Day BLOG
Serve un Welfare Media Manager? L’intervista a Riccardo Pirrone
Durante l’evento ESG & Welfare organizzato da Day a Roma, Alessandra Bertazzoni, Relationship Manager, ha dialogato con Riccardo Pirrone, uno dei nomi più noti e influenti della comunicazione digitale in Italia. Presidente dell’Associazione Italiana Social Media Manager, Pirrone è CEO dell’agenzia Kirweb ed è conosciuto al grande pubblico come responsabile della comunicazione di Taffo, il brand di pompe funebri che ha rivoluzionato il linguaggio dei social con la sua ironia irriverente e provocatoria, diventando un vero e proprio caso di studio.
Il suo intervento è stato l’occasione per riflettere su un tema insolito: come comunicare il welfare aziendale con la stessa efficacia e autenticità con cui si comunica un brand? In altre parole: serve davvero un “Welfare Media Manager”? E, se sì, da dove si comincia? Quali strategie, linguaggi, strumenti — e soprattutto quale mentalità — servono per raccontare in modo credibile il benessere delle persone dentro un’organizzazione?
Ne è nata una conversazione vivace, piena di spunti concreti e di riflessioni sul valore della comunicazione interna come leva di sostenibilità:
Alessandra Bertazzoni: Riccardo, tu vieni da un mondo molto diverso, quello della comunicazione. Che cosa ti ha spinto ad accettare l’invito di Day e parlare di welfare aziendale?
Riccardo Pirrone: Mi ha convinto il fatto che il welfare, in fondo, è comunicazione. È il modo in cui un’azienda parla di sé stessa attraverso le sue azioni, non attraverso gli slogan. Io vengo dal mondo del marketing, dove siamo abituati a dire che “la comunicazione è tutto”, ma in realtà tutto è comunicazione: anche un piano welfare lo è. Quando un’azienda decide di fare welfare, sta dicendo qualcosa su chi è, su come considera le persone, su che idea di società ha in mente.
AB: Quindi il welfare come linguaggio dell’impresa?
RP: Esattamente. Le aziende, oggi, non comunicano solo con la pubblicità: comunicano con i comportamenti. Se investi sul benessere dei tuoi dipendenti, se rispetti l’ambiente, se ti prendi cura delle relazioni interne, non hai bisogno di fare grandi campagne: la comunicazione accade da sola, perché le persone parlano bene di te. Il welfare è la forma più autentica di storytelling, perché racconta i fatti, non le promesse.
AB: Spesso però le aziende comunicano il welfare come se fosse un’operazione di immagine.
RP: Sì, e questo è un errore comune. Il welfare non si comunica per vantarsi, si comunica per condividere. Se lo usi come vetrina, perdi credibilità; se lo racconti per ispirare altre aziende o per spiegare come hai migliorato la vita dei tuoi collaboratori, allora funziona. La chiave è la trasparenza: dire anche le cose che non sono andate come previsto, far vedere che dietro ai risultati ci sono persone vere, non modelli da brochure.
AB: Tu lavori con brand molto noti per la loro comunicazione ironica, come Taffo. C’è spazio per l’ironia anche quando si parla di welfare o sostenibilità?
RP: Assolutamente sì, ma bisogna saperla dosare. L’ironia serve a rompere le barriere, a far arrivare messaggi che altrimenti sembrerebbero troppo istituzionali o noiosi. Il problema è che molte aziende hanno paura di essere ironiche, perché pensano che non sia “professionale”. Ma se l’ironia è usata con intelligenza, diventa un modo per umanizzare la comunicazione, e il welfare, in fondo, parla proprio di umanità. Io dico sempre che non serve prendersi troppo sul serio per essere seri: basta essere sinceri.
AB: C’è un consiglio che daresti alle aziende che vogliono comunicare meglio le proprie iniziative di welfare?
RP: Sì, non cercate la perfezione, cercate la coerenza. La comunicazione perfetta non esiste. Esiste quella coerente, che rispecchia ciò che siete davvero. Mostrate il dietro le quinte, fate parlare i vostri dipendenti, fate vedere i risultati concreti. E soprattutto: comunicate anche quando non avete numeri clamorosi da mostrare. Le persone vogliono verità, non performance. E poi ricordate che la comunicazione non è un reparto, è un comportamento collettivo. Tutti, in azienda, comunicano: dal CEO all’addetto alla reception.
Il welfare, se è vissuto davvero, diventa parte naturale del racconto aziendale.
AB: In chiusura, se dovessi sintetizzare il senso del tuo intervento in una frase?
RP: Direi che la comunicazione rende concreto il welfare. Perché se non lo racconti, il welfare resta un gesto invisibile. E se lo racconti male, diventa solo marketing. Ma se lo racconti bene, con autenticità, allora diventa cultura. E questo, per me, è il punto in comune tra comunicazione e sostenibilità: entrambe funzionano solo se sono veri atti di responsabilità.