Welfare Aziendale

Tanti servizi su misura adatti a tutti gli stili di vita dei dipendenti. Salute, famiglia, previdenza , trasporto, tempo libero e acquisti.

Welfare Manager: chi è e quali sono le sue caratteristiche
Dicembre 20, 2022
Welfare Aziendale

Welfare manager: quali sono le caratteristiche di questa nuova figura professionale?

La crescente attenzione delle aziende verso il benessere dei dipendenti ha portato alla crescente richiesta di welfare manager, una figura che si occupa di gestire le strategie intraprese per favorire la soddisfazione dei dipendenti. Sempre più persone, quando valutano le offerte di lavoro a loro disposizione, danno importanza non solo al compenso, ma anche ai benefit che le aziende mettono a disposizione dei dipendenti. Per questo il welfare aziendale è diventato una risorsa fondamentale per migliorare il clima aziendale, aumentare la produttività e riuscire a trattenere i collaboratori più talentuosi. Introdurre in azienda una figura come quella del welfare manager è utile per garantire la creazione di piani di welfare ben strutturati e assicurarsi che funzionino nel modo giusto. Vuoi saperne di più sui compiti e sull’importanza del welfare manager per il benessere di un’azienda? In questo articolo trovi tutte le informazioni che ti servono. Chi è e di cosa si occupa il welfare manager Quali competenze deve avere? I compiti del welfare manager: dall’ideazione al monitoraggio del piano di welfare Perché il welfare manager sta diventando un'importante figura professionale Chi è e di cosa si occupa il welfare manager Il welfare manager è una figura professionale che opera nel settore risorse umane dell’azienda. Il suo compito è quello di progettare, gestire e monitorare le politiche di welfare di un’azienda. Negli ultimi decenni le imprese di tutte le dimensioni hanno iniziato a prendere sempre più coscienza dell’importanza di garantire il benessere e la soddisfazione dei collaboratori. Non solo perché è stato dimostrato da numerosi studi che avere dipendenti felici e soddisfatti migliori la produttività e riduca assenteismo e turnover. Ma anche perché la normativa è sempre più orientata a garantire il benessere dei lavoratori attraverso leggi e norme che obbligano le aziende a provvedere alle necessità dei dipendenti studiando dei pacchetti di benefit capaci di soddisfarle. Una delle mansioni più importanti del welfare manager, che non va confuso con il rappresentante sindacale, è proprio quella di fungere da mediatore tra i lavoratori e l’azienda, intercettando le necessità dei primi e cercando di soddisfarle avendo sempre ben chiari gli obiettivi dell’impresa, compreso il rispetto delle misure previste dalla normativa e dai contratti collettivi.   Quali competenze deve avere? Quella del welfare manager è una figura che ricopre un ruolo di grande responsabilità, che richiede la capacità di destreggiarsi tra competenze tecniche, gestionali, normative e amministrative. Per questo, la formazione di tale professionista, che può essere sia di tipo umanistico, sia di tipo scientifico, deve essere completata da capacità relazionali e organizzative. Quando si ricerca un welfare manager per la propria azienda, tra le competenze da tenere in considerazione ci sono: conoscenza approfondita delle regole e normative sul welfare sia per quanto riguarda il settore privato, sia per il settore pubblico; qualità di leadership, project management e una buona capacità di problem solving; saper gestire e collocare in modo efficiente le risorse economiche; avere una buona predisposizione alla comunicazione interpersonale. Inoltre, un professionista di questo tipo deve mantenersi sempre aggiornato sulle ultime novità riguardanti il mondo del lavoro, il settore in cui opera l’azienda per cui lavora e le normative che interessano l’ambito del welfare. I compiti del welfare manager: dall’ideazione al monitoraggio del piano di welfare Uno degli strumenti più efficaci che le aziende hanno a disposizione per garantire il benessere e il corretto bilanciamento vita-lavoro dei dipendenti è il piano di welfare. Tra i compiti del welfare manager c’è proprio quello di assicurarsi che questa strategia funzioni nel modo migliore. Come? Seguendo queste 5 fasi: analisi dei bisogni dei dipendenti; creazione del catalogo dei servizi di welfare; acquisto dei beni e servizi previsti dal piano; monitoraggio dei risultati.   1.      Analisi dei bisogni dei dipendenti In questa prima fase il manager, insieme al reparto delle risorse umane, attraverso sondaggi e interviste cerca di individuare quali siano i bisogni dei dipendenti. Ad esempio, la necessità di attivare lo smart working per migliorare il work-life balance, oppure la riduzione dei costi sostenuti per andare e venire dal lavoro. Ma anche la pianificazione di attività di team building utili a rafforzare la cultura e il clima aziendale. Individuati i principali bisogni del lavoratore, è importante valutare anche i vantaggi fiscali per azienda e dipendenti delle eventuali misure necessarie a soddisfare queste necessità. 2.      Creazione del catalogo dei servizi di welfare e definizione del budget Il catalogo dei servizi di welfare è lo strumento che permette ai lavoratori di conoscere le agevolazioni alle quali può accedere e comporre un paniere di servizi in base alle proprie necessità e al budget stanziato dall’azienda in suo favore. Contestualmente alla creazione del catalogo il welfare manager si occupa anche di definire il budget necessario a coprire le spese per il welfare. 3.      Acquisto dei beni e servizi previsti dal piano La terza fase del piano di welfare è l’acquisto dei beni e servizi da offrire ai dipendenti. Il compito del welfare manager, in questa fase, è quella di individuare i fornitori migliori, contattarli ed effettuare gli acquisti. Contestualmente, il manager del welfare si occupa di scegliere la piattaforma più idonea per la gestione del piano. Come Day Welfare, la piattaforma che offre alle aziende un servizio personalizzato per la gestione dei piani di welfare: dall’area dedicata per l’HR manager al portale con App dedicata per i dipendenti, c’è tutto il necessario per garantire il successo e il corretto funzionamento di uno strumento tanto importante. 4.      Monitoraggio dei risultati Il successo di un piano di welfare risiede non solo in un’accurata pianificazione dei servizi ma anche in un attento monitoraggio della loro efficacia. Il compito del welfare manager, assistito dal reparto risorse umane, è quello di verificare che i benefit offerti ai dipendenti siano davvero in grado di soddisfare le loro necessità e rappresentino un valore aggiunto per l’azienda. Esaminando i dati raccolti, il manager può eventualmente decidere di intervenire per modificare e aggiornare il piano di welfare. Perché il welfare manager sta diventando un'importante figura professionale Secondo un’indagine svolta dalla Fondazione Ulaop-Crt all'Università degli Studi di Torino, durante la pandemia il 43,3% delle aziende prese in esame ha introdotto la figura del welfare manager e il 94% delle imprese continuerà ad offrire ai collaboratori le misure in aiuto delle famiglie che sono state attivate dalla pandemia. In un mondo del lavoro dove il welfare aziendale sta assumendo un ruolo sempre più centrale nel garantire il successo di un’azienda, la figura professionale del welfare manager si sta rivelando sempre più indispensabile. Se le grandi aziende già da tempo ne hanno compreso l’importanza, la stessa cosa non si può dire per molte imprese di piccole e medie dimensioni che solo recentemente stanno iniziando a comprendere i vantaggi del welfare. Proprio per evitare che i benefit offerti ai dipendenti si rivelino inadatti e determino il fallimento del piano di welfare aziendale, è importante che anche le realtà con pochi dipendenti valutino la necessità di affidarsi a una figura formata appositamente per gestire uno strumento tanto delicato qual è il welfare aziendale. Tanta è l’importanza del welfare manager che, seppure con una certa lentezza, stanno nascendo dei corsi di formazione specifici per chi voglia intraprendere una carriera di questo tipo, che richiede competenze trasversali e una buona capacità di esercitare la propria leadership.    
Rapporto Up Day Tecnè
Novembre 25, 2022
Welfare Aziendale

RAPPORTO UP DAY SUGLI IMPATTI DEL WELFARE SOCIALE PER IL CONTRASTO ALLA VULNERABILITÁ

Secondo l’Osservatorio 2022 firmato Up Day e Tecnè, i buoni sociali si sono rivelati una misura molto efficace e apprezzata nel mitigare le situazioni di vulnerabilità sociale. La crisi economica determinata dalla pandemia ha aggravato le condizioni socio economiche in Italia, generando nuova povertà e ampliando l’area della vulnerabilità. Rispetto al 2019, la situazione economica delle famiglie è peggiorata nel 44% dei casi, invariata nel 48%, mentre solo l’8% ha dichiarato un miglioramento. Nell’ultimo anno, poi, un ruolo importante nel deterioramento della condizione socioeconomica delle famiglie italiane lo ha avuto anche l’inflazione. A ottobre i prezzi sono cresciuti dell’11,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, ma se si considerano solo i beni alimentari l’aumento è stato del 13,1%. Il peso dell’inflazione ha spinto sotto la linea di galleggiamento milioni di individui. Con un tasso di inflazione tra il 12 e il 14%, il 35% delle famiglie (27 milioni di individui) vive una qualche forma di disagio, che va dalla povertà assoluta a una vulnerabilità lieve. Una condizione che costringe le famiglie più esposte a far quadrare il bilancio con complesse strategie di contenimento delle spese. L’86% delle famiglie vulnerabili ha tagliato i consumi che riguardano l’abbigliamento, il 78% ridotto i consumi delle utenze domestiche, il 72% risparmiato sulla spesa alimentare e il 54% ha rinunciato a visite mediche.   É quanto emerge dal Rapporto firmato Up Day, azienda tra i leader sul mercato italiano delle soluzioni di benessere per le Imprese e le Persone, e Tecnè, tra i principali istituti di ricerca politiche, sociali ed economiche. L’indagine si è svolta tra maggio e ottobre 2022, effettuando 3.011 interviste a un campione di maggiorenni residenti in Italia, con un sovracampionamento di responsabili e/o operatori dei servizi sociali (totale interviste: 203), beneficiari di buoni spesa sociali (totale interviste: 407) e beneficiari del reddito/pensione di cittadinanza (totale interviste: 401). Per le analisi e le stime di contesto si è fatto riferimento alle banche dati ISTAT, MEF e INPS. La ricerca ha messo in evidenza come la crisi economica abbia accelerato il diffondersi di nuove forme di povertà, con profili provenienti da classi sociali diverse, ma accomunati da condizioni di fragilità. Rientrano tra questi, coloro che vivono una condizione di povertà intermittente (determinata da condizioni negative, anche temporanee come una malattia o una spesa imprevista) e coloro che si ritrovano trascinati in una condizione di grave vulnerabilità economica perché il reddito che avevano ha perso potere d’acquisto. Da menzionare anche i “working poors” ovvero coloro che hanno un lavoro, ma che purtroppo non garantisce più un reddito sufficiente per una vita senza stenti: nel lavoro dipendente, l’incidenza della povertà tra il 2007 e il 2021 è salita dal 7 al 10% e nelle famiglie operaie dall’11 al 17%.   Le misure di sostegno: diversi impieghi e indici di gradimento Per far fronte a questa situazione straordinaria, sono stati introdotti i “buoni spesa sociali” e il “reddito di cittadinanza”. Si tratta di due misure diverse, alternative e complementari. I primi, finanziati con il Decreto Sostegni bis a partire dalla crisi pandemica, sono erogati dai Comuni per concedere una tantum aiuti alle famiglie vulnerabili in difficoltà per l’acquisto di alimenti, farmaci e beni di prima necessità; il secondo, presente sin dal 2019, è invece soprattutto pensato per individui disoccupati ed è una misura continuativa nel tempo.   Nella fotografia scattata dall’indagine, le persone coinvolte nei benefici della misura del reddito di cittadinanza, a settembre 2022, risultano circa 2.5 milioni, per un assegno medio mensile pari a 551 euro; i beneficiari del buono spesa sociale sono stati invece, per ogni singola erogazione finanziata dal 2021 al 2022, 1.9 milioni per un importo medio “una tantum” di 250 euro. Inoltre, la ricerca evidenzia che il RDC è complementare al tasso di occupazione, con incidenza maggiore nel Mezzogiorno rispetto al centro-nord e a beneficio soprattutto della fascia di individui sotto la linea di povertà; i BSS, invece, si caratterizzano per una maggiore omogeneità sul territorio nazionale e una più elevata relazione positiva con l’occupazione, a sostegno principalmente delle famiglie vulnerabili e quella a povertà intermittente. Questo tipo di configurazione socioeconomica è riscontrabile anche nella messa a terra dei due strumenti: infatti, mentre i BSS sono utilizzati in prevalenza per acquistare beni alimentari e bisogni primari, il RDC agisce su un raggio più ampio e meno diretto a soddisfare un bisogno specifico.   Le due misure sono poi state messe a confronto, per capire impatti e giudizi espressi dall’opinione pubblica, dai beneficiari dei buoni spesa, del reddito di cittadinanza e dai responsabili dei servizi sociali: tra questi ultimi, la valutazione del reddito di cittadinanza è del 63% ma i buoni spesa sociali sono considerati positivamente dal 100% degli addetti al settore. In generale, i BSS raccolgono un livello di gradimento più alto sia nell’opinione pubblica nel suo complesso che tra i singoli segmenti. Come un bisturi, infatti, i buoni spesa sociali sono uno strumento mirato e preciso per l‘utilizzo che se ne fa. Inoltre, convertendo direttamente in consumi sono in grado di stimolare il mercato con performance migliori di altri ammortizzatori sociali. Una misura da valutare anche nell’ambito delle proposte per la gestione della nuova disponibilità 2023, stanziata dal Governo.   “Dal Rapporto si evince come strumenti come i buoni spesa sociali siano un importante supporto per le famiglie più vulnerabili e per l‘economia reale, nell’attuale quadro d’incertezza economica. Auspichiamo che questo supporto alle famiglie possa avere continuità nel tempo, anche dopo i periodi strettamente emergenziali. Come Up Day, con ricerche come questa, vogliamo stimolare alla riflessione istituzioni e stakeholder del settore, con l‘obiettivo finale comune di favorire la società tutta” dichiara Mariacristina Bertolini, Direttore Generale e Vicepresidente Up Day.
I valori aziendali
Novembre 24, 2022
Welfare Aziendale

Cosa sono i valori aziendali, come identificarli e comunicarli

Tutte le imprese operano sulla base di valori e principi ben precisi. Individuarli e saperli comunicare è fondamentale per attrarre clienti e collaboratori di talento. Saper riconoscere e comunicare i valori della propria azienda in modo efficace è fondamentale per costruire una cultura aziendale positiva e fornire un codice di condotta nel quale i dipendenti possano rispecchiarsi. Ma cosa sono, di preciso, i valori aziendali e come si fa a riconoscerli e comunicarli? Ne parliamo in questo articolo. Cosa sono i valori aziendali? Mission, Vision e valori aziendali: quali sono le differenze? Come identificare e definire i valori di un’azienda Come scrivere i valori aziendali Come comunicare e trasmettere i valori aziendali Alcuni esempi di valori aziendali Come lavorare sui valori aziendali?   Cosa sono i valori aziendali? Durante il corso della vita le azioni che compiamo e le decisioni che prendiamo sono basate sulla nostra scala di valori, cioè sulle nostre credenze e convinzioni in ciò che è giusto e sbagliato. In ciò che è etico e in ciò che non lo è. Allo stesso modo, un’azienda basa la sua attività su determinate idee e convinzioni che vengono definite valori aziendali. La differenza, rispetto ai valori individuali, è che i valori aziendali devono essere condivisi e accolti da tutte le persone che fanno parte di un’attività. Saper identificare e definire i valori di un’azienda è fondamentale per definire lo scopo e le intenzioni dell’attività e far sì che l’impresa e i suoi collaboratori riescano a raggiungere gli obiettivi di crescita prefissati.   Mission, Vision e valori aziendali: quali sono le differenze? I valori aziendali, insieme alla mission e alla vision, sono ciò che dà vita all’identità dell’azienda, la cosiddetta brand identity. Si tratta di tre elementi distinti ma interconnessi tra loro, che devono essere ben chiari e definiti. La mission può essere definita come la missione, lo scopo dell’azienda, la sua dichiarazione di intenti. Qual è il motivo per cui esiste tua impresa? Quali sono gli obiettivi del suo business e come vuole raggiungerli? La vision, invece, è quell’elemento dell’identità aziendale che ha lo sguardo rivolto verso il futuro, verso il modo in cui si svilupperà l’impresa nel lungo periodo. Poi ci sono i valori aziendali, che rappresentano il codice etico dell’impresa e sono l’elemento che ispira e guida sia la mission, sia la vision.   Come identificare e definire i valori di un’azienda Il momento migliore per identificare e definire i valori di un’azienda è alla sua nascita. Idealmente, tutta l’attività dovrebbe essere costruita partendo proprio da essi. In molti casi, però, alla definizione dei valori aziendali si arriva solo in seguito, quando l’azienda è già in attività e sta attraversando un momento di crisi, o ha bisogno di un cambiamento per continuare ad operare con successo nel suo campo. In altri casi, invece, le mutate esigenze aziendali impongono anche una revisione dei suoi valori. Il punto di partenza per identificare i valori di un’azienda è preparare dei questionari da sottoporre sia ai dipendenti, sia a clienti e fornitori. In alternativa, si possono organizzare dei brainstorming che coinvolgano non solo i vertici aziendali, ma tutti i collaboratori dell’azienda. Tra le domande più importanti da porsi per trovare i valori aziendali ci sono: Quali sono le caratteristiche dell’azienda più apprezzate da clienti e dipendenti? Quali comportamenti sono ritenuti accettabili e quali no? Quali sono le qualità che ci vengono riconosciute dai collaboratori interni? Quali sono le qualità che ci vengono riconosciute da clienti e fornitori? Come si pone l’azienda nel suo ambito di riferimento? Dopo questa prima fase, si può arrivare ad ottenere una lista molto lunga di valori, che può comprendere anche più di un centinaio di voci. A questo punto, sempre coinvolgendo i dipendenti, è opportuno fare una cernita e ridurre la lista da un minimo di 3 fino a un massimo di 8 o 9 valori che sono quelli ritenuti fondamentali.   Come scrivere i valori aziendali Dopo aver definito i valori aziendali è il momento di metterli nero su bianco, in quella che viene definita “carta dei valori” o “dichiarazione dei valori”. Si tratta di un vero e proprio documento che contiene tutti i valori che sono alla base dell’attività dell’azienda. Come in tutti i progetti di comunicazione, anche nella creazione della carta dei valori la scrittura rappresenta l’ultima fase del lavoro. Prima di dedicarsi ad essa, si deve decidere quale impostazione dare al documento. L’impostazione, infatti, può essere diversa a seconda che il documento sia destinato ai collaboratori o a clienti e fornitori. Ma anche il fatto che venga pubblicato su un supporto cartaceo oppure online può incidere sull’impostazione della carta dei valori. Un’altra cosa da decidere è anche il modo in cui presentare i valori aziendali. Si può scegliere un’unica frase, che li riassuma tutti, oppure elencarli uno per uno. In questo secondo caso, bisogna fare attenzione a non creare una lista della spesa. Ognuno dei valori scelti per rappresentare l’azienda deve essere spiegato più o meno brevemente. Infine, c’è la scelta del tono di voce. A seconda dell’impostazione dell’azienda e del target di riferimento, ad esempio, può essere più o meno formale e più o meno amichevole. Solo dopo aver determinato tutti questi elementi c’è la fase di scrittura vera e propria.   Come comunicare e trasmettere i valori aziendali Una volta messi nero su bianco, i valori aziendali non devono certo rimanere chiusi in un cassetto o appoggiati su una scrivania, ma devono essere divulgati. A chi? Ai dipendenti, prima di tutto. Ma anche a clienti, fornitori e tutti i soggetti che vengono in contatto con l’impresa. Trasmettere i valori aziendali ai dipendenti serve a creare una cultura aziendale solida e ad aumentare la fiducia dei lavoratori nell’impresa di cui fanno parte. Comunicarli ai soggetti esterni, invece, è utile a migliorare la reputazione del brand presso i clienti e ad attrarre nuovi collaboratori di talento. A seconda di chi sono i destinatari, si devono scegliere mezzi di comunicazione e tono di voce adeguati per presentare i valori aziendali in modo efficace. Ad esempio, per comunicarli ai dipendenti, si può creare un evento ad hoc, in cui presentarli attraverso un video e del materiale informativo cartaceo. Mentre, per presentare i valori aziendali ai soggetti esterni all’azienda, tra i mezzi più efficaci ci sono il sito web aziendale e i canali Social.   Alcuni esempi di valori aziendali I valori aziendali non sono uguali per tutte le aziende. Possono essere simili, ma mai uguali, perché ogni azienda ha una storia e radici differenti che la portano ad avere valori diversi dalle altre. Tuttavia, confrontare i valori della propria azienda con quelli di altre imprese può essere utile per comprendere quale sia il modo migliore per comunicarli o se sia necessario lavorare ancora sulla loro definizione. Trovare esempi di valori aziendali non è difficile. La maggior parte dei brand, oggigiorno, decide di pubblicarli sul proprio sito web. Prendiamo ad esempio Netflix. Sul sito del famoso provider di streaming c’è un’intera pagina dedicata alla cultura aziendale e ai suoi valori, che comprendono saper decidere in modo saggio e giudizioso, altruismo, coraggio, comunicazione, inclusione, integrità, passione, innovazione, curiosità, fornire riscontri onesti e costruttivi. Un altro grande brand con valori aziendali ben definiti è Ikea, che basa la sua attività su 8 valori ben definiti, che sono: solidarietà, prendersi cura del pianeta e delle persone, consapevolezza dei costi, semplicità, rinnovamento e miglioramento, responsabilizzazione, guidare le persone attraverso l’esempio. Per quanto riguarda Up Day, i nostri valori aziendali più importanti sono la sostenibilità sociale, il rispetto degli standard qualitativi, la trasparenza e la legalità in ogni attività che svolgiamo, ma anche cooperazione, impegno nel progredire, incoraggiare e ispirare.   Come lavorare sui valori aziendali? I valori aziendali non sono un qualcosa di statico e immutabile. Cambiano e si evolvono con l’evolversi dell’azienda. Lavorare sui valori può servire sia ad aggiornarli, sia a far sì che tutti i collaboratori si sentano in sintonia con essi. Tra le attività utili per lavorare sui valori aziendali ci sono i già citati brainstorming e questionari, ma anche il team building. Esistono, poi, diverse metodologie che possono essere impiegate negli incontri di gruppo per trovare i valori aziendali oppure riflettere su di essi. Di solito, si parte dall’individuazione dei valori individuali per arrivare poi a quelli aziendali, così da migliorare la sintonia e allineare le esigenze di lavoratori e aziende. Lavorare sui valori aziendali con il modello del Barrett Value Center Tra i tanti metodi che si possono utilizzare per lavorare sui valori aziendali, uno dei più interessanti è il modello ideato da Richard Barrett, autore di libri sulla leadership e fondatore del Barrett Value Center, che ha sviluppato un modello per individuare i valori aziendali basandosi sulla piramide dei bisogni di Maslow. All’interno della piramide ideata da Barrett sono identificabili ben 100 diversi valori suddivisi in 7 categorie che corrispondono a 7 livelli di consapevolezza. Ad esempio, alla base della piramide ci sono quei valori che hanno l’obiettivo di assicurare sicurezza e stabilità, come la stabilità finanziaria e la salute, mentre al quarto posto, cioè a metà della piramide, ci sono quei valori legati all’evoluzione, alla crescita, quali la capacità di prendersi la responsabilità delle proprie azioni, l’autonomia, la formazione continua. Al settimo e ultimo posto della piramide ci sono quei valori che ci danno uno scopo per cui vivere, come mettersi al servizio degli altri, pensare alle generazioni future, responsabilità sociale.  
Mentoring Aziendale: cos'è e quali benefici può portare in azienda
Novembre 22, 2022
Welfare Aziendale

Che cos’è il mentoring aziendale e quali benefici può portare in azienda

Il mentoring è il passaggio di conoscenze che avviene tra una persona che ha accumulato esperienza in un determinato ambito e un’altra che ha il desiderio di imparare. In ambito aziendale, il mentoring è utile per inserire facilmente in azienda nuovi collaboratori e formare più velocemente dipendenti talentuosi. Tra le misure di welfare aziendale che un’impresa ha a disposizione per favorire il benessere dei dipendenti e dimostrare attenzione nei loro confronti, la formazione ha sicuramente un ruolo di primo piano. Oltre a risultare un vantaggio per il lavoratore, essa rappresenta anche un investimento per l’azienda, che potrà contare su collaboratori competenti e talentuosi. Esistono molti modi per offrire un percorso formativo ai dipendenti; uno di essi è il mentoring. Un modello di formazione che prevede il passaggio di conoscenze tra una persona più esperta e una persona meno esperta. Scopri perché può essere utile alla tua attività attivare un programma di mentoring aziendale. Cos’è il mentoring? Cosa si intende per mentoring aziendale? I benefici di un programma di mentoring aziendale Quali tipi di mentoring esistono? Principali tecniche di mentoring Caratteristiche di un rapporto di mentoring efficace Cos’è il mentoring? Il mentoring è un metodo di formazione che si basa sul passaggio di conoscenze tra una persona con maggiori competenze, chiamata mentor, e una persona che deve acquisire nuove competenze, definita mentee. Si tratta di un metodo che può essere applicato in vari ambiti, da quello scolastico a quello lavorativo. Quella di affiancare un allievo più giovane e inesperto a una persona più matura e di grande esperienza è una pratica che ha radici lontane, così come il termine “mentor”. Entrambi, infatti, arrivano direttamente dall’Antica Grecia, e precisamente dall’Odissea, dove la Dea Atena assume le sembianze di Mentore, l’uomo a cui Ulisse ha dato l’incarico di formare e istruire il figlio Telemaco. Differenza tra mentoring e coaching Il mentoring è un metodo formativo piuttosto simile al coaching, con il quale viene spesso confuso. Tuttavia, si tratta di due metodologie ben diverse, soprattutto negli obiettivi. Mentre il mentoring ha l’obiettivo di favorire un passaggio di conoscenze, il coaching è orientato al raggiungimento di determinate performance. Cosa si intende per mentoring aziendale? In ambito aziendale, il mentoring è quell’attività che permette di trasmettere nuove conoscenze ai dipendenti appena assunti e di aiutarli ad integrarsi più facilmente nel nuovo ambiente lavorativo. Il mentoring aziendale, quindi, ha lo scopo di formare i lavoratori meno esperti avvalendosi della competenza di chi è in azienda da più tempo, e di trasmettergli la cultura aziendale e i valori su cui si basa l’attività.   I benefici di un programma di mentoring aziendale Attivare un programma di mentoring aziendale può rivelarsi un’opportunità estremamente vantaggiosa per un’azienda che abbia deciso di investire nella formazione delle risorse umane. Tra i principali vantaggi del mentoring aziendale ci sono: accelerare lo sviluppo dei talenti favorendone la crescita personale e professionale; ridurre il turnover, favorendo una permanenza a lungo termine dei collaboratori più talentuosi; trasmettere in modo efficace la cultura e i valori aziendali; mantenere alto l’engagement dei dipendenti; migliorare la leadership dei collaboratori senior e dei manager che svolgono il ruolo di mentor; formare nuovi manager con spiccate doti di leadership; migliorare la comunicazione interna; superare il digital gap. Quali tipi di mentoring esistono? Quando si sceglie di attivare un programma di mentoring aziendale, è importante decidere quale sia la modalità di gestione più adatta. Ecco quali sono i diversi tipi di mentoring e le differenze tra l’una e l’altra modalità: incontri uno a uno.Rappresenta l’approccio più classico, con un collaboratore senior che affianca il collaboratore junior. Il mentor e il neoassunto trascorrono insieme molto tempo e hanno la possibilità di confrontarsi su ogni aspetto del percorso lavorativo. mentoring di gruppo.In questo caso, invece, è presente un solo mentor che si occupa di formare un gruppo di collaboratori junior. Si tratta di un rapporto meno esclusivo ma ugualmente efficace; mentoring misto.Questa modalità di formazione unisce agli incontri uno a uno dei momenti di condivisione di gruppo che hanno lo scopo di favorire lo sviluppo di capacità e competenze complementari. reverse mentoring. A differenza del mentoring uno a uno, o del mentoring di gruppo, il reverse mentoring, mette sullo stesso piano mentor e mentee. Si tratta di una pratica che offre l’opportunità di formare nuovi talenti e di aiutare i membri senior di un’organizzazione a migliorare quelle competenze digitali in cui i membri junior sono spesso più esperti; mentoring a distanza o e-mentoring. Si tratta di una modalità di mentoring aziendale sempre più diffusa che permette al mentor di offrire una formazione adeguata al mentee anche da remoto, ad esempio caricando dei video formativi su una piattaforma aziendale; blended mentoring. È un misto tra mentoring in presenza, sia uno a uno, sia di gruppo, ed e-mentoring. Principali tecniche di mentoring Una volta definita la modalità più adatta per sviluppare al meglio le potenzialità dei collaboratori che partecipano al programma di mentoring, è importante anche scegliere le tecniche più utili perché il trasferimento di competenze risulti efficace. Partendo dall’analisi delle competenze e delle abilità, per comprendere quale sia il modo migliore di attuare la formazione. Sicuramente, un percorso di mentoring ben strutturato è quello che si serve di diverse tecniche per formare il mentee a 360°: storytelling; role playing; analisi di casi studio; somministrazione di test per verificare le competenze acquisite.   Caratteristiche di un rapporto di mentoring efficace Perché il mentoring si riveli una risorsa preziosa per l’azienda, è importante strutturare con attenzione il programma, offrendo a mentor e mentee tempi e obiettivi ben definiti. definire tempi certi. Perché il percorso funzioni, è importante stabilire fin da subito la quantità di tempo da dedicare al mentoring e definire la periodicità degli incontri adattandoli alle esigenze del mentee; definire le aree di intervento: perché il mentoring rappresenti una vera opportunità di crescita, è importante definire fin da subito gli ambiti in cui il mentee ha bisogno di essere maggiormente guidato e le competenze da affinare; stabilire obiettivi condivisi. Stabilire degli obiettivi condivisi prima di iniziare il percorso di mentoring è utile perché tutti i soggetti coinvolti possano concentrarsi sui risultati da raggiungere; definire fin da subito le aspettative e dare spazio alla bidirezionalità. Perché il mentoring funzioni, il rapporto tra mentor e mentee deve essere basato su fiducia, comprensione e assenza di giudizio, in modo che il mentee possa esprimere chiaramente cosa si aspetta dal mentor. Il mentor, da parte sua, deve porsi in una posizione di ascolto. preparare i giusti strumenti per monitorare i progressi. Che possono essere un’agenda o un quaderno per annotare i progressi, un power point da completare alla fine di ogni compito e così via. Sono tutti strumenti che aiutano a riflettere sul percorso che si sta svolgendo e monitorare la crescita nel corso del tempo. Gli errori da evitare nel mentoring Perché un programma di mentoring aziendale rappresenti una vera opportunità di crescita per tuti i soggetti coinvolti è opportuno anche evitare di commettere questi errori: creare un gruppo troppo eterogeneo. Nel caso in cui si attui un programma di mentoring di gruppo, è importante che i partecipanti siano allo stesso livello, specialmente per quanto riguarda le competenze; stabilire un percorso troppo rigido o troppo flessibile. Quello di mentoring deve essere un percorso di formazione in cui il mentee deve avere lo spazio per crescere senza sentirsi sotto pressione o giudicato. Per questo si devono stabilire degli obiettivi flessibili e prevedere tempi che, all’occorrenza, possano essere dilatati. Allo stesso modo, però, un percorso con obiettivi poco chiari e tempi esageratamente dilatati può rendere la formazione dispersiva e poco efficace; scegliere formatori non adatti al ruolo. Le persone scelte per svolgere il ruolo di mentor devono innanzitutto avere buone capacità relazionali, essere in grado di esercitare positivamente la propria leadership e di entrare in sintonia con i bisogni e le aspettative del mentee.
Legge di stabilità e welfare aziendale
Ottobre 20, 2022
Welfare Aziendale

La Legge di Stabilità punta (sempre più) sul welfare aziendale

Dal 2016, le leggi di stabilità che si sono susseguite hanno favorito sempre di più le misure di welfare aziendale erogate dalle imprese ai loro dipendenti.   La Legge di Stabilità, insieme alla Legge di bilancio, è lo strumento che il Governo ha a disposizione per pianificare le manovre di finanza pubblica. Le leggi di stabilità che si sono susseguite dal 2016 in poi hanno dimostrato come il Governo creda nello strumento del welfare aziendale e desideri incentivarlo. In questo articolo vediamo come la Legge di Stabilità, negli ultimi anni, abbia favorito il welfare aziendale e le misure introdotte dalla Legge di Stabilità 2022. Legge di Stabilità e TUIR: gli strumenti normativi che favoriscono il welfare aziendale Legge di Stabilità e welfare aziendale: le novità per il 2022 Il voucher come strumento di supporto ai servizi di welfare Legge di Stabilità e premio di risultato: le novità introdotte dal 2016 in poi Il welfare aziendale esteso ai familiari dei dipendenti grazie alla Legge di Stabilità Dal concetto di welfare aziendale alla responsabilità unilaterale di impresa Legge di Stabilità e TUIR: gli strumenti normativi che favoriscono il welfare aziendale Il TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi) è il testo legislativo che non solo fissa i criteri per stabilire quali siano gli elementi del reddito e come vadano calcolate le imposte, ma introduce e regolamenta anche le misure di welfare aziendale che vengono erogate dalle imprese ai propri dipendenti attraverso i piani di welfare. In particolare, gli articoli della normativa che vanno dal 49 al 52 stabiliscono cosa sia e come determinare il reddito da lavoro dipendente, e l’articolo 100, che definisce il reddito delle imprese, sono fondamentali per lo sviluppo del welfare aziendale. Il percorso di rivoluzione del concetto di welfare di secondo livello è iniziato nel 2016, quando la Legge di Bilancio ha introdotto alcuni cambiamenti. Incremento della produttività, partecipazione dei dipendenti all’impresa e sviluppo delle politiche a sostegno dei lavoratori e delle loro famiglie sono stati indicati tra gli obiettivi prioritari del Governo che nella Legge di Stabilità ha (re)introdotto un welfare concordato e ha invece ideato un welfare di produttività, promuovendo così le relazioni industriali e declinando il welfare ad una funzione di sostegno al reddito oltre che di benessere. Legge di Stabilità e welfare aziendale: le novità per il 2022 La Legge di Stabilità 2022 prevede una novità importante sul fronte del welfare aziendale, in quanto il tetto dei cosiddetti fringe benefit esentasse, viene innalzato con effetto retroattivo da 258 e arrotondato a 600 euro per tutto il 2022. Inoltre, sarà possibile utilizzarli anche per il pagamento delle utenze domestiche di acqua, luce e gas: una novità davvero importante nel panorama del welfare aziendale.   Il voucher come strumento di supporto ai servizi di welfare La Legge di Stabilità 2016 (Legge 28 dicembre 2015 n. 208), ha ampliato i servizi e le prestazioni defiscalizzate a favore dei dipendenti e dei loro familiari introducendo la possibilità, per le aziende, di erogarli attraverso lo strumento dei voucher nominali. Da non confondere con buoni pasto e fringe benefit, i voucher welfare possono essere erogati ai lavoratori dipendenti per usufruire di un unico bene o servizio o come strumento per godere di molteplici fringe benefit (in questo caso, il valore del voucher welfare è esente da tassazione fino al limite fissato dalla legge di 258,23 euro). Legge di Stabilità e premio di risultato: le novità introdotte dal 2016 in poi Con la Legge di Stabilità 2016, la tassazione agevolata al 10% è estesa all’erogazione di premi di risultato erogati sotto forma di una somma di denaro in busta paga fino a un importo a 3 mila euro; soglia innalzata a 4 mila euro in caso di coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell’organizzazione del lavoro. Con la Legge di Stabilità del 2017 viene introdotta la possibilità, per i lavoratori, di trasformare il premio di risultato in servizi di welfare (come, ad esempio, in contributi per la previdenza integrativa o in assistenza sanitaria), in tutto o in parte, purché sussistano le seguenti condizioni: Il premio erogato non sia di importo superiore a 3.000 euro; Il reddito annuale del lavoratore risulti inferiore a 80.000 euro; L’erogazione del premio sia vincolata a incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione rispetto a un periodo precedente; Il premio sia stato istituito attraverso una contrattazione di secondo livello. Questa agevolazione rappresenta un’opportunità tanto per l’azienda, quanto per i dipendenti. C’è, infatti, un risparmio per l’azienda sui costi aziendali e un vantaggio per i dipendenti che godono di servizi e prestazioni al netto del loro guadagno. Il welfare aziendale esteso ai familiari dei dipendenti grazie alla Legge di Stabilità L’articolo 12 del TUIR, prevede che i benefit riconosciuti dall’azienda possano rappresentare un beneficio non solo per i dipendenti ma anche per i loro familiari, intesi come il coniuge non legalmente ed effettivamente separato e i figli, compresi quelli adottati o affidati, ma anche genitori, suoceri e fratelli e sorelle. Con la Legge di Stabilità del 2016 sono state introdotte diverse novità in materia di welfare aziendale per i lavoratori dipendenti e i loro familiari. La prima è l’estensione dei benefici goduti dal dipendente o dai suoi familiari alla fruizione dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi. Le stesse agevolazioni sono previste anche per il servizio di babysitter, la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per l’erogazione di borse di studio a favore dei familiari. La seconda è l’inclusione anche delle somme e delle prestazioni erogate per fornire servizi di assistenza ai familiari anziani o che si trovino in condizioni di non autosufficienza. Prima che venissero introdotte queste modifiche, i vantaggi fiscali erano previsti solo per l’erogazione di contributi previdenziali e di assistenza sanitaria, per il rimborso spese per la mensa e i pasti, per il trasporto e la mobilità e alle somme erogate per il pagamento di servizi quali asili nido, colonie estive e borse di studio. Dal concetto di welfare unilaterale alla responsabilità sociale d’impresa Con le modifiche al TUIR decise dalla Legge di Stabilità 2016 le aziende private godono delle stesse agevolazioni fiscali nel caso scelgano di erogare servizi di welfare aziendale volontari oppure concordati. Cosa significa ciò? Che è stato eliminato il vincolo della volontarietà e la deducibilità dei servizi di welfare per le aziende è stata allargata anche ai servizi di welfare previsti dalla contrattazione aziendale e dai regolamenti e contratti aziendali negoziati tra l’impresa e i sindacati (dal 2017 il beneficio è stato esteso anche gli accordi territoriali o interconfederali). Coinvolgendo il sindacato nella predisposizione del piano di welfare, l’azienda può andare oltre il limite prefissato del 5x1000 del costo del lavoro nell’erogazione di beni e servizi legati al benessere del proprio dipendente. In questo modo, viaggi, corsi di lingua, abbonamenti a palestre, cinema, teatri, ecc. possono essere detassati senza limiti di spesa. L’articolo 51, comma 2, lettera f del TUIR, inoltre, esclude dal reddito da lavoro dipendente “l’utilizzazione delle opere e dei servizi offerti riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati all’art. 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100”.    
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