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A chi spettano i buoni pasto? Ecco cosa sapere

I buoni pasto sono tra i servizi più apprezzati dai dipendenti, che possono essere erogati ad una platea molto ampia di lavoratori. In questo articolo è possibile scoprire chi rientra nella categoria dei lavoratori a cui spettano i buoni pasto.

Non tutte le tipologie di lavoratori hanno diritto a ricevere i buoni pasto, e ci sono alcuni casi in cui non è possibile erogarli anche a chi ne ha diritto.

Per sapere a chi e quando spettano i buoni pasto, bisogna rifarsi alla normativa vigente e ai contratti di lavoro.

Ecco una piccola guida per capire quali sono i casi in cui si ha diritto a ricevere i buoni pasto, e quelli in cui si è esclusi dall’erogazione di questo benefit aziendale.

Quali lavoratori hanno diritto ai buoni pasto?

Quella della spesa per i pasti fuori casa è una voce che incide sullo stipendio di molti lavoratori dipendenti e sui bilanci di molte famiglie. Per questo, i buoni pasto rappresentano un sostegno al reddito molto apprezzato dalla maggior parte dei lavoratori.

I buoni pasto sono dei veri e propri mezzi di pagamento elettronici o cartacei, il cui valore è compreso tra un minimo di 2 e un massimo di 10 euro, che possono essere erogati dai datori di lavoro ai propri dipendenti in sostituzione del servizio di mensa.

Prima di capire chi abbia o meno diritto a riceverli, bisogna ricordare che i buoni pasto hanno una natura assistenziale, non retributiva, pertanto nessun datore di lavoro è obbligato a erogarli ai propri dipendenti, anche nel caso in cui in azienda non sia presente la mensa.

La legge, in ogni caso, prevede che le imprese possano offrire questo servizio sostitutivo della mensa aziendale ai lavoratori e stabilisce chi abbia diritto a riceverli.

La normativa vigente in materia è costituita dal Decreto 122 del 2017.

L’articolo 4 del decreto, al comma C, stabilisce che hanno diritto ad usufruire del buono pasto coloro che prestano lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche quando l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pranzo. Anche i professionisti che collaborano a progetto con un’azienda possono avere diritto al buono pasto.

Come vedi, per la legge, ha diritto ai buoni pasto una platea piuttosto ampia di lavoratori. Tuttavia, per essere sicuri di rientrare tra i fortunati che possono usufruire di questo benefit aziendale, non basta affidarsi a tale normativa.

Anche se la legislazione vigente prevede che possano essere erogati, nessuna azienda è obbligata a fornire i buoni pasto ai propri dipendenti.

A far fede è anche il contratto collettivo nazionale di ciascuna categoria: se al suo interno è prevista l’erogazione dei buoni pasto ai dipendenti delle imprese che ne fanno parte, allora l’impresa è obbligata ad erogarli.

Anche il contratto stipulato direttamente tra l’azienda e i propri dipendenti può prevedere l’erogazione di buoni pasto.

Riepilogando, hanno diritto a ricevere i buoni pasto tutti i lavoratori che prestino lavoro subordinato o a progetto, anche quando non è prevista la pausa per il pranzo, purché tale benefit sia specificatamente compreso nel CCNL di riferimento per il loro settore o negli accordi stipulati con l’azienda.

Per quanto riguarda il loro utilizzo, a stabilirne le modalità di fruizione è prima di tutto il decreto 122, che stabilisce che:

  • i buoni pasto sono nominativi e il titolare non li può cedere ad altri, neanche ai propri familiari;
  • si possono cumulare fino ad un massimo di 8 buoni pasto, che si possono spendere anche tutti in una volta;
  • ogni buono pasto deve essere speso per il suo intero valore e non dà diritto al resto (se, ad esempio, spendi 10 euro per il pasto e paghi con un buono pasto di importo maggiore, non hai diritto a ricevere i soldi del resto);
  • con i buoni pasto si possono acquistare pasti già pronti e prodotti alimentari negli esercizi convenzionati con la società emettitrice.

I buoni pasto spettano a chi lavora part-time?

La risposta a questa domanda è sì, e la troviamo nello stesso articolo 4 del decreto 122 del 2017 che abbiamo citato nel paragrafo precedente. Che dice chiaramente che i buoni pasto spettano anche a chi presta lavoro subordinato a tempo parziale.

Non solo qualora l’orario di lavoro del dipendente comprenda anche il momento del pranzo o della cena, ma anche qualora non sia prevista alcuna pausa pranzo.

In passato, il lavoratore part-time aveva diritto a ricevere i buoni pasto solo se il suo orario di lavoro copriva la fascia oraria di un pasto (pranzo o cena) o la distanza tra la sua casa e il lavoro gli rendeva impossibile consumare il pasto a casa propria.

Con il decreto 122 del 2017 le regole sono cambiate e adesso i lavoratori part-time, il cui contratto collettivo nazionale o il contratto di lavoro stipulato con l’azienda prevedano l’erogazione dei buoni pasto, hanno diritto a riceverli.

In quale misura, sono gli stessi accordi citati sopra a stabilirlo.

Alcune aziende decidono di erogare buoni di pari importo sia ai lavoratori full-time, sia ai part-time. Altre, invece, forniscono ai propri dipendenti part-time buoni di importo inferiore rispetto a quelli forniti ai dipendenti a tempo pieno.

Limitazioni

Esistono poi dei casi in cui, sebbene l’erogazione dei buoni pasto sia prevista dal CCNL e dagli accordi aziendali, il lavoratore potrebbe non avere diritto a godere di questa agevolazione.

Due dei casi in cui i servizi sostitutivi di mensa, come i buoni pasto, non sono previsti, sono:

La legge, infatti, stabilisce che ai lavoratori dipendenti spetta un buono pasto per ogni giornata lavorativa, in sostituzione del servizio mensa. Quando il dipendente non lavori, perciò, non ha diritto all’erogazione dei buoni pasto.

Nel caso in cui l’azienda decidesse di corrisponderli comunque al lavoratore, essi sarebbero interamente soggetti a tassazione.

Un caso diverso è invece rappresentato dallo smart working. Da quello che si evince dalla normativa vigente, e in particolare dalla legge n° 81 del 22 maggio 2017, anche i lavoratori che operano in via telematica avrebbero diritto a usufruire di questo benefit.

All’articolo 20 di tale norma, infatti, viene chiaramente specificato che chi opera in modalità di lavoro agile ha diritto a un trattamento economico e normativo pari a quello che ricevono i dipendenti che si recano ogni giorno in azienda.

Questo, però, non basta a garantire a chi lavora da remoto il diritto a ricevere i buoni pasto. Perché ciò sia possibile, il contratto stipulato con l’azienda e l’accordo individuale per lo smart working devono prevedere la possibilità di erogare i buoni pasto anche a chi presta il proprio lavoro da remoto.

Cos’è l’indennità sostitutiva di mensa?

L’indennità sostitutiva di mensa è un benefit aziendale simile ai buoni pasto: si tratta, infatti, di un contributo in denaro che viene corrisposto al dipendente in busta paga, e ha un importo pari a quello dei buoni pasto.

L’indennità sostitutiva di mensa può essere erogata sia ai lavoratori part – time, sia ai lavoratori full – time, proprio come il buono pasto.

Le due soluzioni, tuttavia, non sono complementari e presentano sostanziali differenze, soprattutto per quanto riguarda la tassazione.

Se, infatti, il buono pasto non concorre alla formazione del reddito se non per l’importo eccedente i 4 euro per il buono cartaceo e gli 8 euro per quello elettronico, l’indennità sostitutiva di mensa concorre per il suo intero importo alla formazione del reddito ed è quindi soggetta a tassazione. Anche alla tassazione contributiva.

Gli unici casi in cui l’indennità sostitutiva di mensa non concorre alla formazione del reddito sono rappresentati dall’erogazione della stessa a chi lavora:

  • nei cantieri edili;
  • in strutture lavorative che hanno carattere temporaneo;
  • in unità produttive che sono situate in zone dove non sono presenti servizi di ristorazione.

Va da sé, quindi, che il buono pasto rappresenta una soluzione più vantaggiosa per il lavoratore, rispetto all’indennità sostitutiva di mensa, perché esso è esente da tassazione o è comunque sottoposto ad una forma di tassazione estremamente ridotta.


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