposto l’elevazione dell’indennità di congedo parentale dal 30% all’80% per un ulteriore mese. La novità è applicabile ai soli lavoratori dipendenti, sia del settore pubblico che privato che rispettivamente hanno terminato o terminano il periodo di congedo di maternità o, in alternativa, di paternità, successivamente al 31 dicembre 2023 e al 31 dicembre 2024. I genitori lavoratori dipendenti hanno diritto a undici mesi complessivi di congedo parentale, così suddivisi: Nove mesi indennizzabili, da fruire entro il compimento del dodicesimo anno di età del bambino o entro i 12 anni dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento: Tre mesi indennizzati all’80% della retribuzione media giornaliera, se utilizzati entro i sei anni di età del bambino o dall’ingresso in famiglia del minore; in caso contrario, l’indennità è pari al 30%. Sei mesi indennizzati al 30% della retribuzione. Due mesi aggiuntivi non indennizzabili, salvo il caso in cui il reddito individuale del genitore richiedente sia inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione. In tal caso, spetta un’indennità pari al 30% della retribuzione media giornaliera. I nove mesi di congedo parentale retribuito sono suddivisi come segue: Tre mesi spettano esclusivamente alla madre, non trasferibili all’altro genitore, da utilizzare entro il dodicesimo anno di vita del bambino o dell’ingresso in famiglia. Tre mesi spettano esclusivamente al padre, anch’essi non trasferibili, da fruire entro gli stessi termini. Tre mesi aggiuntivi sono concessi in alternativa tra i due genitori. Nel caso di genitore solo (in presenza dei requisiti previsti), spettano tutti gli undici mesi di congedo parentale, di cui: Tre mesi indennizzati all’80%, se fruiti entro i sei anni; Sei mesi indennizzati al 30%. Queste misure vogliono incentivare la partecipazione di entrambi i genitori alla cura del figlio, favorendo una maggiore parità di genere. Vantaggi del congedo di paternità Tra i benefici principali del congedo di paternità vi sono: maggiore coinvolgimento paterno nella cura del neonato; supporto psicologico e fisico alla madre, specialmente nei primi giorni post-parto; riduzione dello stress genitoriale e maggiore equilibrio tra vita lavorativa e privata; promozione dell’uguaglianza di genere, specialmente nei contesti aziendali. Diversi studi dimostrano che la partecipazione attiva del padre fin dai primi giorni ha effetti positivi sullo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino. Il congedo di paternità rappresenta un diritto fondamentale per i padri lavoratori e un’opportunità per contribuire attivamente alla crescita dei figli. Sebbene l’Italia abbia compiuto notevoli progressi nel riconoscere e ampliare questo diritto, resta ancora spazio per miglioramenti, soprattutto in termini di durata e accessibilità per gli autonomi. Le novità del 2025, in particolare sull’indennità dell’80% per il congedo parentale, segnano un passo importante verso una genitorialità più condivisa e inclusiva.   Su questo tema consigliamo anche la lettura dell'articolo della Responsabile Area People di Day Marika Malizia "Congedo di paternità per la parità di genere. A quando in Italia?"  pubblicato su Econopoly del Sole24Ore.
Gen Z e lavoro: un gruppo di colleghi di età diverse
Luglio 07, 2025
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Intergenerazionalità al lavoro: come dialogare davvero con la Gen Z

Oggi, nelle aziende, lavorano fianco a fianco fino a cinque generazioni diverse. Una grande ricchezza, ma anche una sfida complessa: si parla in modo diverso, si hanno aspettative diverse e spesso non si concorda neanche su cosa significhi "lavorare bene". L’arrivo della Gen Z — i nati dalla seconda metà degli anni ’90 in poi — ha reso il confronto tra generazioni ancora più vivace. Questo gruppo porta con sé valori, linguaggi e esigenze completamente nuovi. Per dialogare davvero con loro, le aziende devono mettersi in ascolto e abbandonare alcuni schemi ormai superati. Cosa chiede la Gen Z Un gap culturale da colmare La cultura delle Power Skill Il welfare come ponte tra generazioni Cosa chiede la Gen Z? Il primo passo è capire che la "piramide dei bisogni" della Gen Z è capovolta rispetto a quella delle generazioni precedenti. Un tempo si partiva dalla ricerca di sicurezza e stabilità per puntare, solo dopo, al benessere e alla realizzazione personale. Oggi è l’esatto contrario: per i giovani il punto di partenza è il benessere. Cercano ambienti di lavoro in cui si stia bene, dove ci sia ascolto, autenticità, attenzione al clima relazionale e rispetto concreto delle differenze. Vogliono coerenza tra i valori dichiarati e quelli messi in pratica. Solo dopo arrivano carriera, crescita, sfide. In questa nuova gerarchia, il posto fisso non è più un traguardo e la “gavetta” suscita spesso diffidenza, percepita come qualcosa di superato. Le ricerche lo confermano: la Gen Z dà grande importanza all’inclusione, al supporto dei manager e alla possibilità di essere coinvolta nelle decisioni. Dove queste condizioni mancano, il turnover cresce. Un gap culturale da colmare Spesso i fraintendimenti nascono da due parole chiave: rispetto e responsabilità. Per la Gen Z il rispetto non si deve al ruolo o all’anzianità, ma si conquista attraverso relazioni autentiche, dialogo e ascolto reciproco. Allo stesso tempo, si sentono pronti ad assumersi responsabilità in base a ciò che sanno fare, non all’età o agli anni di esperienza. Valutano le competenze, non i gradi. Questo scarto di visione rischia di generare frustrazione da entrambe le parti: i più giovani si sentono sottovalutati, i più esperti percepiscono una mancanza di umiltà. Ma con gli strumenti giusti – come una leadership aperta, percorsi formativi adeguati e spazi di confronto – questo scontro può diventare un’occasione di crescita per tutti. La cultura delle Power Skill Superare il gap generazionale richiede un cambio di paradigma: serve una cultura che valorizzi relazioni, inclusività e crescita condivisa. In questo contesto, diventano centrali le cosiddette "power skill" — le capacità trasversali come empatia, pensiero critico, comunicazione efficace e gestione delle emozioni. Non si parla più di soft skill: le skill da leggere sono diventate potenti, perché permettono a persone di ogni età di lavorare bene insieme, affrontare il cambiamento e costruire legami significativi. Le aziende che investono davvero su queste competenze, con percorsi di formazione deep dive, immersivi e personalizzati, riescono a coinvolgere la Gen Z senza banalizzarla, stimolandola sia sul piano cognitivo che emotivo. Non si tratta solo di “istruire”, ma di creare spazi dove ognuno possa esplorare e valorizzare ciò che è. Il welfare come ponte tra generazioni Tra gli strumenti concreti per valorizzare tutte le età in azienda, il welfare gioca un ruolo chiave. Quando è pensato in modo flessibile e inclusivo — come nel caso delle soluzioni di Day Welfare — riesce davvero a parlare a tutti. Non si limita a rimborsi o servizi di supporto per chi ha famiglia, ma include anche cultura, benessere, tempo libero, viaggi e formazione. Ognuno può costruirsi un pacchetto su misura, anche proponendo attività di interesse personale da convenzionare. Una recente introduzione molto apprezzata in questa direzione è il servizio di Time Saving in collaborazione con Genius 4U: un Time Sitter aziendale che si occupa di sbrigare le piccole incombenze quotidiane al posto dei dipendenti durante l’orario di lavoro — dalla posta al lavasecco, dal lavaggio dell’auto al ritiro dei pacchi — per restituire davvero alle persone il proprio tempo libero. Oggi non basta "capire i giovani": serve costruire un'alleanza tra generazioni. La Gen Z non è un enigma da decifrare, né una moda passeggera. È il futuro, già presente, delle nostre organizzazioni. Investire su di loro, creare un dialogo autentico e dare spazio alla contaminazione generazionale significa costruire imprese più solide, innovative e pronte al cambiamento. Per tutti.
Ferie non godute - calendario
Giugno 30, 2025
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Ferie non godute, cosa sapere sulla loro corretta gestione e tassazione

Le ferie sono un diritto fondamentale del lavoratore sancito dall’art. 36 della Costituzione italiana, volto a garantire il recupero psico-fisico e il benessere della persona. Tuttavia, può succedere di non poterne usufruire durante l’anno lavorativo a causa di molteplici fattori come esigenze organizzative, personali o eventi imprevedibili. Per questo motivo, potresti ritrovarti ad aver accumulato giorni di ferie non goduti. Questo accumulo pone interrogativi importanti in merito alla loro gestione, liquidazione e tassazione, soprattutto in caso di cessazione del rapporto di lavoro. In questo articolo rispondiamo a tutte le tue domande. Cosa si intende per ferie non godute Come si gestiscono le ferie non godute alla cessazione del rapporto di lavoro Calcolo delle ferie non godute: come avviene Come vengono pagate le ferie non godute Quando vengono pagate le ferie non godute Tassazione delle ferie non godute: cosa sapere Ferie non godute e TFR Prescrizione e decadenza: fino a quando si possono rivendicare le ferie non godute Obblighi del datore di lavoro Ferie non godute in caso di malattia o maternità Come evitare l’accumulo eccessivo di ferie Cosa si intende per ferie non godute Le ferie non godute sono i giorni di riposo annuale maturati dal lavoratore che, per varie ragioni, non sono stati effettivamente utilizzati. Ogni lavoratore ha diritto ad almeno quattro settimane di ferie retribuite all’anno, ma la contrattazione collettiva può prevedere periodi più lunghi. Se queste ferie non vengono godute entro determinati limiti temporali, possono accumularsi. Come si gestiscono le ferie non godute alla cessazione del rapporto di lavoro In linea generale, le ferie devono essere godute durante il rapporto di lavoro. Tuttavia, in caso di cessazione, che sia per volontà del datore di lavoro o che sia per quella del dipendente, le ferie non godute devono essere liquidate economicamente. Vediamo ora alcuni casi specifici: 1.      Licenziamento Se il lavoratore viene licenziato e ha ancora delle ferie maturate ma non utilizzate, il datore di lavoro è obbligato a versare l'equivalente economico dei giorni residui. Questo, di norma, avviene con l’ultima busta paga, detta anche “busta paga di cessazione”. 2.      Dimissioni Anche nel caso di dimissioni volontarie, il lavoratore ha diritto alla liquidazione delle ferie non godute. L’importo corrispondente sarà calcolato sulla base dell’ultima retribuzione percepita e versato unitamente agli altri emolumenti spettanti alla cessazione del rapporto. 3.      Contratto a tempo determinato Per i lavoratori a tempo determinato, la regola è la stessa: le ferie maturate e non godute vanno compensate economicamente alla fine del contratto. In alcuni casi, i contratti prevedono una retribuzione "onnicomprensiva", ma le ferie devono sempre essere contabilizzate e liquidate a parte. Calcolo delle ferie non godute: come avviene Il calcolo delle ferie non godute si basa sul numero di giorni maturati e non utilizzati. I giorni di ferie maturano proporzionalmente al periodo lavorato. Ad esempio, se un lavoratore matura 26 giorni all’anno e lavora per 6 mesi, avrà maturato circa 13 giorni. La contabilità del personale, supportata da software gestionali o consulenti del lavoro, tiene traccia delle ferie accumulate da ciascun dipendente. Come vengono pagate le ferie non godute Le ferie non godute sono monetizzate sulla base dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita. Questo include: Paga base Scatti di anzianità Indennità fisse Superminimi Eventuali voci fisse della contrattazione collettiva Sono escluse dalla base di calcolo le componenti variabili non continuative, come premi occasionali o rimborsi spese. Quando vengono pagate le ferie non godute Il pagamento avviene generalmente con l’ultima busta paga, in concomitanza con la cessazione del contratto di lavoro. Il datore di lavoro ha l’obbligo di corrispondere l’importo dovuto entro i termini previsti per il pagamento dell’ultima mensilità. Tassazione delle ferie non godute: cosa sapere Le ferie non godute sono considerate a tutti gli effetti reddito da lavoro dipendente. Pertanto, sono soggette: all’IRPEF (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) alle addizionali regionali e comunali ai contributi previdenziali INPS Essendo liquidate in un’unica soluzione, possono determinare una maggiore incidenza fiscale per effetto della tassazione progressiva, facendo “scattare” scaglioni di imposta più alti. Ferie non godute e TFR Le ferie non godute non rientrano direttamente nel calcolo del Trattamento di Fine Rapporto (TFR), ma possono indirettamente influenzarlo. Questo accade perché l’indennità sostitutiva delle ferie è considerata a tutti gli effetti una retribuzione e quindi contribuisce ad aumentare l'importo complessivo su cui calcolare il TFR, se percepita prima della cessazione definitiva del rapporto. Prescrizione e decadenza: fino a quando si possono rivendicare le ferie non godute È importante sapere che, in base alla normativa vigente, il lavoratore ha un termine di 10 anni per rivendicare il pagamento delle ferie non godute in caso di cessazione del rapporto. Tuttavia, se il lavoratore ha avuto la possibilità di usufruirle ma non lo ha fatto per scelta propria, il diritto può prescriversi dopo due anni dalla scadenza del periodo di riferimento. Obblighi del datore di lavoro In base alla normativa vigente, il lavoratore ha diritto ad almeno quattro settimane di ferie retribuite ogni anno. Di queste, almeno due settimane devono essere godute in modo continuativo, così da permettere un reale recupero psico-fisico. Lo stabilisce l'articolo 2109 del Codice Civile. Inoltre, il decreto legislativo 66/2003 prevede che queste ferie vengano utilizzate entro l’anno in cui maturano, o al massimo entro i 18 mesi successivi. Questo significa che non solo si ha diritto al riposo, ma anche che si deve esercitare tale diritto in tempi certi, per tutelare salute e benessere del lavoratore. Il datore di lavoro ha l’obbligo non solo di permettere al dipendente di usufruire delle ferie, ma anche di invitarlo attivamente a farlo. La Corte di Giustizia Europea ha stabilito che il datore deve dimostrare di aver informato il dipendente del rischio di perdita del diritto se non esercitato. Se non lo fa, le ferie non godute restano esigibili anche oltre i limiti di prescrizione ordinaria. Ferie non godute in caso di malattia o maternità Se un lavoratore è in malattia o maternità, il periodo di assenza non fa decorrere il termine di prescrizione delle ferie. In altre parole, i giorni di ferie maturati e non goduti a causa dell’assenza restano validi anche oltre i limiti temporali, e devono essere fruiti o liquidati una volta rientrati. Come evitare l’accumulo eccessivo di ferie Se vuoi evitare il problema delle ferie non godute (e il possibile incorrere a una tassazione maggiorata), è buona prassi: pianificare periodi di ferie annuali in modo equilibrato monitorare periodicamente la situazione residua prevedere ferie obbligatorie in certi periodi (come la chiusura estiva) prevedere politiche aziendali che incentivino l’uso delle ferie la gestione preventiva è sempre preferibile alla liquidazione postuma. Le ferie non godute rappresentano un aspetto delicato del rapporto di lavoro, sia dal punto di vista giuridico che fiscale. Una corretta gestione richiede attenzione alle norme, trasparenza nella comunicazione e tempestività nella pianificazione. Lavoratori e datori di lavoro hanno entrambi responsabilità importanti nel garantire il rispetto di questo diritto fondamentale. Essere informati su come avviene la liquidazione, la tassazione e l’influenza sul TFR è essenziale per evitare errori o contenziosi, soprattutto al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Bonus welfare pubblico Blubonus: una persona clicca le icone dei bonus
Giugno 26, 2025
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BluBonus: il ponte tra welfare pubblico e aziendale, ora anche da ascoltare

Quando si parla di welfare, spesso si fa confusione tra ciò che è pubblico – cioè garantito dallo Stato e dalle istituzioni – e ciò che è aziendale, ovvero offerto dalle imprese ai propri collaboratori per migliorare benessere e qualità della vita. Sono due strade diverse, ma parallele, che possono anche incontrarsi. È qui che entra in gioco BluBonus. BluBonus nasce per fare da ponte tra questi due mondi: è una piattaforma pensata per aziende, enti locali, associazioni e provider di welfare aziendale che vogliono aiutare le persone a scoprire e utilizzare i bonus pubblici a cui hanno diritto. Offre un supporto concreto tra agevolazioni, detrazioni, contributi e sostegni, con un linguaggio chiaro, percorsi guidati e – novità delle ultime settimane – anche brevi contenuti audio pensati per orientarsi meglio su temi specifici. Un portale che semplifica davvero il welfare Tante persone perdono bonus e agevolazioni che gli spetterebbero semplicemente perché non ne conoscono l’esistenza o si trovano in difficoltà tra moduli e requisiti poco chiari. BluBonus risponde proprio a questo problema: rendere il welfare pubblico più semplice e accessibile, aiutando a individuare e usare al meglio ciò che già esiste. Il portale raccoglie tutte le agevolazioni disponibili – nazionali, regionali e locali – e le organizza per temi come figli, casa, salute, trasporti, cultura, disabilità, over 65, famiglia e altri ancora. È sempre aggiornato e pensato per essere facile da consultare. In base al profilo della persona, un algoritmo intelligente seleziona i bonus più pertinenti. E per non perdersi nulla, ci sono anche alert via SMS, percorsi guidati, pillole informative e un glossario che chiarisce i termini più tecnici. Un modo concreto per trasformare i diritti in strumenti utili nella vita di tutti i giorni. Dentro Day Welfare: un esempio concreto Un esempio di integrazione efficace è quello di Day Welfare, la piattaforma di Day pensata per costruire con le aziende piani di welfare su misura. Tra i servizi attivabili c’è anche BluBonus, che permette ai dipendenti di scoprire se – oltre ai benefit aziendali – hanno diritto a bonus pubblici legati alla propria situazione familiare, abitativa o sanitaria. Il vantaggio è doppio: da un lato si aumenta il potere d’acquisto reale delle persone, dall’altro si forniscono informazioni chiare e utili, che aiutano davvero a sfruttare le opportunità disponibili. Anche questo è welfare: dare strumenti concreti per orientarsi e accedere a ciò che spetta. Day, non a caso, ha scelto di offrire BluBonus anche ai propri collaboratori, applicando nella quotidianità ciò che propone alle aziende clienti. Un modo per dimostrare che il welfare aziendale può diventare un canale efficace per valorizzare anche quello pubblico – spesso poco conosciuto, ma ricco di risorse. La novità: piccoli podcast per capire meglio i bonus C’è una novità interessante su BluBonus: nelle schede dedicate ai bonus stanno arrivando dei brevi podcast audio di approfondimento. Non sono semplici letture, ma mini-contenuti pensati per spiegare in modo diretto e accessibile come funziona quel bonus, a chi spetta e cosa serve per richiederlo. È un’opzione in più per chi preferisce ascoltare invece di leggere, o vuole informarsi mentre fa altro. L’audio si può avviare direttamente dalla scheda, senza interrompere la navigazione. I primi esempi di podcast sono già disponibili in diverse schede del portale. Tra i temi dedicati alla famiglia e alla genitorialità, si possono ascoltare contenuti nelle pagine sul Congedo parentale per dipendenti, sul Bonus asilo nido INPS e sulla Prestazione universale ultraottantenni non autosufficienti. Per quanto riguarda la casa, gli audio accompagnano le schede sul Bonus per ristrutturazioni e Ecobonus: detrazioni per riqualificazione energetica. Sul fronte della disabilità, sono disponibili podcast nelle pagine dedicate alla Disability Card — che dà accesso a varie agevolazioni e servizi — e alla Carta Blu Trenitalia, oltre ad altre misure legate alla mobilità. Più valore per tutti Per le aziende, BluBonus è un’opportunità concreta: valorizza il piano welfare, offre un servizio utile e riconoscibile per i dipendenti e consente di misurarne l’impatto sociale. Per chi lo utilizza, è uno strumento prezioso per accedere a diritti che spesso restano nascosti dietro burocrazia e linguaggio tecnico. In un momento in cui il benessere delle persone è sempre più centrale – e sempre più una responsabilità condivisa – sapere che esiste uno strumento capace di rendere il welfare pubblico più comprensibile, accessibile e vicino alla quotidianità può fare davvero la differenza. Perché fare welfare, in fondo, è anche questo: offrire soluzioni semplici che aiutano a vivere meglio. Ogni giorno, con un clic.
risorse umane e comunicazione interna
Giugno 19, 2025
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Welfare aziendale e comunicazione, combinazione vincente per il benessere

Oggi è chiaro a tutti: prendersi cura delle persone fa bene anche al business. Il welfare aziendale è uno degli strumenti migliori per farlo, perché migliora la qualità della vita dei dipendenti, rafforza la cultura interna, aiuta a trattenere i talenti e rende l’azienda più attrattiva. Ma anche il piano welfare più completo rischia di restare sulla carta se non viene diffuso nel modo giusto. La comunicazione è la chiave per farlo conoscere, il ponte per farlo capire e sentire davvero dalle persone. Il welfare come leva strategica e culturale Personalizzazione e continuità per una comunicazione efficace Un metodo concreto per il welfare efficace Il welfare come leva strategica e culturale Il welfare non è solo un insieme di benefit o vantaggi economici, ma un messaggio che racconta i valori e la visione dell’azienda verso chi ci lavora. Comunicare efficacemente significa trasformare servizi e iniziative in un'esperienza concreta, capace di coinvolgere emotivamente e rafforzare il senso di appartenenza. Per farlo servono semplicità e accessibilità. Per far arrivare il messaggio a tutti in modo chiaro e senza barriere bisogna usare canali diversi, dal digitale agli incontri dal vivo. Ma non basta: bisogna anche creare momenti di coinvolgimento, come workshop, storytelling e ambassador interni, per far sentire ciascuno protagonista del proprio benessere. Personalizzazione e continuità per una comunicazione efficace Ogni azienda e ogni persona sono uniche, la comunicazione quindi deve essere calibrata sui diversi bisogni e profili, supportata da dati e da feedback continui per poter migliorare. L’integrazione tra progettazione e comunicazione è indispensabile: solo collaborando, HR, marketing e partner specializzati possono costruire dei piani coerenti con l’identità aziendale e capaci di parlare davvero alle persone. Così il welfare diventa una leva strategica per la sostenibilità e la responsabilità sociale d’impresa, contribuendo a organizzazioni più resilienti, inclusive e attrattive. Un metodo concreto per il welfare efficace Per supportare le aziende in questo percorso, esistono approcci strutturati come il metodo Day Welfare, che accompagna passo dopo passo dalla definizione degli obiettivi strategici all’analisi del contesto interno ed esterno, proseguendo con la consultazione dei dipendenti, la progettazione operativa e la pianificazione della comunicazione e della formazione. Questo metodo copre un’ampia gamma di politiche, che spaziano dai servizi sociosanitari e assistenziali all’educazione, dalla valorizzazione delle persone al benessere fisico e psicologico, includendo anche il sostegno economico, la mobilità e la conciliazione tra vita e lavoro, per creare un’offerta welfare completa e personalizzata. Insomma, welfare e comunicazione vanno a braccetto: senza un'efficace diffusione e coinvolgimento, anche il piano welfare più completo rischia di non fare davvero la differenza. Proprio su questi temi si è focalizzato recentemente l’evento ESG & Welfare, organizzato da Day e BOOM by CRIF, che ha evidenziato come il metodo Day Welfare possa essere un ottimo alleato per le aziende che vogliono progettare e raccontare al meglio i propri piani, mettendo davvero al centro le persone e i loro bisogni.