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Agosto 04, 2025
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Fringe benefit nei CCNL: quali contratti li prevedono e come gestirli
I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) sono accordi firmati tra i sindacati dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro, pensati per regolare in modo chiaro e condiviso le condizioni di lavoro all’interno di un determinato settore. Nei CCNL si trovano indicazioni su stipendi, orari, ferie, malattia, sicurezza, trattamento di fine rapporto e tanti altri aspetti fondamentali del rapporto di lavoro. Servono a tutelare i diritti dei lavoratori, a garantire regole uguali per tutti e a ridurre possibili conflitti tra dipendenti e aziende. Oltre a stabilire le basi comuni, i CCNL sono un punto di riferimento importante per i contratti individuali, soprattutto nei casi in cui il singolo lavoratore ha meno forza contrattuale.
Day aiuta le aziende a gestire al meglio gli obblighi previsti dai rinnovi contrattuali, soprattutto quando entrano in gioco i flexible benefit resi obbligatori da alcuni CCNL. Le soluzioni offerte sono semplici da implementare, vantaggiose dal punto di vista fiscale e completamente personalizzabili. Oltre ai Buoni Pasto e ai Buoni Acquisto Cadhoc, Day propone delle piattaforme di Welfare aziendale che offrono una vasta gamma di beni e servizi per i dipendenti, migliorando così il loro benessere e la loro soddisfazione lavorativa.
I contratti collettivi nazionali che prevedono fringe benefit
Negli ultimi anni, diversi contratti collettivi nazionali hanno introdotto degli obblighi specifici in materia di welfare aziendale e fringe benefit. Di seguito una panoramica dei principali accordi attualmente in vigore e delle soluzioni previste per i lavoratori.
Il CCNL Metalmeccanica PMI Confapi interessa i lavoratori delle piccole e medie imprese metalmeccaniche aderenti a Confapi (cioè la Confederazione italiana della piccola e media industria privata). Il rinnovo, valido per il 2025, prevede l’obbligo di erogare 200 euro annui in strumenti di welfare per ciascun dipendente.
Il CCNL Revisori Legali, Tributaristi e Società di Revisione si applica a professionisti e dipendenti impiegati in società di revisione e studi di consulenza fiscale. Il contratto, valido dal 2025 al 2027, stabilisce l’erogazione di 1.200 euro annui in flexible benefit per i quadri e 600 euro per le altre figure professionali.
Il CCNL Tessile, Abbigliamento e Moda riguarda i lavoratori del settore moda e tessile italiano. Il rinnovo, in vigore dal 2024 al 2027, prevede l’erogazione di 600 euro complessivi in flexible benefit, distribuiti in tre tranche da 200 euro nei tre anni.
Il CCNL Porti coinvolge i dipendenti delle autorità portuali e delle imprese operanti nei porti italiani. Il contratto, valido dal 2024 al 2026, prevede l’erogazione di 600 euro in welfare come compensazione per la “vacanza contrattuale”, suddivisi in tre rate annuali da 200 euro.
Il CCNL Soccorso Stradale riguarda il personale impiegato nei servizi di assistenza e recupero dei veicoli. Il contratto, attivo dal 2023 al 2026, prevede benefit del valore di 100 euro per gli anni 2024 e 2025, e 150 euro per il 2026, utilizzabili entro il 30 novembre di ciascun anno.
Il CCNL Terziario Avanzato si applica a lavoratori impiegati in aziende operanti nei servizi avanzati (come innovazione, digitalizzazione, ecc.). Il contratto è valido fino al 2025 e prevede l’erogazione annuale di benefit per un valore di 2.600 euro per i dirigenti, 1.300 euro per i quadri e 660 euro per gli operatori e impiegati.
Il CCNL Autostrade e Trafori coinvolge i dipendenti delle concessionarie autostradali e dei trafori. Il contratto, valido dal 2023 al 2025, prevede strumenti di welfare per un valore di 300 euro nel 2023 e 360 euro nei due anni successivi.
Il CCNL Impianti Sportivi e Attività Sportive riguarda il personale che lavora nelle palestre, piscine e centri sportivi. Il contratto, in vigore fino al 2025, prevede 100 euro all’anno in welfare per ciascun dipendente, da utilizzare entro il 30 novembre dell’anno successivo.
Il CCNL Sacristi Addetti al Culto si applica ai chierici dipendenti da enti ecclesiastici. Il contratto prevede l’erogazione dal 2023 al 2025 di un buono pasto giornaliero del valore di 5 euro per ogni giornata lavorativa.
CCNL Lapidei (industria dei materiali lapidei):Il nuovo accordo prevede l’erogazione di 1.000 € una tantum in 4 tranche da 250 € (luglio e novembre 2025, luglio e novembre 2026). L’importo può essere riconosciuto come fringe benefit o in strumenti di welfare, non concorre al TFR e può essere destinato, a scelta del lavoratore, anche a fondi pensione chiusi.
Sul piano regionale, il Contratto Regionale dei Caseifici Sociali del Parmigiano Reggiano riguarda i dipendenti dei caseifici sociali e cooperativi che producono Parmigiano Reggiano nei territori di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna. Il contratto integrativo regionale valido dal 2023 al 2026 prevede a partire da gennaio 2025 l’erogazione di buoni pasto del valore di 4 euro al giorno per ciascun dipendente. Mentre il CCNL Uneba Piemonte riguarda gli operatori delle strutture socioassistenziali nella regione e prevede l’erogazione di 250 euro annui per dipendente in flexible benefit.
E gli altri settori?
Esistono ovviamente molti più Contratti Collettivi di Lavoro di quelli inclusi in questo elenco (del Commercio, Ristorazione, Turismo, Educazione, etc.), ma non prevedono fringe benefit obbligatori o li rendono opzionali. In questi casi, la possibilità di offrire dei benefit come buoni pasto, welfare aziendale o altre forme di sostegno economico dipende dalla contrattazione tra le singole aziende e i lavoratori, senza essere vincolata a una specifica disposizione del CCNL. Di conseguenza, le aziende che operano sotto questi contratti possono scegliere se attivare questi benefit in base alle proprie esigenze e alle disponibilità, spesso adattandoli alle necessità dei dipendenti o al settore.
Day offre strumenti adatti a soddisfare le diverse esigenze previste dai contratti collettivi, supportando sia le grandi aziende che le realtà più piccole o meno strutturate, come studi professionali, cooperative e enti del terzo settore. Con soluzioni semplici da attivare e da gestire – dai buoni pasto ai buoni spesa, fino alle piattaforme per il welfare aziendale – consente di rispondere in modo efficace agli obblighi contrattuali, nel rispetto delle scadenze e delle modalità previste.

Luglio 28, 2025
Gestione Risorse Umane
Settimana corta in Italia: tutto quello che c’è da sapere
Negli ultimi anni, si è tanto parlato di avere una settimana lavorativa di quattro giorni (spesso definita "settimana corta"). Aziende, sindacati, lavoratori e governi stanno valutando se un cambiamento strutturale dell'organizzazione del lavoro possa migliorare la qualità della vita e allo stesso tempo aumentare la produttività. In Italia, l’interesse per questo modello è crescente, ma la sua adozione è ancora in fase sperimentale. In questo articolo esploreremo cosa significa settimana corta, quali sono gli esempi a livello internazionale, i modelli più diffusi, e lo stato dell’arte in Italia.
Cosa si intende per "settimana corta"?
Quali sono i Paesi in cui è già in vigore la "settimana corta"?
I benefici osservati: produttività, benessere e sostenibilità
Come funziona la settimana lavorativa di 4 giorni? Modelli e varianti
I pro e i contro della settimana lavorativa di 4 giorni
Come la settimana corta incide sullo stipendio?
Settimana lavorativa di 4 giorni in Italia: a che punto siamo?
La settimana corta e il futuro del lavoro
Cosa si intende per "settimana corta"?
La "settimana corta" si riferisce generalmente a una riduzione dei giorni lavorativi da cinque a quattro, mantenendo lo stesso monte ore settimanale o, in alcuni casi, diminuendolo. Non si tratta semplicemente di un giorno libero in più, ma di un ripensamento profondo della struttura del lavoro: il focus si sposta sulla produttività e sul risultato, più che sulla mera presenza in ufficio.
I modelli più popolari sono:
4x8: quattro giorni da otto ore (32 ore settimanali)
4x10: quattro giorni da dieci ore (40 ore settimanali)
Modello 100-80-100: 100% della retribuzione, 80% del tempo lavorato, 100% della produttività
Quali sono i Paesi in cui è già in vigore la "settimana corta"?
Diversi Paesi nel mondo hanno già sperimentato o adottato forme di settimana lavorativa breve. Tra i Paesi che hanno sperimentato la “settimana corta” ci sono:
Islanda: tra il 2015 e il 2019 ha condotto uno dei più ampi esperimenti, con risultati estremamente positivi in termini di produttività e benessere;
Regno Unito: nel 2022 oltre 60 aziende hanno partecipato a un esperimento di sei mesi. Il 92% ha deciso di continuare con il modello;
Giappone: Microsoft Japan ha testato la settimana corta nel 2019, osservando un aumento della produttività del 40%;
Nuova Zelanda, Spagna e Portogallo: hanno avviato progetti pilota finanziati dallo Stato per valutare l’impatto della riduzione dei giorni lavorativi.
I benefici osservati: produttività, benessere e sostenibilità
I dati raccolti dagli esperimenti mostrano benefici in diverse aree:
1. Produttività
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, la produttività non diminuisce con la riduzione dei giorni lavorativi. Anzi, spesso migliora. I lavoratori tendono a concentrare le attività, riducendo il tempo sprecato in riunioni inutili o attività secondarie.
2. Benessere psicofisico
La settimana corta ha effetti positivi sul benessere mentale, sulla qualità del sonno e sull'equilibrio vita-lavoro. I dipendenti riferiscono livelli più bassi di stress e burnout.
3. Impatto ambientale
Meno giorni di lavoro in presenza significano meno spostamenti, minori consumi energetici e una riduzione complessiva delle emissioni di CO₂.
Come funziona la settimana lavorativa di 4 giorni? Modelli e varianti
Esistono diversi modi per implementare la settimana corta:
Orizzontale: riduzione uniforme dell’orario per tutti i dipendenti;
Verticale: riduzione dei giorni lavorativi ma mantenimento del monte ore (ad es. 4x10);
Rotazione: non tutti i dipendenti hanno lo stesso giorno libero, per garantire all’azienda la continuità operativa necessaria;
Opzionale: i lavoratori possono scegliere se aderire, con possibile impatto sul salario.
Alcune aziende offrono la settimana corta solo in determinati periodi dell’anno, o in fase sperimentale per determinati team.
I pro e i contro della settimana lavorativa di 4 giorni
La settimana lavorativa di 4 giorni ha sicuramente molti vantaggi, eccone alcuni:
maggiore equilibrio tra vita privata e professionale
riduzione dello stress e aumento del morale
miglioramento della retention aziendale (diminuzione del tasso di abbandono)
potenziale aumento della produttività
minore impatto ambientale
Tuttavia, può presentare svantaggi quali:
complessità organizzativa per aziende con attività che non possono essere bloccate
difficoltà per settori come sanità, educazione o logistica
rischio di intensificazione dei ritmi nei giorni lavorativi
possibile resistenza culturale o sindacale
Come la settimana corta incide sullo stipendio?
Uno degli aspetti più delicati riguarda la retribuzione. Nei modelli più avanzati (come il 100-80-100 citato sopra) il salario rimane invariato, nonostante la riduzione dell’orario. L’obiettivo è motivare i lavoratori a mantenere la stessa produttività in meno tempo.
Tuttavia, in alcuni casi:
Le ore vengono semplicemente redistribuite (es. 4x10)
Vi è una riduzione dello stipendio proporzionale alla riduzione delle ore (es. part-time volontario)
Il dialogo sindacale e la contrattazione collettiva giocano un ruolo chiave nel definire questi aspetti.
Settimana lavorativa di 4 giorni in Italia: a che punto siamo?
In Italia, il tema è sempre più discusso ma siamo ancora lontani da un’adozione su larga scala. Alcuni segnali:
Intesa Sanpaolo ha introdotto una settimana corta su base volontaria, con piena retribuzione;
Lavazza, Lamborghini, Luxottica e altre grandi aziende hanno lanciato progetti pilota;
Il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha aperto nel 2022 a una riflessione in sede istituzionale;
Alcune PMI del Nord Italia stanno sperimentando modelli misti, soprattutto nel settore IT.
La cultura del lavoro in Italia è ancora fortemente legata alla presenza fisica, ma la pandemia ha accelerato la diffusione di modelli più flessibili, aprendo la strada alla settimana corta.
La settimana corta e il futuro del lavoro
La diffusione dell’intelligenza artificiale, dell’automazione e del lavoro da remoto sta già modificando le esigenze produttive e le aspettative dei lavoratori. In questo scenario, la settimana corta può diventare un fattore competitivo per attrarre talenti, soprattutto tra i più giovani, sempre più attenti all’equilibrio vita-lavoro.
Inoltre, le organizzazioni che adottano modelli innovativi sono percepite come più moderne, inclusive e sostenibili, ossia valori sempre più richiesti dal mercato e dagli stakeholder.
In definitiva, la settimana lavorativa corta non è solo una questione di orari, ma un cambio di paradigma nella visione del lavoro. Mentre altri Paesi hanno già intrapreso la strada del cambiamento, in Italia ci troviamo in una fase di transizione, tra sperimentazioni aziendali, dibattito pubblico e interesse crescente da parte dei lavoratori.
Il futuro della settimana corta dipenderà dalla capacità di imprese, istituzioni e lavoratori di collaborare in modo proattivo per costruire modelli sostenibili, equi e orientati al benessere collettivo che non influenzino troppo negativamente la produttività lavorativa.

Luglio 21, 2025
Gestione Risorse Umane
Cos’è il burnout lavorativo, come riconoscerlo e come affrontarlo
Negli ultimi anni, avrai sicuramente sentito parlare di burnout lavorativo, una problematica che affligge chi si trova a vivere un rapporto conflittuale, estenuante e prolungato con il proprio lavoro. Non si tratta semplicemente di essere stanchi o stressati: il burnout è un vero e proprio stato di esaurimento psicofisico che può compromettere seriamente la qualità della vita e la salute mentale. Riconoscerlo per tempo e sapere come affrontarlo è fondamentale se vuoi proteggere il tuo benessere. In questo articolo vediamo bene cosa sia il burnout e quali siano i segnali per riconoscerlo e combatterlo.
Che cosa si intende per burnout lavorativo
Come riconoscere il burnout: i sintomi
Quali sono le principali cause del burnout sul lavoro?
Quali sono i lavori a maggiore rischio?
Strategie per affrontare e superare il burnout
Come prevenire il burnout
Differenza tra burnout e stress lavoro-correlato
Il ruolo delle aziende: una responsabilità condivisa
Che cosa si intende per burnout lavorativo
Il termine burnout viene dalla lingua inglese e significa letteralmente “bruciarsi”, “consumarsi”. È stato introdotto negli anni Settanta dallo psicologo Herbert Freudenberger per descrivere una condizione di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale, spesso riscontrata nei lavoratori che operano a stretto contatto con le persone.
Nel contesto lavorativo, il burnout si manifesta quando una persona si sente svuotata di energie, emotivamente distaccata dal proprio lavoro e incapace di vedere risultati positivi in ciò che fa. Non è un semplice calo di motivazione passeggero, ma una condizione cronica che può portare a gravi conseguenze psicologiche e fisiche.
Come riconoscere il burnout: i sintomi
I sintomi del burnout sono molteplici e possono variare da persona a persona. Tuttavia, esistono alcuni segnali comuni che possono aiutare a identificarlo:
esaurimento emotivo: sensazione di stanchezza persistente, anche dopo il riposo;
cinismo o distacco: atteggiamento negativo verso il lavoro, colleghi o clienti, perdita di interesse;
ridotta efficienza: calo della produttività, difficoltà a concentrarsi e a prendere decisioni;
disturbi fisici: mal di testa, insonnia, problemi gastrointestinali, tensione muscolare;
alterazioni dell’umore: ansia, irritabilità, tristezza, apatia.
Questi sintomi, se trascurati, possono peggiorare fino a sfociare in vere e proprie patologie, come depressione o disturbi d’ansia generalizzata.
Quali sono le principali cause del burnout sul lavoro?
Il burnout non nasce dal nulla, ma si tratta spesso di una combinazione di fattori individuali e organizzativi. Tra le cause principali troviamo:
ritmi e carichi eccessivi sul lavoro, mancanza di pause;
impossibilità di decidere come svolgere il proprio lavoro o influenzare le decisioni;
ambiguità nei ruoli, aspettative e obiettivi poco chiari, mancanza di feedback;
conflitti con colleghi o superiori, mobbing, discriminazioni;
mancanza di apprezzamento per l’impegno e i risultati raggiunti.
Anche fattori personali come il perfezionismo, l’alto senso del dovere o la difficoltà a stabilire limiti possono aumentare il rischio di burnout.
Quali sono i lavori a maggiore rischio?
Sebbene il burnout possa colpire chiunque, alcune professioni sono particolarmente esposte a causa della loro natura:
professioni sanitarie (medici, infermieri, psicologi): alto carico emotivo, turni stressanti;
insegnanti e educatori: responsabilità educative, rapporti complessi con studenti e famiglie;
operatori sociali e assistenti: contatto continuo con realtà difficili;
professionisti dell’IT: alta pressione, scadenze strette, reperibilità continua;
lavoratori del settore customer service: gestione di reclami, mansioni ripetitive, supervisione costante.
La presenza di aspettative elevate, scarsa autonomia e mancanza di riconoscimento rende questi ambiti terreno fertile per l’esaurimento professionale.
Strategie per affrontare e superare il burnout
Una volta riconosciuto, il burnout va affrontato con decisione. Alcune strategie utili includono:
chiedere aiuto: parla con un professionista della salute mentale appena avverti i primi segnali;
fare una pausa: ferie, permessi o anche un semplice weekend di distacco ti possono aiutare a “ricaricare”;
riorganizzare le priorità: impara a dire di no, delega, fissa confini chiari tra lavoro e vita privata;
coltivare attività gratificanti: hobby, sport, relazioni sociali possono darti un nuovo equilibrio;
fare attività fisica: anche una camminata quotidiana può ridurre stress e migliorare l’umore;
mindfulness e meditazione: tecniche che favoriscono consapevolezza e riduzione dell’ansia.
Come prevenire il burnout
Prevenire è meglio che curare, e questo vale anche per il burnout. Alcuni accorgimenti utili per evitarlo sono:
gestione del tempo: pianificare attività, includere pause, evitare il multitasking;
comunicazione assertiva: esprimere le proprie necessità e difficoltà con chiarezza;
auto-riflessione: riconoscere segnali di disagio prima che diventino cronici;
sostenere una cultura aziendale sana: leader e aziende devono promuovere ambienti di lavoro equi, empatici e partecipativi.
La prevenzione richiede un impegno condiviso tra il singolo lavoratore e l’organizzazione di appartenenza.
Differenza tra burnout e stress lavoro-correlato
Sebbene spesso vengano usati come sinonimi, burnout e stress lavoro-correlato non sono la stessa cosa. Lo stress è una risposta acuta e temporanea a una situazione percepita come eccessiva. Può manifestarsi in momenti di picco lavorativo, ma tende a risolversi con il ritorno alla normalità.
Il burnout, invece, è una condizione cronica, che si sviluppa nel tempo e implica un senso di disconnessione e fallimento, anche dopo che lo stress iniziale è svanito. Mentre lo stress può motivare a migliorare le prestazioni, il burnout annulla l’energia e l’interesse, portando all’abbandono.
Il ruolo delle aziende: una responsabilità condivisa
Le organizzazioni hanno un ruolo cruciale nella prevenzione del burnout. Oltre a fornire strumenti di supporto (coaching, psicologi aziendali, flessibilità), devono favorire una cultura basata su:
equilibrio vita-lavoro
riconoscimento dei risultati
ascolto attivo delle esigenze dei dipendenti
coinvolgimento nelle decisioni
Un’azienda attenta al benessere dei propri collaboratori non solo riduce il rischio di burnout, ma migliora produttività, fidelizzazione e reputazione.
Il burnout lavorativo è una realtà che colpisce sempre più persone in un mondo del lavoro in continua accelerazione. Comprenderne i segnali, le cause e le modalità di gestione è il primo passo per riconquistare il proprio benessere ed evitare che questo problema abbia ripercussioni gravi su di te lavoratore e su chi ti circonda.

Luglio 14, 2025
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Congedo di paternità: cosa prevede la normativa italiana
Negli ultimi anni, la figura del padre all’interno del nucleo familiare ha assunto un ruolo sempre più attivo e presente, soprattutto nei momenti cruciali legati alla nascita di un figlio. In questo contesto, il congedo di paternità rappresenta uno strumento essenziale per garantire la presenza del padre nei primi giorni di vita del bambino e per favorire una maggiore equità nella condivisione delle responsabilità familiari. La normativa italiana, pur avendo fatto progressi, rimane molto indietro rispetto agli standard europei, evidenziando la necessità di ulteriori interventi per garantire diritti più equi ai padri lavoratori. Vediamo quindi cosa prevede attualmente la legge italiana in merito a questo tema.
Che cos'è il congedo di paternità
Quali sono le disposizioni della Legge Italiana in merito al congedo di paternità?
Come richiedere il congedo di paternità
Quanto dura il congedo di paternità?
Come si calcolano i 10 giorni di congedo di paternità?
Differenze con il congedo di maternità
Quali sono le novità per il congedo parentale nel 2025?
Vantaggi del congedo di paternità
Che cos'è il congedo di paternità
Il congedo di paternità è un periodo di astensione obbligatoria o facoltativa dal lavoro riconosciuto al padre in occasione della nascita, dell’adozione o dell’affidamento di un figlio. L’obiettivo principale è permettere al padre di partecipare attivamente ai primi momenti della vita del bambino, favorendo il legame affettivo con il neonato.
Si tratta di un congedo diverso da quello “parentale”, che può essere fruito da entrambi i genitori nei primi anni di vita del figlio, ed è una misura autonoma rispetto al congedo di maternità e nell’ottica di garantire un’equa ripartizione dei carichi familiari.
Quali sono le disposizioni della Legge Italiana in merito al congedo di paternità?
La normativa italiana in materia di congedo di paternità è regolata principalmente dal D.Lgs. 151/2001 e successive modifiche, in particolare quelle introdotte con la Legge di Bilancio 2022 e ulteriori aggiornamenti nel 2023 e 2024.
Le principali disposizioni attualmente in vigore includono:
10 giorni lavorativi di congedo obbligatorio per il padre: si tratta di giorni retribuiti al 100%; il congedo può essere utilizzato in un periodo compreso tra i due mesi precedenti la data presunta del parto e i cinque mesi successivi alla nascita del bambino. In questo caso si tratta di un diritto autonomo e aggiuntivo rispetto a quello della madre, spettante al padre a prescindere dal diritto della madre al proprio congedo di maternità. Tale congedo obbligatorio è riconosciuto anche al padre che usufruisce del congedo di paternità ai sensi dell’articolo 28 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151;
1 giorno facoltativo in più, in accordo con la madre, che può essere fruito in alternativa a un giorno di congedo di maternità.
in caso di parto plurimo, la durata del congedo è estesa a 20 giorni lavorativi.
Questa misura è obbligatoria per il datore di lavoro, il quale non può opporsi alla fruizione del congedo.
Come richiedere il congedo di paternità
Il padre lavoratore deve presentare la richiesta di congedo al datore di lavoro con almeno 5 giorni di preavviso, specificando le date in cui intende usufruirne.
La procedura può variare leggermente a seconda del tipo di contratto (pubblico o privato) e delle modalità aziendali, ma generalmente prevede:
comunicazione scritta (anche via e-mail o tramite portale aziendale);
specifica dei giorni scelti;
in alcuni casi, allegato del certificato di nascita o dichiarazione della madre;
nei casi in cui il pagamento avvenga direttamente da parte dell’INPS — ovvero per lavoratori agricoli, stagionali, addetti ai servizi domestici e familiari, disoccupati e sospesi dal lavoro non beneficiari della cassa integrazione guadagni, nonché per i lavoratori dello spettacolo con contratto a termine o saltuari — la domanda deve essere presentata online all’Istituto.
nei casi di pagamento a conguaglio, non è necessario presentare la domanda online all’INPS. In tali situazioni, il lavoratore padre dipendente del settore privato è tenuto a comunicare per iscritto al proprio datore di lavoro i giorni di congedo che intende fruire.
per quanto riguarda i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni, la domanda deve essere sempre presentata direttamente alla propria amministrazione datrice di lavoro.
Quanto dura il congedo di paternità?
Come anticipato, la durata prevista per il congedo di paternità obbligatorio è di 10 giorni lavorativi, non frazionabili in ore. A questi si può aggiungere 1 ulteriore giorno facoltativo, per un totale massimo di 11 giorni. Questi giorni sono retribuiti interamente dall’INPS e non incidono negativamente né sulle ferie né sulla retribuzione.
Come si calcolano i 10 giorni di congedo di paternità?
I 10 giorni di congedo di paternità si riferiscono a giorni lavorativi, e quindi non includono le domeniche o eventuali giorni festivi non lavorati. Tuttavia, se la giornata festiva è normalmente lavorativa per il dipendente (come può accadere nei turni), essa può rientrare nel conteggio.
È possibile frazionare i 10 giorni, ovvero non è necessario prenderli consecutivamente. Il padre può distribuirli all’interno del periodo che va da due mesi prima a cinque mesi dopo la nascita del figlio, a seconda delle proprie esigenze e compatibilmente con l’attività lavorativa.
Differenze con il congedo di maternità
Il congedo di maternità è molto più lungo rispetto a quello di paternità ed è obbligatorio per la madre. Dura 5 mesi (2 mesi prima del parto e 3 mesi dopo), anche se in certi casi può essere fruito in modalità flessibile.
Le principali differenze sono:
durata: 5 mesi per la madre, 10 giorni per il padre;
obbligatorietà: obbligatorio per la madre, obbligatorio ma molto più breve per il padre;
fruizione: il congedo di maternità è continuo; quello di paternità può essere frazionato.
Durante il congedo di maternità, la lavoratrice ha diritto a un’indennità pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera, calcolata sulla base dell’ultima busta paga antecedente l’inizio del congedo.
Tale indennità può essere elevata fino al 100% della retribuzione, qualora il contratto collettivo nazionale o l’accordo integrativo aziendale preveda l’integrazione da parte del datore di lavoro.
Per quanto riguarda il congedo di paternità obbligatorio, al lavoratore spetta un’indennità giornaliera pari al 100% della retribuzione.
I due congedi rispondono a finalità diverse: quello di maternità tutela la salute della madre e del bambino, quello di paternità promuove la condivisione della genitorialità.
Quali sono le novità per il congedo parentale nel 2025?
La Legge di Bilancio 2025 ha portato modifiche importanti in materia di congedi. In particolare, ha elevato dal 60% all’80% la maggiorazione dell’indennità dell’ulteriore mese di congedo parentale previsto dalla legge di bilancio 2024, e ha disposto l’elevazione dell’indennità di congedo parentale dal 30% all’80% per un ulteriore mese.
La novità è applicabile ai soli lavoratori dipendenti, sia del settore pubblico che privato che rispettivamente hanno terminato o terminano il periodo di congedo di maternità o, in alternativa, di paternità, successivamente al 31 dicembre 2023 e al 31 dicembre 2024.
I genitori lavoratori dipendenti hanno diritto a undici mesi complessivi di congedo parentale, così suddivisi:
Nove mesi indennizzabili, da fruire entro il compimento del dodicesimo anno di età del bambino o entro i 12 anni dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento:
Tre mesi indennizzati all’80% della retribuzione media giornaliera, se utilizzati entro i sei anni di età del bambino o dall’ingresso in famiglia del minore;
in caso contrario, l’indennità è pari al 30%.
Sei mesi indennizzati al 30% della retribuzione.
Due mesi aggiuntivi non indennizzabili, salvo il caso in cui il reddito individuale del genitore richiedente sia inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione. In tal caso, spetta un’indennità pari al 30% della retribuzione media giornaliera.
I nove mesi di congedo parentale retribuito sono suddivisi come segue:
Tre mesi spettano esclusivamente alla madre, non trasferibili all’altro genitore, da utilizzare entro il dodicesimo anno di vita del bambino o dell’ingresso in famiglia.
Tre mesi spettano esclusivamente al padre, anch’essi non trasferibili, da fruire entro gli stessi termini.
Tre mesi aggiuntivi sono concessi in alternativa tra i due genitori.
Nel caso di genitore solo (in presenza dei requisiti previsti), spettano tutti gli undici mesi di congedo parentale, di cui:
Tre mesi indennizzati all’80%, se fruiti entro i sei anni;
Sei mesi indennizzati al 30%.
Queste misure vogliono incentivare la partecipazione di entrambi i genitori alla cura del figlio, favorendo una maggiore parità di genere.
Vantaggi del congedo di paternità
Tra i benefici principali del congedo di paternità vi sono:
maggiore coinvolgimento paterno nella cura del neonato;
supporto psicologico e fisico alla madre, specialmente nei primi giorni post-parto;
riduzione dello stress genitoriale e maggiore equilibrio tra vita lavorativa e privata;
promozione dell’uguaglianza di genere, specialmente nei contesti aziendali.
Diversi studi dimostrano che la partecipazione attiva del padre fin dai primi giorni ha effetti positivi sullo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino.
Il congedo di paternità rappresenta un diritto fondamentale per i padri lavoratori e un’opportunità per contribuire attivamente alla crescita dei figli. Sebbene l’Italia abbia compiuto notevoli progressi nel riconoscere e ampliare questo diritto, resta ancora spazio per miglioramenti, soprattutto in termini di durata e accessibilità per gli autonomi. Le novità del 2025, in particolare sull’indennità dell’80% per il congedo parentale, segnano un passo importante verso una genitorialità più condivisa e inclusiva.
Su questo tema consigliamo anche la lettura dell'articolo della Responsabile Area People di Day Marika Malizia "Congedo di paternità per la parità di genere. A quando in Italia?" pubblicato su Econopoly del Sole24Ore.

Luglio 07, 2025
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Intergenerazionalità al lavoro: come dialogare davvero con la Gen Z
Oggi, nelle aziende, lavorano fianco a fianco fino a cinque generazioni diverse. Una grande ricchezza, ma anche una sfida complessa: si parla in modo diverso, si hanno aspettative diverse e spesso non si concorda neanche su cosa significhi "lavorare bene". L’arrivo della Gen Z — i nati dalla seconda metà degli anni ’90 in poi — ha reso il confronto tra generazioni ancora più vivace. Questo gruppo porta con sé valori, linguaggi e esigenze completamente nuovi. Per dialogare davvero con loro, le aziende devono mettersi in ascolto e abbandonare alcuni schemi ormai superati.
Cosa chiede la Gen Z
Un gap culturale da colmare
La cultura delle Power Skill
Il welfare come ponte tra generazioni
Cosa chiede la Gen Z?
Il primo passo è capire che la "piramide dei bisogni" della Gen Z è capovolta rispetto a quella delle generazioni precedenti. Un tempo si partiva dalla ricerca di sicurezza e stabilità per puntare, solo dopo, al benessere e alla realizzazione personale. Oggi è l’esatto contrario: per i giovani il punto di partenza è il benessere. Cercano ambienti di lavoro in cui si stia bene, dove ci sia ascolto, autenticità, attenzione al clima relazionale e rispetto concreto delle differenze. Vogliono coerenza tra i valori dichiarati e quelli messi in pratica. Solo dopo arrivano carriera, crescita, sfide.
In questa nuova gerarchia, il posto fisso non è più un traguardo e la “gavetta” suscita spesso diffidenza, percepita come qualcosa di superato. Le ricerche lo confermano: la Gen Z dà grande importanza all’inclusione, al supporto dei manager e alla possibilità di essere coinvolta nelle decisioni. Dove queste condizioni mancano, il turnover cresce.
Un gap culturale da colmare
Spesso i fraintendimenti nascono da due parole chiave: rispetto e responsabilità. Per la Gen Z il rispetto non si deve al ruolo o all’anzianità, ma si conquista attraverso relazioni autentiche, dialogo e ascolto reciproco. Allo stesso tempo, si sentono pronti ad assumersi responsabilità in base a ciò che sanno fare, non all’età o agli anni di esperienza. Valutano le competenze, non i gradi.
Questo scarto di visione rischia di generare frustrazione da entrambe le parti: i più giovani si sentono sottovalutati, i più esperti percepiscono una mancanza di umiltà. Ma con gli strumenti giusti – come una leadership aperta, percorsi formativi adeguati e spazi di confronto – questo scontro può diventare un’occasione di crescita per tutti.
La cultura delle Power Skill
Superare il gap generazionale richiede un cambio di paradigma: serve una cultura che valorizzi relazioni, inclusività e crescita condivisa. In questo contesto, diventano centrali le cosiddette "power skill" — le capacità trasversali come empatia, pensiero critico, comunicazione efficace e gestione delle emozioni. Non si parla più di soft skill: le skill da leggere sono diventate potenti, perché permettono a persone di ogni età di lavorare bene insieme, affrontare il cambiamento e costruire legami significativi.
Le aziende che investono davvero su queste competenze, con percorsi di formazione deep dive, immersivi e personalizzati, riescono a coinvolgere la Gen Z senza banalizzarla, stimolandola sia sul piano cognitivo che emotivo. Non si tratta solo di “istruire”, ma di creare spazi dove ognuno possa esplorare e valorizzare ciò che è.
Il welfare come ponte tra generazioni
Tra gli strumenti concreti per valorizzare tutte le età in azienda, il welfare gioca un ruolo chiave. Quando è pensato in modo flessibile e inclusivo — come nel caso delle soluzioni di Day Welfare — riesce davvero a parlare a tutti. Non si limita a rimborsi o servizi di supporto per chi ha famiglia, ma include anche cultura, benessere, tempo libero, viaggi e formazione. Ognuno può costruirsi un pacchetto su misura, anche proponendo attività di interesse personale da convenzionare.
Una recente introduzione molto apprezzata in questa direzione è il servizio di Time Saving in collaborazione con Genius 4U: un Time Sitter aziendale che si occupa di sbrigare le piccole incombenze quotidiane al posto dei dipendenti durante l’orario di lavoro — dalla posta al lavasecco, dal lavaggio dell’auto al ritiro dei pacchi — per restituire davvero alle persone il proprio tempo libero.
Oggi non basta "capire i giovani": serve costruire un'alleanza tra generazioni. La Gen Z non è un enigma da decifrare, né una moda passeggera. È il futuro, già presente, delle nostre organizzazioni. Investire su di loro, creare un dialogo autentico e dare spazio alla contaminazione generazionale significa costruire imprese più solide, innovative e pronte al cambiamento. Per tutti.