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Welfare Aziendale
Servizi che danno colore al lavoro dei dipendenti e alla vita privata
Welfare Aziendale

Marzo 28, 2025
Welfare Aziendale
Lo smart working per migliorare il welfare aziendale
Lo smart working è una modalità di lavoro che sempre più aziende concedono ai propri dipendenti, per offrire loro la possibilità di migliorare l’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. Cosa che va a vantaggio anche della produttività dell’impresa.
Tra il 2020 e il 2022, complice la pandemia, ha conosciuto un'accelerazione forzata. Migliaia di aziende, anche le più restie, hanno dovuto adottarlo in emergenza, scoprendone poi il potenziale. Quel momento ha segnato una svolta: oggi, nel 2025, il lavoro agile è entrato stabilmente tra le opzioni organizzative di molte imprese, anche se con modalità molto diverse tra loro.
Lo smart working, infatti, non solo aiuta i lavoratori a raggiugere il cosiddetto work-life balance, ma ha anche effetti positivi sul welfare aziendale. Vediamo perché
Cosa significa welfare aziendale?
Lo smart working è un welfare aziendale?
I benefici del lavoro agile
Smart working e produttività
Cosa significa welfare aziendale?
La parola welfare significa benessere. Sempre più spesso, questo termine viene associato alla parola “aziendale”, per indicare tutte le iniziative che un’azienda mette in campo per migliorare il benessere dei propri dipendenti, ponendoli nelle condizioni di lavorare al massimo delle proprie possibilità.
Insomma, il concetto di welfare aziendale coincide con il concetto di benessere organizzativo. Cioè la capacità di un’azienda di promuovere e mantenere un grado elevato di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori. In questo modo viene data grande rilevanza, all’interno delle politiche aziendali, al benessere dei dipendenti. Ciò significa che le imprese (e sono sempre di più, in Italia, a riconoscere la validità di queste misure) pensano a una serie di benefit e agevolazioni per migliorare la conciliazione vita-lavoro.
Come mai?
Sono numerosi gli studi che confermano che una migliore qualità della vita spinge le persone a lavorare meglio e in maniera più produttiva. L'esempio delle imprese che hanno già avviato con successo dei progetti di welfare aziendale è la dimostrazione della loro validità. Tra le misure di welfare aziendale più comuni ci sono benefit come, ad esempio, auto e telefono aziendale, viaggi, formazione, assicurazioni. Anche il miglioramento degli spazi di lavoro rientra tra queste politiche di welfare.
I vantaggi che derivano dall’attuazione o dall’incremento di un piano di welfare aziendale sono:
maggiore motivazione dei lavoratori, che si sentiranno così più legati all’azienda e avranno voglia di lavorare meglio;
riduzione dell’assenteismo; la concessione della possibilità di lavorare in maniera più flessibile spinge i dipendenti a essere più produttivi;
diminuzione del turnover, e quindi dei costi legati all’assunzione di nuovi dipendenti;
agevolazioni fiscali.
Lo smart working è un welfare aziendale?
Non esiste una risposta immediata e univoca a questa domanda. Quella dello smart working è una materia complessa, soprattutto in un Paese come l'Italia ancora un po' acerbo su questi temi.
Ad esempio, spesso e volentieri, si fa coincidere il termine smart working con la definizione di lavoro da remoto. Cosa che restringe notevolmente il suo significato e la sua utilità: lavorare in smart working, infatti, non significa solo lavorare in telelavoro. Significa, più che altro, non avere vincoli su orari e luogo di lavoro e organizzare i propri compiti per fasi, cicli e obiettivi, concordati con l’azienda, avendo anche una maggiore autonomia di gestione.
Negli ultimi anni, accanto allo smart working “tradizionale”, si stanno diffondendo modelli di lavoro ibrido, che prevedono un’alternanza tra presenza in ufficio e lavoro da remoto. Alcune aziende offrono anche il cosiddetto "work from anywhere", che consente ai dipendenti di lavorare da luoghi diversi, anche fuori dal proprio comune di residenza o dall’Italia, in base a policy aziendali sempre più flessibili. Questi approcci richiedono un'evoluzione culturale profonda e nuove competenze manageriali.
È dimostrato che avere una maggiore flessibilità di orario e poter lavorare a casa propria o nel luogo che si preferisce ha un effetto positivo sul rendimento del lavoratore e sulla qualità della sua vita.
Date queste premesse, viene da domandarsi, piuttosto, se lo smart working non sia una misura volta a migliorare il welfare aziendale e non solo un benefit da offrire al lavoratore per andare incontro alle sue esigenze di conciliazione tra vita privata e vita lavorativa. Quello che è sicuro, è che influisce positivamente sulla produttività dei lavoratori, che riescono a conciliare meglio i loro orari e i propri impegni. Di ciò, ovviamente beneficia anche l’azienda, che avrà dipendenti più felici di lavorare e vedrà aumentare la qualità del lavoro.
Oggi possiamo dire che lo smart working è sempre più riconosciuto come una componente strutturale del welfare aziendale. Alcune imprese lo inseriscono nei piani di welfare come benefit organizzativo, mentre altre lo formalizzano nei contratti di lavoro individuali o collettivi, rafforzandone il valore anche simbolico. In un contesto dove il benessere organizzativo è sempre più centrale, offrire flessibilità e autonomia è una delle scelte più apprezzate dai lavoratori.
I benefici del lavoro agile
Il lavoro agile, in Italia, è regolato da una normativa specifica: la legge n°81 del 2017. La legge stabilisce che, per poter usufruire di questa modalità di lavoro, il lavoratore deve stipulare un accordo scritto in cui vengono definite le modalità con cui prestare la propria opera al di fuori dei locali aziendali, comprese le ore e i giorni di riposo. Tale accordo deve garantire un trattamento retributivo e normativo non inferiore a quello garantito ai lavoratori che non usufruiscono del lavoro agile.
Durante l’emergenza sanitaria, sono state introdotte deroghe che hanno semplificato l’adozione dello smart working, rendendolo accessibile senza accordo individuale. Dal 1° settembre 2022, queste misure straordinarie sono state superate e la regolamentazione è tornata a prevedere l’accordo individuale scritto. Tuttavia, per incentivare la diffusione dello smart working in forma strutturata, sono stati previsti strumenti di contrattazione collettiva e linee guida settoriali che molte imprese hanno adottato. Alcuni CCNL hanno già incluso specifiche disposizioni sul lavoro agile, rendendolo parte integrante delle relazioni sindacali.
Considerando il numero crescente di aziende che decide di offrire ai propri collaboratori questa possibilità, la richiesta crescente da parte dei lavoratori e la complessità di questa modalità di lavoro, la normativa risulta ancora insufficiente a regolamentarla in maniera corretta. Lo smart working, infatti, rappresenta un cambiamento notevole sia per il lavoratore, che si trova ad avere una maggiore responsabilità nella gestione del proprio lavoro, sia per l’azienda. Ma, se messo in atto in maniera corretta e organizzata, favorisce l’incontro tra i bisogni aziendali e quelli personali del lavoratore, garantendo numerosi benefici al dipendente che ne usufruisce e all’impresa che ha deciso di concederglielo.
I benefici principali che un lavoratore può trarre dallo smart working sono tre:
miglioramento del work-life balance. In una società che ci vuole sempre più produttivi e impegnati, mantenere un soddisfacente bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa non è cosa da poco. L’assenza di vincoli e tempi troppo rigidi, la possibilità di lavorare nell’ambiente che risulta più congeniale e la valorizzazione delle proprie capacità, consentono alle persone di essere più rilassate, soddisfatte e produttive;
flessibilità. Per molti lavoratori, in particolare per le lavoratrici donne, conciliare la vita familiare con quella lavorativa, specialmente se ci sono dei figli, risulta molto difficile e stressante. Tuttavia, a dare un grande valore alla flessibilità lavorativa non è solo chi ha delle famiglie e dei bambini da gestire, ma anche i lavoratori più giovani. La maggiore flessibilità di orari e la possibilità di lavorare a distanza permettono sicuramente di conciliare meglio le necessità di lavoro e vita privata;
motivazione e soddisfazione personale. Dalla maggiore responsabilizzazione derivante dall’avere più autonomia, si ricavano anche una più grande motivazione nello svolgere bene i propri compiti e una maggiore soddisfazione personale per aver portato a termine gli obiettivi prefissati.
Va considerato anche il rovescio della medaglia: l’assenza di confini netti tra lavoro e vita privata può esporre i lavoratori a un rischio maggiore di stress e burnout digitale. Per questo motivo, molte aziende stanno introducendo politiche di diritto alla disconnessione e iniziative di supporto al benessere psicologico, spesso incluse nei programmi di welfare aziendale.
Smart working e produttività
Anche l’azienda che consente ai propri dipendenti di lavorare in maniera agile ottiene diversi vantaggi:
aumento della produttività. Secondo i dati più recenti dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, aggiornati al 2024, le imprese che adottano modelli strutturati di lavoro agile registrano un incremento medio del 12% della produttività e un miglioramento del benessere percepito del 15%;
diminuzione dei costi. Un lavoro agile ben organizzato, a fronte di un investimento iniziale in tecnologia e attrezzature per lavorare da remoto, consente alle aziende di razionalizzare le proprie risorse e ridurre i costi di gestione. Diminuendo i consumi di energia si migliora anche sul fronte della sostenibilità;
miglioramento del welfare aziendale. Non solo lo smart working consente di migliorare l’umore dei collaboratori e il loro benessere psico-fisico. Spesso, le politiche di attuazione del lavoro agile comprendono anche un’ottimizzazione degli spazi aziendali che contribuisce a migliorare il welfare aziendale.
Molte imprese, tuttavia, sono ancora caute su questa modalità di lavoro, perché sono ancorate al connubio presenza sul luogo di lavoro/numero di ore lavorate = produttività. Un pregiudizio difficile da sradicare, soprattutto perché spesso lo smart working viene attuato e gestito in maniera confusa. Per offrire dei risultati soddisfacenti e rappresentare una vera opportunità di crescita per l’azienda, lo smart working deve essere organizzato in maniera efficiente e razionale. Perché ciò sia possibile, si deve prima di tutto stilare un piano ben definito che contenga le modalità di attuazione del lavoro agile e gli obiettivi che ogni collaboratore deve raggiungere. Poi si deve offrire ai propri collaboratori la tecnologia necessaria a lavorare in smart working. Si devono formare i dipendenti perché imparino a gestire con responsabilità i propri progetti, focalizzandosi sugli obiettivi da raggiungere. Inoltre, è importante implementare la comunicazione tra azienda e collaboratori, perché risulti efficace nel mantenimento dei rapporti e nella gestione del lavoro.
In conclusione, lo smart working, se attuato in maniera razionale, rappresenta una concreta possibilità di crescita per le aziende, perché non solo favorisce il benessere dei collaboratori e l’aumento della loro produttività, ma contribuisce a migliorare notevolmente il welfare aziendale. Affinché lo smart working possa generare reale valore, però, serve un impegno a livello di cultura organizzativa: formare i manager alla gestione per obiettivi, investire nella fiducia reciproca, strutturare i momenti di comunicazione e condivisione. Solo così lo smart working potrà diventare non solo una risposta a esigenze contingenti, ma una leva strategica per la sostenibilità e la competitività aziendale.

Febbraio 17, 2025
Welfare Aziendale
Esenzione fringe benefit, ecco che cosa cambia per il 2025
Negli ultimi due anni, sono state tante le novità ai decreti di fine anno che riguardavano da vicino il mondo del lavoro. Ma cosa cambia nel 2025?
Per il triennio 2025-2027, grazie alla Legge di Bilancio 2025, la soglia di esenzione viene confermata a 1.000€ anno/dip. Sale a 2.000€ per i soli lavoratori con figli fiscalmente a carico.
Cosa sono i fringe benefits e perché riconoscerli al dipendente
Quali sono le novità 2025 sulla tassazione dei fringe benefit
Fringe benefit e auto aziendali
Cadhoc il fringe benefit ideale per azienda e dipendenti
Cadhoc nel welfare aziendale
COSA SONO I FRINGE BENEFITS E PERCHÉ RICONOSCERLI AL DIPENDENTE
I fringe benefits sono beni e servizi erogati dalle aziende ai dipendenti su base volontaria, nell’ambito di politiche di welfare aziendale volte a migliorare la qualità della vita e la produttività dei collaboratori. Essi sono costituiti sia da strumenti e agevolazioni che migliorano e facilitano la vita lavorativa del dipendente, sia da benefici di cui i collaboratori possono usufruire nella loro sfera privata, durante il tempo libero, per perseguire i propri interessi, e a cui possono avere accesso anche le famiglie. Alcuni esempi sono i buoni spesa e i buoni acquisto per beni e servizi di vario genere, come viaggi e vacanze con il welfare aziendale.
I fringe benefit sono benefici accessori che, in passato, molte aziende vedevano solo come costi aggiuntivi da evitare il più possibile, oppure come vantaggi a cui avevano diritto solo i dipendenti delle grandi aziende. Il massimo che veniva concesso ai lavoratori era una gratifica in busta paga, più o meno generosa, se il bilancio di quell’anno mostrava un segno positivo.
Oggi, invece, sempre più imprese, anche di medie e piccole dimensioni, sono attente alle esigenze dei propri collaboratori e si sono rese conto del valore aggiunto che comporta la concessione di questo tipo di agevolazioni, a partire dallo smart working, sempre più diffuso. Questo perché ci si è accorti che i dipendenti appagati e soddisfatti sono più produttivi e rappresentano quindi un vantaggio per l’azienda, che vedrà così aumentare il proprio potenziale. Inoltre, i fringe benefit non concorrono a formare il reddito del lavoro dipendente (art. 51 comma 3 del TIUR), cosa che costituisce un altro grande vantaggio per il lavoratore.
Riconoscere i fringe benefits al dipendente significa investire nel capitale umano della propria impresa, e questo è importante perché:
I dipendenti che si sentono più gratificati e meno stressati sono più produttivi;
si crea un rapporto di fiducia più stretto tra l’impresa e i suoi collaboratori;
si riduce il turnover;
la reputazione aziendale subisce un miglioramento visibile;
le persone talentuose in cerca di lavoro vengono invogliate ad entrare a lavorare in azienda;
Inserire i fringe benefit nel proprio piano di welfare aziendale è conveniente per le aziende anche da un punto di vista fiscale, perché ad essi il fisco riserva una tassazione agevolata. In questo caso, l’importo esente dei fringe benefit può essere riconosciuto anche per i rimborsi delle utenze domestiche di acqua, luce e gas naturale (no GPL), delle spese sostenute per l’affitto e degli interessi sul mutuo della prima casa.
QUALI SONO LE NOVITÀ 2025 SULLA TASSAZIONE DEI FRINGE BENEFIT
È bene ricordare che la norma a cui fare riferimento è l’articolo 51, comma 3, del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), che disciplina la tassazione del reddito da lavoro dipendente.
La Circolare dell’Agenzia delle Entrate ha riassunto tutte le novità circa i fringe benefit relative al triennio 2025-2027 come stabilite dalla relativa Legge di Bilancio 2025.
Ecco le novità introdotte nel 2025 dalla normativa:
La soglia di esenzione dei fringe benefit viene confermata a 1000 euro per tutti i dipendenti ed a 2000 euro per dipendenti con figli fiscalmente a carico.
Per "figli fiscalmente a carico" si intendono i figli minori di 30 anni che, nel periodo d'imposta dell'anno in corso, hanno un reddito totale, al lordo delle detrazioni fiscali, che non supera i 2.840,51€. Tuttavia, per i figli di età inferiore ai 24 anni, questa soglia sale a 4.000€, come specificato nel comma 2 dell'articolo 12 del TUIR. È importante notare che i figli devono essere fiscalmente a carico per l'intero anno solare. Nel caso in cui, durante l'anno, il reddito del figlio superasse la soglia massima prevista (rendendo quindi il figlio non più a carico), il dipendente subirebbe trattenute fiscali e contributive sullo stipendio di dicembre, applicate sull'intero fringe benefit erogato nell'anno in corso.
Tra i beneficiari di questa agevolazione rientrano i soggetti titolari di redditi da lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente (come collaboratori coordinati e continuativi, lavoratori a progetto, amministratori, stagisti, eccetera).
Al superamento del limite di euro 1.000 o 2.000 stabilito, il valore è soggetto a tassazione per l’intero importo; nell’ambito di questi importi, possono essere riconosciuti, anche i rimborsi delle utenze domestiche di acqua, luce e gas naturale (no GPL), delle spese sostenute per l’affitto e degli interessi sul mutuo della prima casa.
Per i premi e le somme erogati negli anni 2025, 2026 e 2027, l’aliquota dell’imposta sostitutiva sui premi di produttività, di cui all’articolo 1, comma 182, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è ridotta al 5%.
FRINGE BENEFIT E AUTO AZIENDALI
Tra i benefit più apprezzati dai dipendenti c’è senza ombra di dubbio la concessione di un’auto aziendale ad uso promiscuo. Il dipendente che la riceve come premio, quindi, potrà utilizzarla sia per scopi personali sia per recarsi sul luogo di lavoro e per partecipare a eventi aziendali, convegni e appuntamenti con clienti. Nell’articolo 51, comma 4, lettera A il TUIR disciplina i criteri per calcolare la misura in cui l’utilizzo promiscuo dell’auto concorre a formare il reddito da dipendente.
Ecco alcune informazioni che possono tornare utili quando il fringe benefit è corrisposto sotto forma di auto aziendale. In questo caso, il benefit ha natura forfettaria e non è quindi collegato né agli eventuali costi a carico del dipendente (carburante, manutenzione, pneumatici, bollo, assicurazione RCA) né ai chilometri percorsi (per fare un esempio pratico, la tassazione non cambia tra chi percorre 20000 km in un anno e chi ne percorre 40000). Inoltre, nonostante il fringe benefit auto aziendale sia stabilito su base annuale, deve essere assoggettato mese per mese a tassazione ed esposto nel cedolino
Ma come si fa il calcolo del fringe benefit sulle auto aziendali? È necessario considerare due aspetti principali:
il chilometraggio standard definito dalla normativa, che equivale a 15000 km
il costo chilometrico di esercizio della vettura, che viene indicato nelle tabelle che l’ACI pubblica annualmente sulla Gazzetta Ufficiale
Il rimborso chilometrico fa parte dei costi di impresa ed è quindi deducibile. Ti invitiamo a consultare il portale ACI per conoscere limiti ed eccezioni.
CADHOC IL FRINGE BENEFIT IDEALE PER AZIENDA E DIPENDENTI
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Un dono sempre indovinato, sia per chi lo fa che per chi lo riceve.
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CADHOC NEL WELFARE AZIENDALE
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Gennaio 19, 2025
Welfare Aziendale
Banca ore, in cosa consiste e come funziona?
Con la banca ore i lavoratori possono accantonare le ore di straordinario per usufruire di permessi extra.
Le aziende hanno a disposizione diversi strumenti per offrire ai lavoratori dipendenti delle misure di welfare che permettano loro di gestire la propria attività lavorativa con maggiori autonomia e flessibilità. Uno dei più apprezzati è la banca ore: un ausilio che permette di ottenere permessi extra sfruttando le ore di lavoro straordinario svolte durante l’anno. In questa guida ti spiegheremo tutto quel che c’è da sapere sul funzionamento della banca ore.
Cos'è e come funziona la banca ore?
Banca ore e riposo compensativo: quale differenza?
Banca ore: come ed entro quando utilizzarla
Come si calcola la banca ore
Tassazione della banca ore
Banca ore e busta paga
Banca ore e part time
La banca ore nel CCNL del Commercio
La banca ore nel CCNL dei Metalmeccanici
Che cos'è la banca ore solidale
Che differenza c'è tra flessibilità oraria e banca ore?
Cos’è e come funziona la banca ore?
La banca ore è uno strumento che permette al lavoratore di accantonare in un conto individuale le ore di lavoro straordinario svolte nel corso dell’anno e trasformarle poi in permessi retribuiti extra. È prevista dalla maggior parte dei CCNL e si inserisce nel quadro normativo che disciplina l’orario di lavoro in Italia, oggi regolato principalmente dal Decreto Legislativo 66/2003 e dalle direttive europee in materia di tempi di lavoro.
Le ore di straordinario sono le ore di lavoro prestate oltre l’orario di lavoro normale, che per legge è fissato nel limite di 40 ore settimanali, anche se i contratti collettivi hanno la facoltà di fissare un limite inferiore o superiore, purché non vengano superate le 48 ore settimanali.
Al contrario di altri strumenti di welfare aziendale, la banca ore non è regolamentata da leggi precise, ma direttamente dal CCNL di categoria, dalla contrattazione di secondo livello o dal contratto individuale di ciascun lavoratore dipendente. Di solito, la banca ore viene proposta come un’alternativa al pagamento in busta paga delle ore di straordinario. Il lavoratore, cioè, può scegliere di accantonare queste ore nel suo portafoglio virtuale e utilizzarle in seguito, sotto forma di permessi extra.
Ci sono poi alcuni casi, come quello del contratto collettivo dei metalmeccanici, che prevedono che, anche se un dipendente decide di accantonare le ore di lavoro straordinario nella banca ore, queste vengano comunque pagate (di solito con un importo pari al 50% della paga spettante per le ore di lavoro svolte in eccesso).
Mentre i lavoratori con contratto a tempo indeterminato possono sempre accedere all’istituto della banca ore, i lavoratori con contratto a tempo determinato possono accedervi solo se questa possibilità è prevista dal contratto collettivo di riferimento. La banca ore è considerata a tutti gli effetti una misura di welfare aziendale perché offre al lavoratore una maggiore flessibilità e gli permette di migliorare il proprio work-life balance, così da dedicare più tempo alla vita privata.
Banca ore e riposo compensativo: quale differenza?
La legge stabilisce che, dopo sei giorni di lavoro continuato, il lavoratore dipendente abbia diritto ad uno stacco di 24 ore, che, solitamente, coincide con il riposo settimanale. Se il dipendente non gode del giorno di riposo settimanale perché ha effettuato delle ore di lavoro straordinario, questo deve essere necessariamente recuperato.
I riposi compensativi sono quindi i giorni di riposo di cui il lavoratore usufruisce per recuperare i giorni di riposo persi a causa dello straordinario. Di solito, l’istituto della banca ore va a sostituire i riposi compensativi, che, quindi, vengono erogati solamente qualora il contratto di lavoro non la preveda.
Banca ore: come ed entro quando utilizzarla
Normalmente, le ore di lavoro straordinario accantonate nella banca ore possono essere utilizzate per richiedere le ore di permesso a partire dal mese successivo a quello in cui sono state svolte, chiedendo l’autorizzazione al datore di lavoro con un tempo di preavviso congruo. L’utilizzo di permessi extra va ad intaccare il monte della banca ore, senza erodere le ferie o i giorni di riposo a cui ha diritto il dipendente.
Se il lavoratore non usufruisce delle ore di permesso entro la scadenza delle stesse può richiedere che queste vengano pagate come normali ore di lavoro. La scadenza delle ore accantonate in banca ore non è fissa, perché ogni contratto ha condizioni diverse. Le aziende, di solito, concedono almeno un anno di tempo per usufruire delle ore accantonate.
In caso di una lavoratrice rientrata dalla maternità, è bene sapere che può utilizzare i permessi accumulati in banca ore cumulandoli con i riposi per allattamento regolati dall’INPS.
Come si calcola la banca ore
All’interno del conto della banca ore vengono quindi inserite tutte le ore di lavoro straordinario che il lavoratore ha deciso di accantonare per poter usufruire di permessi aggiuntivi rispetto alle ferie o ai riposi. In molti casi, la contrattazione collettiva prevede che al suo interno confluiscano anche i permessi ROL e le ex festività non goduti.
Il numero di ore accantonabili nella banca ore viene stabilito dal contratto collettivo, che può anche stabilire che una certa quota di ore di lavoro straordinario vi confluisca automaticamente. Ogni volta che il lavoratore faccia richiesta di permessi accedendo alla banca ore, le ore utilizzate vengono scalate dal monte ore.
Di solito, quando si avvicina il momento della scadenza delle ore accantonate, si esegue un calcolo per scoprire quante ore siano rimaste all’interno della banca ore. Il calcolo si esegue sottraendo il numero di ore di cui il lavoratore ha usufruito dal totale di ore accantonate. Se il saldo è pari a zero, il lavoratore non potrà più usufruire dei permessi extra fino a che non abbia accumulato altre ore di lavoro in banca ore. Se, invece, il saldo è a credito, queste vengono retribuite in busta paga secondo gli importi stabiliti dal CCNL.
Tassazione della banca ore
Le ore di lavoro accantonate in banca ore sono soggette alla tassazione IRPEF e al pagamento dei contributi previdenziali. La tassazione della banca ore avviene però in momenti diversi rispetto alla retribuzione ordinaria. Le ore di straordinario che finiscono in banca ore, infatti, non vengono tassate al momento del loro accantonamento, ma nel momento in cui vengono utilizzate o rimborsate.
Se, ad esempio, un lavoratore decide di usufruire di 8 ore di permesso scalandole dalla banca ore, queste non saranno decurtate dalla retribuzione di base. Pertanto, le ore di permesso verranno retribuite come normali ore di lavoro e saranno assoggettata alla tassazione IRPEF e al versamento dei contributi INPS.
Se, invece, il lavoratore non utilizza le ore accantonate in banca ore e le stesse vengono monetizzate, il versamento dei contributi e dell’IRPEF avverrà nel momento in cui avviene il pagamento in busta paga delle stesse.
A partire dal 2024, con il nuovo assetto dell’IRPEF a tre aliquote, la tassazione delle ore monetizzate può essere leggermente diversa rispetto al passato, soprattutto per i redditi più bassi. Tuttavia, resta in vigore l’imponibilità piena sia ai fini fiscali che previdenziali, salvo diverse indicazioni da contratti aziendali o collettivi.
Banca ore e busta paga
Le ore di lavoro straordinario effettuate da un lavoratore vengono sempre inserite in busta paga. Se un dipendente usufruisce della banca ore, però, cambiano il momento e le modalità con cui queste ore vengono registrate sul cedolino.
Ecco qualche esempio pratico per comprendere meglio come viene inserita la banca ore in busta paga.
Esempio 1: il lavoratore chiede che le ore di straordinario gli vengano pagate
Giuseppe, nel mese di marzo, effettua 10 ore di lavoro straordinario:
6 ore sono retribuite con la maggiorazione del 25%
4 ore, effettuate nei giorni festivi, sono retribuite con la maggiorazione del 55%
Di solito, Giuseppe effettua giornate lavorative di 6 ore e la sua retribuzione ordinaria è di 10,50 euro all’ora.
Le ore di straordinario, in questo caso, fruttano a Giuseppe 143,80 euro. L’imponibile contributivo è pari al totale delle competenze, comprensive di straordinario.
DESCRIZIONE
QUANTITÀ
DATO BASE
COMPETENZE
Retribuzione base
162
€10,50
€1701,00
Lavoro straordinario 25%
6
€13,12
€78,72
Lavoro straordinario al 55%
4
€16,27
€65,08
Esempio 2: il lavoratore chiede che le ore di straordinario vengano accantonate in banca ore
Giuseppe decide che le 10 ore di lavoro straordinario svolte nel mese di marzo vengano accantonate in banca ore. In questo caso, il contratto collettivo del suo settore prevede che gli vengano corrisposte maggiorazioni nella retribuzione anche nel caso in cui lo straordinario venga accantonato in banca ore.
Ponendo il caso che Giuseppe abbia già 6 ore accantonate in banca ore, con l’aggiunta di quelle maturate nel mese di marzo queste saliranno a 16. In busta paga, invece, gli verranno riconosciuti 40,42 euro per le ore di straordinario effettuate.
DESCRIZIONE
QUANTITÀ
DATO BASE
COMPETENZE
Retribuzione base
162
€10,50
€1701,00
Maggiorazione banca ore 12,5%
6
€11,81
€18,37
Maggiorazione banca ore 27,5%
4
€13,38
€22,05
Esempio 3: il lavoratore usufruisce delle ore accantonate
Nel mese di maggio, Giuseppe non effettua straordinario, ma decide di usufruire di 5 delle ore accantonate in banca ore. In questo caso, in busta paga verrà indicato che il lavoratore ha deciso di usare 5 ore di permesso, prendendole dalla banca ore, il cui saldo scende a 11.
Queste ore non vengono sottratte dalla retribuzione oraria base, in quanto Giuseppe ha diritto alla paga ordinaria anche qualora usufruisca della banca ore.
La base imponibile, in questo caso, è data dalla retribuzione base, che è comprensiva delle ore di permesso della banca ore.
DESCRIZIONE
QUANTITÀ
DATO BASE
COMPETENZE
Retribuzione base
162
€10,50
€1701,00
Recupero banca ore
5
Esempio 4: il lavoratore non usufruisce delle ore accantonate entro la scadenza stabilita
È scaduto l’anno di tempo che l’azienda concede ai suoi dipendenti per usufruire delle ore accantonate in banca ore. Giuseppe ha ancora a disposizione 11 ore residue che verranno monetizzate nel mese di dicembre dell’anno successivo.
In questo caso, oltre alla retribuzione base, al lavoratore spetteranno anche 115,50 euro per la liquidazione delle ore della banca ore non godute.
La base imponibile per la contribuzione sarà costituita dalla retribuzione base e dall’importo della monetizzazione della banca ore.
DESCRIZIONE
QUANTITÀ
DATO BASE
COMPETENZE
Retribuzione base
162
€10,50
€1701,00
Monetizzazione banca ore
10
€10,50
€115,50
Banca ore e part time
Per quanto riguarda il part-time, è bene ricordare che in questi tipi di contratto non è prevista una banca ore, bensì quattro giorni all’anno di permessi frazionati, ovvero 30 ore, che devono essere proporzionati all’orario di lavoro del dipendente.
Per i lavoratori part-time, inoltre, c’è la possibilità di accedere alla banca ore solo se in possesso di un contratto di lavoro part-time verticale, perché, normalmente, gli straordinari non sarebbero permessi. Questa possibilità, tuttavia, rimane condizionata dalle regole stabilite dal CCNL.
È obbligatorio utilizzare i permessi frazionati, detti anche PFR, entro e non oltre il 31 dicembre sotto forma di permessi retribuiti, anche frazionabili nel limite di almeno 1 ora. Questi, potranno essere utilizzati unendoli a periodi di ferie. Nel caso in cui il lavoratore non dovesse utilizzarli entro la data stabilita, tali permessi saranno perduti e non monetizzati.
La banca ore nel CCNL del Commercio
Il CCNL del Commercio prevede che il datore di lavoro possa utilizzare la banca ore per gestire eventuali picchi di lavoro tramite l’accantonamento delle ore straordinarie.
I lavoratori possono godere dei riposi compensativi in pacchetti di 4 o 8 ore. Inoltre, è permessa la fruizione in maniera collettiva – quindi contemporaneamente da più dipendenti - dei riposi compensativi, purché questi non comprendano i mesi di luglio, agosto e settembre e la forza lavoro assente non superi il 10%. Il CCNL del Commercio, inoltre, prevede che per il sabato o il giorno in cui nell’arco di una settimana si verifica un’intensità di lavoro più alta, la percentuale di dipendenti a riposo scenda al 5% della forza complessiva occupata.
Ma come si richiedono i riposi compensativi maturati con il lavoro straordinario accantonato in banca ore? In realtà è piuttosto semplice: basta infatti inoltrare al datore di lavoro un preavviso di almeno cinque giorni lavorativi.
Per concludere, il datore di lavoro è tenuto entro e non oltre il 31 dicembre a fornire a ogni lavoratore il dettaglio sulla maturazione delle ore di straordinario depositate in banca ore sia degli eventuali riposi compensativi detratti.
L’ultima intesa per il rinnovo del CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi (siglata nel marzo 2024) ha confermato l’impianto della banca ore e rafforzato il principio della fruizione collettiva dei riposi, mantenendo però i vincoli legati alla stagionalità. È stata inoltre ribadita la necessità per il datore di lavoro di comunicare al dipendente, entro il 31 dicembre, il saldo aggiornato delle ore accantonate e fruite.
La banca ore nel CCNL dei Metalmeccanici
Per quanto riguarda il CCNL dei Metalmeccanici e Piccola Industria, secondo la normativa in vigore ogni ora svolta oltre le 40 ore settimanali potrà essere caricata nella banca ore e retribuita come lavoro straordinario o, altrimenti, come riposo compensativo.
I lavoratori avranno la possibilità di usufruire dei riposi compensativi seguendo la stessa prassi dei ROL, mentre le ore di straordinario accumulate, se non utilizzate entro due anni, sarà obbligatorio liquidarle in busta paga.
Infine, l’accordo firmato per l’industria metalmeccanica prevede che qualora il lavoratore volesse accantonare le ore straordinarie effettuate in banca ore, dovrà comunicarlo entro il mese in cui si svolgeranno gli straordinari.
Anche il rinnovo del CCNL Metalmeccanici del 2024 ha confermato l’impianto della banca ore, sottolineando l’importanza del bilanciamento tra tempi di vita e di lavoro. È stata ribadita la scadenza biennale delle ore accantonate e la necessità di una comunicazione preventiva da parte del lavoratore per l’accantonamento.
Che cos’è la banca ore solidale?
La banca ore solidale segue il principio che tutti i lavoratori possano cedere i propri riposi e ferie ai colleghi che, ad esempio, debbano assistere un parente bisognoso di cure o un figlio ammalato, nel rispetto tuttavia della loro fruizione minima. È possibile cedere esclusivamente le ferie aggiuntive che eccedano le quattro settimane annuali e i riposi che superino quelli minimi definiti per legge, ovvero oltre le undici ore di riposo consecutivo ogni 24 ore e 24 ore di riposo consecutivo ogni sette giorni.
È importante sottolineare che la cessione deve sempre e in ogni caso avere luogo a titolo gratuito.
Alcuni contratti collettivi, come quello del Commercio e dei Metalmeccanici, hanno previsto nuove condizioni agevolate per la cessione solidale, soprattutto nei casi di malattia grave o assistenza a figli minori con disabilità.
Che differenza c'è tra flessibilità oraria e banca ore?
Molti si chiedono spesso se ci sia una differenza fra flessibilità oraria e banca ore. Per flessibilità oraria si intende un insieme di istituti contrattuali che permettono ai lavoratori di sfruttare un orario di lavoro da poter distribuire nell’arco di una giornata, di una settimana o di un mese, entro i limiti stabiliti dai vari contratti collettivi nazionale e da quelli aziendali.
Per fare un esempio, con l’orario flessibile i dipendenti possono entrare o uscire dal luogo di lavoro entro delle fasce orarie prestabilite e non per forza a una determinata ora (è la cosiddetta flessibilità in entrata e in uscita). In questo modo quindi il lavoratore non solo acquisisce una maggiore autonomia decisionale, ma ha la possibilità di conciliare al meglio gli impegni lavorativi e la sua vita privata.
Altri esempi di flessibilità oraria sono l’orario concentrato, ossia la possibilità di non fare la pausa pranzo in modo da poter uscire in anticipo dal posto di lavoro, e il lavoro ad isole, che consente a un gruppo di dipendenti che svolgono la stessa mansione di organizzarsi in autonomia per permettere ai singoli di assentarsi senza che ciò crei disagi e incida sulla qualità del lavoro, il cui svolgimento sarà comunque garantito dagli altri dipendenti del team.
La banca ore, come spiegato in questo articolo, non è altro che un altro modello organizzativo per far sì che i lavoratori abbiano una maggiore flessibilità lavorativa e quindi una migliore conciliazione vita-lavoro.

Gennaio 13, 2025
Welfare Aziendale
A chi è rivolto il welfare aziendale?
I lavoratori dipendenti del settore privato sono coloro che hanno diritto al welfare aziendale: misure volte a migliorare la qualità della loro vita. Scopri in questo articolo maggiori informazioni a riguardo.
Lo strumento del welfare aziendale è impiegato da un numero sempre crescente di aziende per offrire un sostegno al reddito dei lavoratori e soddisfarne i bisogni, così da migliorare la conciliazione vita-lavoro. Per loro natura, le misure di welfare aziendale non possono essere erogate ad personam ma devono essere rivolte a una pluralità di soggetti.
Il piano di welfare lo troviamo in tutte le aziende?
Sono sempre di più le aziende italiane, anche tra le PMI, che riconoscono il valore del welfare aziendale e decidono di offrire ai propri dipendenti benefit e incentivi di vario tipo. Anche grazie all’introduzione del Jobs Act, che si è posto come obiettivo l’introduzione di sistemi di welfare aziendale sempre più dinamici e innovativi.
Spesso, sono gli stessi contratti collettivi di categoria che impongono alle imprese di mettere a disposizione dei propri dipendenti misure di welfare aziendale di vario tipo. Altre volte, sono le aziende che decidono di offrirle autonomamente ai lavoratori.
Tuttavia, ciò non significa che tutte queste imprese abbiano attuato un piano di welfare aziendale. Sono molti i casi in cui le misure vengono erogate senza essere comprese in uno schema ben definito.
Obbligatorietà nei contratti collettivi
La sempre crescente attenzione nei confronti del welfare aziendale e dei suoi numerosi vantaggi per aziende e dipendenti ha fatto sì che sempre più categorie ne riconoscessero l’utilità.
Così, negli ultimi anni, è accaduto sempre più spesso che, in occasione del rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro di diversi settori siano state incluse al loro interno una serie di iniziative per migliorare la qualità della vita dei dipendenti.
I primi a inserire l’obbligatorietà delle misure di welfare nel loro contratto collettivo sono stati i metalmeccanici, seguiti poi da altri settori, tra cui le telecomunicazioni, gli orafi e argentieri, gli operatori di telefonia, il turismo e la ristorazione.
Secondo quanto stabilito da questi contratti, il contributo non può essere monetizzato, cioè non può essere inserito nella busta paga del dipendente o convertito in denaro, ma deve essere finalizzato all’erogazione di beni e servizi che rientrino tra le misure di welfare aziendale.
Quali sono i vantaggi
Perché le misure di welfare offerte ai dipendenti risultino davvero efficaci e riscuotano il consenso delle persone a cui sono rivolte, è bene che vengano inserite all’interno di un piano di welfare aziendale.
Nel piano di welfare, infatti, sono indicati:
le categorie di dipendenti che hanno diritto a beneficiare dei beni e dei servizi offerti;
quali beni e servizi siano i più adatti ad essere erogati ai lavoratori;
le modalità in cui deve avvenire l’erogazione delle misure di welfare;
i criteri di valutazione per capire se il piano stia o meno funzionando.
Il piano di welfare aziendale, perciò, offre alle imprese diversi benefici:
consente di individuare le misure di welfare già presenti in azienda e di valorizzarle;
permette di strutturare l’offerta di beni e servizi di welfare in modo da renderla davvero conveniente sia per l’impresa, sia per i lavoratori;
consente di monitorare la soddisfazione dei dipendenti nei confronti dei servizi di welfare erogati.
I vantaggi per i lavoratori
Grazie al welfare aziendale i lavoratori hanno accesso a una serie di agevolazioni sia lavorative che personali, come ad esempio l’orario di lavoro flessibile o la possibilità di ottenere beni e servizi per sé e per i familiari, che favoriscono la conciliazione vita-lavoro, riducono il livello di stress e aumentano il benessere di chi le riceve.
I servizi di welfare, inoltre, possono essere totalmente o parzialmente detassati, sia dal punto di vista contributivo, sia dal punto di vista retributivo, cosa che aumenta il potere d’acquisto del beneficiario.
Le soluzioni proposte da Up Day
Le aziende che trovano difficile gestire il proprio piano di welfare possono affidarsi ad una società come Day, che ha sviluppato la piattaforma Day welfare.
Un servizio strutturato e completo, che permette di comporre le tipologie di benefit in base alle esigenze aziendali, così da garantire la soddisfazione dei dipendenti, stilare il regolamento che ne regola la fruizione e offrire un supporto continuo agli HR manager.

Gennaio 10, 2025
Welfare Aziendale
La tassazione dei fringe benefits
Sono sempre di più le aziende che sviluppano piani di welfare aziendale che comprendono l’erogazione di fringe benefits. Scopri se, quando e come vengono tassati. Considerati come benefici in natura, i fringe benefits sono beni e servizi alternativi alla retribuzione in denaro che finiscono comunque in busta paga. Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla loro tassazione.
I fringe benefits sono tassati?
Casi di esclusione dalla tassazione
Qual è la normativa in fatto di tassazione dei fringe benefits?
Fringe benefits in busta paga
I fringe benefits sono tassati?
Secondo il principio di onnicomprensività stabilito dal comma 1 dell’articolo 51 del TUIR qualsiasi bene, servizio o somma di denaro che il datore di lavoro abbia attribuito al dipendente deve necessariamente risultare in busta paga.
Quindi tutti i fringe benefits, che sono delle agevolazioni concesse da un’azienda ai propri dipendenti, devono essere indicati in busta paga.
Ciò vuol dire che verranno tassati? La risposta a questa domanda è quasi sempre sì.
La maggior parte dei fringe benefits è considerata parte del reddito accumulato dal lavoratore nel corso dell’anno d’imposta e quindi viene assoggettata a tassazione INPS e IRPEF.
Diciamo quasi sempre perché ci sono dei casi in cui i fringe benefit sono esclusi dalla tassazione, e altri in cui le tasse sono dovute solo per una parte del valore del bene o servizio accessorio erogato dall’azienda al proprio collaboratore.
Per calcolare correttamente le imposte dovute sui fringe benefit, bisogna anche tenere conto della differenza tra la base contributiva e la base retributiva. Per quanto riguarda il versamento dei contributi, infatti, esistono delle soglie oltre le quali un bene o servizio non è più tassabile. Per il versamento dell’imposta sui redditi, invece, può diventare imponibile l’intero valore del bene, a meno che esso non sia compreso tra i casi di esclusione totale o parziale.
Solitamente, è il datore di lavoro che inserisce i fringe benefit in busta paga e si occupa di trattenere alla fonte la quota dovuta per il pagamento delle imposte. Tuttavia, anche per il dipendente è importante conoscere sempre il valore del fringe benefit che viene erogato e i casi in cui esso può essere escluso totalmente o parzialmente dalla tassazione.
Casi di esclusione dalla tassazione
Anche se la maggior parte dei fringe benefits viene tassata, ci sono diversi casi in cui essi sono esenti in maniera totale o parziale dall’imposizione fiscale.
Come per il principio di onnicomprensività, anche in questo caso a venirci in aiuto per farci capire quali sono i casi in cui i fringe benefit sono esclusi dalla tassazione è l’articolo 51 del TUIR, che elenca tutti i casi in cui essi sono esenti dal rientrare nella base imponibile per il pagamento delle imposte.
Vediamo quali sono i principali casi di esclusione dei fringe benefits dal pagamento delle tasse, tenendo anche conto dell’aggiornamento del TUIR alla Legge di Bilancio 2025:
i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza agli obblighi di legge, e i contributi di assistenza sanitaria versati ad enti che hanno esclusiva finalità assistenziale fino a un importo massimo di €3.615,20;
la somministrazione di vitto da parte del datore di lavoro all’interno di mense aziendali gestite direttamente dall’azienda o da soggetti terzi;
la prestazione di servizi di trasporto collettivo offerta alla collettività o a una sola categoria di dipendenti, anche se affidata ad aziende di trasporto pubblico; le somme erogate o rimborsate per l’acquisto di abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico alla collettività dei dipendenti o a una parte di essi o ai loro familiari;
tutte le somme, i servizi e le prestazioni erogati dalle imprese alla generalità o a una parte dei dipendenti per far sì che i loro familiari possano avere accesso ai servizi di istruzione (anche scuole dell’infanzia), ai servizi di mensa ad essi collegati, alle ludoteche, ai centri estivi e doposcuola;
le borse di studio erogate ai familiari dei dipendenti;
le assicurazioni stipulate dall’azienda contro il rischio di infortuni a carico del lavoratore;
il valore delle azioni in stock option a condizione che rimangano in possesso del dipendente per almeno 3 anni.
Questi sono i principali casi di esclusione totale dei fringe benefits dalla tassazione.
Ci sono, poi, altre agevolazioni che concorrono solo in parte a formare il reddito imponibile. Tra le più importanti ci sono:
i buoni pasto;
l’auto aziendale ad uso promiscuo (se l’auto è ad esclusivo uso aziendale è invece totalmente esente dalla tassazione);
i prestiti a tasso agevolato erogati dal datore di lavoro ai collaboratori;
i fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato;
i rimborsi spese.
Qual è la normativa in fatto di tassazione dei fringe benefits?
La normativa di riferimento per la tassazione dei fringe benefits è il TUIR (il Testo Unico sull’Imposta dei Redditi), emanato con il Decreto del Presidente della Repubblica n° 917 del 22 dicembre 1986 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre dello stesso anno), di cui ogni anno viene approvata una versione aggiornata all’attuale legge di bilancio.
L’articolo 51 del TUIR comma 3, in particolare, stabilisce anche quali siano i fringe benefits che rientrano nel reddito imponibile e i casi di deducibilità totale o parziale.
Esonero dei fringe benefit dalla tassazione
Secondo quanto stabilito dalla legge: tutti i beni o servizi erogati dal datore di lavoro ai dipendenti sotto forma di contributo liberale, compresi voucher, buoni sconto e omaggi aziendali (sono esclusi i buoni pasto) nel medesimo anno di imposta, sono esonerati dal concorrere alla formazione del reddito da lavoro dipendente per un importo complessivo di 258,23 euro. Per il triennio 2025-2027 questo limite, grazie alla La Legge di Bilancio 2025, è stato aumentato a 1.000 euro per tutti i lavoratori, che si alza a 2.000 euro per dipendenti con figli fiscalmente a carico.
Anche i buoni pasto sono esclusi dalla tassazione, ma solo nel caso in cui non siano di importo superiore ai 4,00 euro per quanto riguarda i buoni cartacei, e agli 8,00 euro per i buoni elettronici. In caso vengano erogati al lavoratore buoni di importi maggiori, la parte eccedente i limiti fissati dalla legge concorrerà a formare il reddito imponibile.
Valore normale e valore convenzionale
Al fine di inserire correttamente in busta paga gli importi che formano il reddito da lavoro dipendente, è importante conoscere con certezza il valore del bene.
Nella maggior parte dei casi, si considera come base imponibile il valore normale del bene (art. 9 del TUIR), che consiste nel prezzo praticato in media per la sua vendita.
Ci sono poi alcune eccezioni, come le auto aziendali ad uso promiscuo, gli immobili offerti al dipendente e i prestiti in cui la base imponibile è data da un valore convenzionale.
Fringe benefits in busta paga
La quota di fringe benefits che finisce in busta paga e, quindi, viene tassata, nella maggioranza dei casi non costituisce l’intero valore del benefit.
Tra i casi più comuni di tassazione in busta paga dei fringe benefits ci sono:
l’auto aziendale;
i prestiti concessi ai dipendenti;
le abitazioni concesse in affitto ai collaboratori.
Nel primo caso, quello dell’auto aziendale, la somma che andrà inserita in busta paga viene stabilita servendosi di un costo chilometrico convenzionale, che è contenuto in apposite tabelle aggiornate ogni anno dall’ACI.
Per quanto riguarda i prestiti concessi ai dipendenti, la somma da inserire in busta paga è pari al 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento (TUR) e l’importo degli interessi calcolato in base al tasso agevolato applicato dall’azienda.
Se ad un dipendente viene concessa un’abitazione in affitto, la somma che verrà indicata in busta paga è pari alla differenza tra rendita catastale + spese di gestione del fabbricato e il canone di affitto versato dal lavoratore.
Esempio di tassazione dei fringe benefits in busta paga
Vediamo un esempio concreto di come i fringe benefits erogati al lavoratore dipendente vengono contabilizzati in busta paga.
Uno dei benefit più diffusi in assoluto è costituito dai buoni pasto (che ha un “contatore” a parte e non rientra nel conteggio del limite dei fringe benefit.).
Mettiamo il caso che un dipendente riceva dal suo datore di lavoro dei buoni pasto elettronici del valore di 11,50 euro. La parte che eccede gli 8 euro giornalieri sarà assoggettata al versamento dei contributi e delle tasse. Ipotizziamo che i buoni pasto gli siano stati riconosciuti per 20 giorni nel mese di marzo.
Questa sarà la sua ipotetica busta paga:
retribuzione lorda euro 1.850,00;
quota assoggettabile a tassazione: 3,5 euro x 20 giorni = euro 70,00.
Ai fini del calcolo dei contributi INPS la retribuzione da prendere in considerazione sarà pari alla retribuzione lorda sommata alla quota dei buoni pasto assoggettabile a tassazione, quindi:
1.850,00 + 70,00 = 1.920,00.
Applicando a questa base imponibile l’aliquota INPS del 9,19 % si ottiene un importo di 176,44 euro, che andrà inserito in busta paga come quota contributiva da versare. Questo per quanto riguarda la contribuzione.
Adesso bisogna calcolare l’IRPEF, cioè l’imposta sul reddito da lavoro dipendente. La base imponibile per il calcolo dell’IRPEF è data dalla somma del reddito lordo alla quota di buoni pasto assoggettabile a tassazione, a cui si sottrae l’importo dovuto per i contributi INPS, quindi:
(1850 + 70) – 176,44= 1743,56
La base imponibile per l’IRPEF è quindi di euro 1743,56. Su di essa viene calcolato l’importo dell’IRPEF lorda, a cui vanno poi sottratte le detrazioni per lavoro dipendente e gli eventuali carichi di famiglia per ottenere l’IRPEF netta.
Supponendo che l’IRPEF netta (IRPEF lorda – detrazioni) sia pari ad euro 233,50, la busta paga del dipendente comprensiva di fringe benefit sarà così composta:
Retribuzione lorda
euro 1.850,00
Buoni pasto non esenti
euro 70,00
Contributi INPS
Euro 176,44
IRPEF netta
233,50
Netto a pagare
1510,06
Tassazione fringe benefit: le novità del 2025
Nel 2025 la novità più importante è stata la conferma dell’aumento della soglia di esenzione dalla tassazione per i fringe benefit, limitatamente al triennio 2025-2027.
Come già accaduto nel 2024, la soglia passa 1.000 euro (rispetto ai 258,23) per tutti i lavoratori, e sale fino a 2.000 euro per dipendenti con figli fiscalmente a carico. In aggiunta a beni e servizi, il datore di lavoro potrà rimborsare anche le spese per le utenze domestiche - luce, acqua e gas naturale (no GPL) – e il canone per l’affitto prima casa e gli interessi del mutuo sulla prima casa.