Welfare Aziendale

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Ferie lavorative: tutto quello che c'è da sapere
Giugno 27, 2022
Welfare Aziendale

Ferie lavorative: tutto quello che c’è da sapere

Una guida completa alle ferie lavorative: cosa sono, come si maturano e quando un lavoratore può usufruirne  Le ferie lavorative sono un diritto sancito dalla Costituzione. Il lavoratore matura un certo numero di giorni di ferie ogni anno e può richiederle in ogni momento, compatibilmente con le esigenze di servizio del datore di lavoro.  Vuoi saperne di più su come funzionano le ferie lavorative? A quanti giorni di ferie ha diritto un lavoratore durante l’anno? Se ha diritto al pagamento delle ferie non godute?  In questa guida puoi trovare tutto quello che c’è da sapere sulle ferie lavorative.    Ferie lavorative: cosa sono?  Come si maturano le ferie?  Come si calcolano le ferie? Ferie in busta paga: come leggerla?  È vero che i dipendenti hanno diritto a 15 giorni consecutivi di ferie? Quanto vengono pagate le ferie non godute È consentito prendere ferie durante il periodo di preavviso? Welfare aziendale e ferie: i benefit per il tempo libero dei dipendenti    Ferie lavorative: cosa sono? Le ferie sono un periodo di riposo retribuito a cui hanno diritto i lavoratori dipendenti per recuperare le energie psicofisiche e mantenere le relazioni familiari e sociali. Si tratta di un diritto che spetta a tutti i lavoratori che abbiano un contratto a tempo determinato o indeterminato, part-time o full time.  È la legge stessa a sancire le ferie come diritto inalienabile dei lavoratori. L’articolo 36 della Costituzione stabilisce che il lavoratore abbia diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite e che non possa rinunciarvi.  Secondo quanto stabilito dall’articolo 2109 del Codice Civile, l’imprenditore dovrebbe comunicare ai dipendenti quale sia il periodo in cui possono godere delle ferie, tenendo conto delle esigenze dell’impresa e delle necessità del lavoratore.  Come si maturano le ferie? Per capire come si maturano le ferie, si deve innanzitutto fare riferimento alla normativa che, oltre all’articolo 36 della Costituzione e all’articolo 2109 del Codice Civile, comprende anche il Decreto Legislativo 66 dell’8 maggio 2003. All’articolo 10 del decreto è stabilito che i lavoratori dipendenti abbiano diritto ad un periodo di ferie annuale non inferiore alle quattro settimane. Tuttavia, i contratti collettivi e gli accordi sindacali possono prevedere che ai dipendenti delle aziende di un determinato settore spettino più giorni rispetto a quanto previsto dalla normativa.  In generale, un lavoratore che abbia lavorato dal 1° gennaio al 31 dicembre matura tutte le ferie previste dal suo contratto di lavoro, a meno che non sia stato assente dal lavoro per motivi che non gli consentono di maturare le ferie, come: assenze ingiustificate o, comunque, non retribuite; aspettativa non retribuita; permessi non retribuiti; sospensione dal lavoro.  Ci sono, però, dei casi in cui l’assenza dà comunque diritto al lavoratore di maturare le ferie: assenza per malattia o infortunio;  permessi per la legge 104/1992;  ferie e permessi retribuiti;  congedo di maternità;  donazione sangue.  Sono tutte assenze equiparate alle ore lavorative, al fine della maturazione delle ferie.    Quante ferie si maturano in un anno? Non esiste un’unica risposta per questa domanda. Per conoscere il numero di ferie che si maturano in un anno, oltre al Decreto Legislativo 66/2003 si deve anche fare riferimento al contratto collettivo di categoria.  Il CCNL, infatti, può stabilire delle condizioni più favorevoli per i lavoratori dipendenti di un determinato settore, prevedendo che possa maturare, in un anno, un numero di giorni di ferie maggiore rispetto a quanto stabilito dalla legge.  Quante ferie si maturano in un mese? Il numero di giorni di ferie che si maturano ogni mese non è uguale per tutti i lavoratori. Per sapere quante ferie si maturano effettivamente in un mese, bisogna tenere conto del numero di giorni di ferie previsto dal contratto collettivo di riferimento e da eventuali accordi sindacali, che può essere diverso dai 28 giorni previsti dalla normativa.  Come si calcolano le ferie? Una volta verificato questo dato, si può procedere al calcolo dei giorni di ferie che si maturano in un mese, dividendo il numero totale di giorni di ferie che spettano a un dipendente durante l’anno per 12, che è il numero corrispondente ai mesi che compongono un anno. Prendiamo ad esempio un lavoratore che abbia diritto a 30 giorni di ferie annuali. Per sapere quante ferie maturi in un mese dovrà dividere questo numero per 12, quindi:  30:12=2,5.  Il lavoratore matura 2,5 giorni di ferie al mese.  Ferie in busta paga: come leggerla? La busta paga è il prospetto mensile che viene consegnato al lavoratore e contiene, oltre a nome, cognome e qualifica del dipendente, tutte le voci economiche riguardanti il suo contratto di lavoro, a partire dallo stipendio netto e lordo.  La busta paga contiene anche un calendario in cui sono indicati i giorni di presenza e di assenza e le ore lavorate, il numero di riposi settimanali residui e goduti e le ferie lavorative.  Le ferie, in particolare, vengono suddivise in tre voci distinte:  ferie maturate, dove si può trovare il numero di giorni di ferie che spettano in totale al lavoratore;  ferie godute. Indica il numero di giorni di ferie di cui ha usufruito il lavoratore;  ferie residue. Indica i giorni di ferie di cui il dipendente può ancora usufruire.  In alcune buste paga può comparire anche una quarta voce, dove vengono indicate le ferie maturate nell’anno precedente dal lavoratore e non ancora godute.  Le aziende possono utilizzare due modi distinti per indicare le ferie in busta paga:  all’inizio dell’anno, alla voce ferie maturate, indicare tutti i giorni di ferie che il lavoratore avrà a disposizione per quell’anno;  indicare le ferie maturate mese per mese.    È vero che i dipendenti hanno diritto a 15 giorni consecutivi di ferie? Sì, è vero. È il Decreto Legislativo 66/2003 che, sempre all’articolo 10, fornisce delle linee guida anche per quanto riguarda le modalità di fruizione delle ferie. In particolare, stabilisce che il lavoratore debba usufruire di almeno due settimane di ferie lavorative retribuite e, se lo richiede, che queste due settimane siano consecutive.  Il resto delle ferie maturate nel corso dell’anno può essere goduto nei 18 mesi successivi all’anno di maturazione. Tuttavia, anche se il lavoratore non dovesse usufruirne, i giorni di ferie non goduti rimangono comunque nella disponibilità del lavoratore.  Quanto vengono pagate le ferie non godute? Secondo quanto stabilito dalla normativa, il datore di lavoro non può versare al lavoratore alcuna indennità per le ferie non godute, in quanto si tratta di un diritto inalienabile del lavoratore.  L’unico caso in cui a un’azienda sia concesso di pagare le ferie non godute a un dipendente è la cessazione del rapporto di lavoro, poiché il lavoratore non avrà più la possibilità di usufruirne.  È consentito prendere ferie durante il periodo di preavviso? Sì, al lavoratore è consentito prendere le ferie durante il periodo di preavviso. Tuttavia, le ferie, insieme alla malattia o all’infortunio, alla maternità e al richiamo alle armi, sono uno dei motivi per cui è prevista la sospensione del periodo di preavviso. Andare in ferie durante questo lasso di tempo, infatti, impedisce al lavoratore di concludere i compiti assegnatigli al momento del licenziamento e all’azienda di usufruire della competenza del lavoratore perché concluda il lavoro che gli è stato assegnato o possa formare la persona che prenderà il suo posto.  Gli unici casi in cui le ferie del dipendente non determinano uno slittamento del periodo di preavviso sono:  la richiesta delle ferie da parte del dipendente che ha subito il licenziamento;  la collocazione del dipendente dimissionario in ferie forzate da parte dell’azienda.  Welfare aziendale e ferie: i benefit per il tempo libero dei dipendenti Oggi il tempo libero è diventato uno dei valori più importanti per un lavoratore. Per questo, non solo è importante agevolare i dipendenti in modo che possano usufruire delle ferie che gli spettano nei modi e nei tempi previsti dalla legge, ma anche incentivarli a compiere delle attività che permettano loro di rilassarsi e recuperare le energie psico-fisiche.  Il modo migliore che un’azienda ha per offrire ai suoi collaboratori di dedicarsi alle attività che preferiscono durante il loro tempo libero, come viaggiare, andare al teatro o a visitare una mostra, è predisporre degli incentivi ad hoc nel proprio piano di welfare o offrire ai collaboratori dei voucher welfare che possano essere convertiti in beni e servizi di cui possano usufruire durante il tempo libero.
CCNL Agenzie Marittime 2021-2023: tutte le novità
Giugno 21, 2022
Welfare Aziendale

CCNL Agenzie Marittime 2021-2023: tutte le novità

Nel 2021 è avvenuto il rinnovo del CCNL Agenzie Marittime 2021-2023. Ecco cosa prevede l’accordo    Il contratto collettivo nazionale di lavoro disciplina i rapporti di lavoro subordinato tra i dipendenti delle agenzie marittime raccomandatarie e mediatori marittimi e i datori di lavoro. Di solito, i contratti collettivi di questo settore si rinnovano ogni 3 anni. In questo articolo, tutte le novità dell’ultimo rinnovo, avvenuto nel 2021.  CCNL Agenzie Marittime 2021-2023: cosa prevede e le novità 2022 Welfare Aziendale  CCNL Agenzie Marittime e Buoni Pasto  Ente Bilaterale Nazionale  Aumento retribuzioni CCNL Agenzie Marittime 2021-2023: cosa prevede e le novità 2022 Dopo la scadenza, a dicembre 2020, del CCNL Agenzie Marittime 2018-2020, è stato siglato un nuovo accordo tra le imprese del settore e le organizzazioni sindacali CGIL, Fit CISL e UIL-Trasporti. Con lo scioglimento definitivo della riserva, il CCNL è entrato in vigore con decorrenza dal 1° gennaio 2021 e sarà valido fino al 2023.  Le novità più importanti riguardano gli aumenti dello stipendio base in busta paga, il welfare aziendale e i buoni pasto. Vediamole nel dettaglio. Non ci sono novità, invece, nell’ambito dell’assistenza sanitaria integrativa.  Welfare aziendale Per il triennio 2021-2023 ai dipendenti delle agenzie marittime raccomandatarie e mediatori marittimi è riconosciuto il welfare aziendale. L’accordo firmato, in vigore da gennaio 2021 prevede l’erogazione di strumenti di welfare per un importo totale di 180 euro entro il 31 dicembre 2023. Si tratta di erogazioni che dovranno essere distribuite in 3 soluzioni da 60 euro ciascuna, ogni anno nel mese di luglio. La prima tranche è stata riconosciuta a partire dal mese di luglio 2021 ed è stata erogata con la mensilità di settembre. Le successive saranno erogate nei mesi di luglio 2022 e luglio 2023.  Il datore di lavoro può scegliere di erogare le misure di welfare aziendale anche attraverso apposite piattaforme o impiegando dei voucher welfare.  Up Day specializzata da trent’anni in servizi per le aziende (tra i leader nel campo dei buoni pasto), propone le soluzioni più fiscalmente vantaggiose, facili da gestire e personalizzate per questa tipologia di obblighi contrattuali. Il buono spesa Cadhoc Cadhoc, è il buono spesa utilizzabile dalle imprese per adempiere agli obblighi contrattuali previsti dai contratti collettivi nazionali. È adatto a tutti gli stili di vita e di spesa e permette di acquistare un’infinità di prodotti attraverso lo shopping presso i partner che fanno parte della rete, compreso il carburante. Lo spendi sul punto vendita o negli e-commerce più cliccati del web. Il buono spesa Cadhoc rientra a pieno titolo nella categoria dei Fringe Benefit, pertanto, è deducibile al 100% fino ad un massimo di 258,23 euro a dipendente all’anno, e può essere integrato a eventuali altri fringe benefit erogati dall’azienda.  Cadhoc è esente da IVA, oneri fiscali e contribuzione se il suo valore non supera la soglia prevista per i fringe benefit. Facile da ordinare, è disponibile nei formati cartaceo o digitale. Riassumendo il buono spesa Cadhoc è: 100% deducibile, fino a 258,23€ dipendente/anno Esente IVA Zero oneri fiscali e previdenziali Più di 25.000 Partner in tutta Italia La piattaforma Day Welfare Le soluzioni offerte da provider come Up Day alle aziende che devono gestire l’erogazione degli strumenti di welfare aziendale sono molteplici: oltre ai voucher, c’è la piattaforma Day Welfare, lo strumento ideale per gestire l’offerta di beni e servizi alla persona e alla famiglia prevista dal piano di welfare e migliorare il benessere dei dipendenti. Pacchetti on line personalizzabili per tutti i dipendenti, facili da selezionare e da spendere in una vasta rete di partner presenti su tutto il territorio nazionale, che comprendono servizi quali sport, tempo libero, palestre, cinema, shopping e tanto altro. Grazie alla consulenza degli specialist di Up Day, alle imprese vengono proposte soluzioni personalizzate per comporre un piano di welfare su misura. CCNL Agenzie Marittime e buoni pasto A partire dalla mensilità di settembre 2021, l’importo dei buoni pasto per i dipendenti delle aziende del settore è elevato a 5,18 euro.  Ente bilaterale nazionale A partire dal 1° gennaio 2021, il contributo da destinare all’Ente Bilaterale Nazionale, a carico dell’azienda, è fissato nella misura dell’1,50%, e dovrà essere calcolato sugli elementi fissi della retribuzione. Sempre a partire da questa data, per le società che aderiscono ad associazioni firmatarie del contratto collettivo, il contributo da destinare all’Ente Bilaterale Nazionale è ridotto allo 0,90% con le stesse modalità.  Aumento retribuzioni Secondo quanto si evince dalle tabelle retributive, Il CCNL Agenzie Marittime 2021-2023 prevede un aumento dello stipendio spalmato sui tre anni, per un totale di 34,19 euro annui per i dipendenti di settimo livello e di 22,06 euro per i dipendenti di primo livello.  Rimane confermato, per i lavoratori del settore, il diritto al pagamento della tredicesima e la quattordicesima mensilità. 
Rinnovo CCNL Orafo, argentiero e della gioielleria
Giugno 15, 2022
Welfare Aziendale

Rinnovo CCNL Orafo, argentiero e della gioielleria

Nuovo contratto collettivo nazionale del settore orafo, argentiero e della gioielleria, valido dal 2022 al 2024. Tutte le novità in materia di welfare aziendale e flexible benefits.   CCNL settore orafo: le novità per il triennio 2022-2024  Nel 2022 è entrato in vigore l’accordo per il Contratto Collettivo nazionale per l’industria orafa, argentiera e della gioielleria, oramai scaduto nel giugno 2020 e siglato dalle principali organizzazioni sindacali del settore, Federorafi, FIM, FIOM-CGIL e UILM, che avrà una durata di tre anni. Dal welfare aziendale, alla previdenza complementare, agli aumenti della retribuzione, sono diverse le novità previste dalla normativa che regola i rapporti tra lavoratori dipendenti e le aziende dell’industria orafa. Restano invariate, invece, le modalità di accesso all’assistenza sanitaria integrativa.  Welfare aziendale Il contratto conferma per il triennio 2022-2024 l’adozione di strumenti di welfare a favore dei lavoratori, aumentando l’importo da erogare fino a 200 euro, accordo riconosciuto anche ai lavoratori in somministrazione. Novità retributive  Il nuovo contratto collettivo prevede diverse novità anche nell’ambito della retribuzione. In particolare, per i lavori dipendenti a tempo indeterminato, è prevista l’eliminazione della 1° categoria retributiva (i lavoratori che ne fanno parte verranno automaticamente spostati in 2° categoria) e l’aumento delle retribuzioni del 6,51% con un aggiornamento dei minimi salariali che prevede un aumento complessivo spalmato sui tre anni di 80,84 euro per la 2° categoria e di 123,51 euro per la 7° categoria.  I lavoratori con contratto di apprendistato verranno automaticamente inquadrati nella 2° categoria.  Previdenza Complementare Come il CCNL metalmeccanici, anche il CCNL del settore orafo e dell’argenteria prevede delle novità in materia di previdenza complementare. In particolare, a decorrere dal 1° dicembre 2024, per chi ha scelto di avere una pensione integrativa, la contribuzione a carico dell’azienda a favore dei lavoratori iscritti al fondo di settore, Cometa, sarà elevata al 2%. I lavoratori iscritti al fondo hanno diritto alla contribuzione da parte dell’azienda se versano una contribuzione pari ad almeno l’1,2% del minimo contrattuale.  Per i lavoratori di età inferiore ai 35 anni che hanno aderito al fondo dopo il 31 dicembre 2021 la contribuzione a carico del datore di lavoro, a decorrere dal 01 gennaio 2023, è elevata al 1,8% dei minimi contrattuali; mentre, a decorrere dal 1° dicembre 2024 sarà elevata al 2,2%.    CCNL orafo, argentiero e della gioielleria e flexible benefits: quali vantaggi per i dipendenti?  Il CCNL orafo, argentiero e della gioielleria 2022-2024 prevede anche l’erogazione di diversi flexible benefits. Ecco quali sono i più interessanti e vantaggiosi per il lavoratore.  Formazione Continua  Il contratto collettivo nazionale del settore orafo prevede il diritto dei lavoratori a ricevere una formazione continua, finalizzata ad aggiornare, perfezionare e sviluppare le proprie conoscenze e competenze professionali. In particolare, la formazione continua dovrebbe concentrarsi sul recupero del gap sulle competenze digitali, in connessione con l’innovazione tecnologica e organizzativa del processo produttivo e del lavoro.  Inoltre, dovrebbe favorire una sensibilizzazione sui temi ambientali e di economia circolare.  Lavoro Agile  Il CCNL 2022-2024 conferma la parità di trattamento per i lavoratori in smart working rispetto ai dipendenti che lavorano in presenza e istituisce una commissione paritetica per la definizione di un quadro normativo, a partire dal diritto alla disconnessione e alla tutela di diritti sindacali e privacy.  Banca ore solidale  Al fine di valorizzare l'istituto della Banca ore Solidale previsto dall’articolo 24 del D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, i lavoratori del settore orafo hanno la facoltà di cedere, volontariamente e a titolo gratuito, una quota di permessi ai colleghi che si trovano nella condizione di assistere figli minori con condizioni di salute particolarmente gravi. La Banca ore solidale può essere attivata anche a favore delle lavoratrici vittime di violenza di genere o per i colleghi che si trovino in stato di grave necessità.    Come attivare gli strumenti di welfare previsti nel CCNL orafi e argentieri? Come avviene per tutti i settori produttivi, anche per il settore orafo e dell’argenteria, ogni azienda deve provvedere autonomamente a corrispondere la quota welfare prevista dal CCNL. Up Day, specializzata da trent’anni in servizi per le aziende, propone una soluzione pratica e vantaggiosa per l’erogazione del welfare aziendale ai dipendenti, già sperimentata con successo per il CCNL Metalmeccanici che ha incluso una misura similare: si tratta dei voucher welfare Cadhoc.  Cadhoc è un buono spesa flessibile, il cui valore può essere scelto dall’azienda in base agli accordi previsti dalla contrattazione collettiva, adatto a tutti gli stili di vita e di spesa, che permette ai lavoratori di fare shopping presso un’ampia rete di partner (negozi sia fisici, sia online) o di utilizzare il buono per l’acquisto di carburante. Disponibile nelle versioni cartacea e digitale, è facile da ordinare e da gestire, tanto per il datore di lavoro, quanto per il lavoratore dipendente.  Cadhoc rientra a tutti gli effetti nella categoria dei Fringe Benefit ed è quindi deducibile al 100% fino all’importo massimo previsto dalla normativa di 258,23 euro a dipendente all’anno (aumentato a 2000 € per dipendenti con figli fiscalmente a carico e a 1000 € per tutti gli altri, limitatamente all'anno 2024). Inoltre, può essere integrato con eventuali altri fringe benefit presenti in azienda. Inoltre, è esente dal versamento dell’IVA e degli oneri fiscali e previdenziali.  Riassumendo il buono spesa Cadhoc è: 100% deducibile, fino a 258,23€ dipendente/anno (aumentato a 2000 € per dipendenti con figli fiscalmente a carico e a 1000 € per tutti gli altri, limitatamente all'anno 2024) Esente IVA Zero oneri fiscali e previdenziali spendibile presso più di 25.000 Partner in tutta Italia
Congedo matrimoniale, tutto quello che c'è da sapere
Maggio 09, 2022
Welfare Aziendale

Congedo matrimoniale, tutto quello che c’è da sapere

Quando due persone si sposano, se dipendenti, entrambi hanno diritto di usufruire di un periodo di congedo di 15 giorni, chiamato congedo matrimoniale.  Vuoi saperne di più su questo periodo di congedo a cui ha diritto chi si sposa? Su come e quando richiederlo e come usufruirne? In questo articolo ti spieghiamo tutto quello che c’è da sapere sul congedo matrimoniale.  Cosa si intende per congedo o licenza matrimoniale e come funziona? Quando è possibile usufruire del congedo matrimoniale? Quanti giorni di congedo matrimoniale spettano e come si calcolano? È possibile posticipare il congedo matrimoniale? Il datore di lavoro può rifiutarsi di concedere il congedo matrimoniale? Il congedo matrimoniale è obbligatorio?  Quali documenti vanno prodotti al datore di lavoro? Unione civile e congedo matrimoniale Assegno per congedo matrimoniale INPS: come funziona?    Cosa si intende per congedo o licenza matrimoniale? Conosciuto più comunemente con il nome di licenza matrimoniale, il congedo matrimoniale è un periodo di congedo retribuito che spetta per legge ai lavoratori dipendenti che contraggano matrimonio civile o un’unione civile. Entrambi i componenti della coppia possono richiederlo, purché siano in possesso dei requisiti richiesti.  La legge che istituisce e regola il congedo matrimoniale risale al 1937, anno in cui fu emanato il R.D.L. 1334, il quale stabiliva che avessero diritto a questo periodo di ferie solo i lavoratori appartenenti alla classe impiegatizia. Poi, nel 1941, questo diritto venne esteso anche alla classe operaia.   Quando è possibile usufruire del congedo matrimoniale? È possibile usufruire del congedo matrimoniale quando si contrae un matrimonio civile, in quanto si tratta di un istituto di natura civilistica. Anche se non si contrae matrimonio religioso o ci si sposa per la seconda volta, perciò, si può usufruire dei giorni di riposo previsti dalla licenza matrimoniale.  Possono richiedere questo periodo di astensione dal lavoro anche i lavoratori extracomunitari che si siano sposati all’estero, purché risultino residenti in Italia al momento del matrimonio e acquisiscano lo stato civile di coniugati anche nel nostro Paese.  Il congedo matrimoniale è ormai entrato a far parte dei Contratti Collettivi Nazionali (CCNL) di tutti i settori. Hanno diritto ad usufruirne:  i lavoratori dipendenti di cooperative, aziende industriali e artigiane;  gli operai;  gli apprendisti;   i lavoratori a domicilio;  i marittimi di bassa forza;  i disoccupati che possano dimostrare di aver lavorato per almeno due settimane nei 90 giorni precedenti il matrimonio;  i lavoratori con contratto a tempo determinato, purché ne usufruiscano prima del termine del contratto.  In quali casi non è possibile richiedere il congedo matrimoniale?  Non si può richiedere il congedo matrimoniale se i giorni di assenza dal lavoro coincidessero con un periodo di ferie e neanche durante il tempo di preavviso di licenziamento.    Quanti giorni di congedo matrimoniale spettano e come si calcolano? In base a quanto stabilito dai vari CCNL, un lavoratore ha diritto a usufruire di 15 giorni di congedo matrimoniale.  Si tratta di un periodo di astensione dal lavoro non frazionabile, che ha decorrenza a partire dal giorno del matrimonio (anche se è possibile chiedere che inizi qualche giorno prima del matrimonio) e comprende nel computo dei giorni anche eventuali sabati, domeniche o festività che dovessero coincidere con esso.  Alcuni contratti collettivi, come il CCNL Commercio, prevedono che il lavoratore usufruisca del congedo matrimoniale a partire dai 3 giorni precedenti il matrimonio.    È possibile posticipare il congedo matrimoniale? Secondo quanto stabilito dalla legge, un lavoratore può chiedere di usufruire del congedo matrimoniale entro un massimo di 30 giorni dal matrimonio.  È possibile richiederlo oltre i 30 giorni dal matrimonio solo se non gli è stato concesso nel tempo previsto per motivazioni che non dipendono direttamente da lui. In altre circostanze, se il lavoratore volesse usufruire del congedo matrimoniale trascorso il termine dei 30 giorni, dovrebbe accordarsi in anticipo con il datore di lavoro. Secondo una sentenza della Corte di Cassazione emessa nel 2012, non ci sono impedimenti perché una persona non possa richiederlo successivamente.    Il datore di lavoro può rifiutarsi di concedere il congedo matrimoniale? Se il lavoratore è in possesso di tutti i requisiti necessari e presenta la richiesta di congedo matrimoniale entro i termini indicati dalla legge, il datore di lavoro non può rifiutare di concederlo. Potrebbe decidere di posticiparlo, ma solo per comprovate necessità produttive.    Il congedo matrimoniale è obbligatorio? Tutti i lavoratori in possesso dei requisiti hanno diritto a richiedere il congedo matrimoniale ma nessuno può obbligarli ad usufruirne. Nel caso un lavoratore decida di non godere di questo beneficio, il datore di lavoro è tenuto a corrispondergli un’indennità pari al numero di giorni di congedo previsti dalla legge.  Anche nel caso il lavoratore riprenda a lavorare prima dello scadere dei 15 giorni, il datore di lavoro è tenuto a corrispondergli un’indennità pari al numero di giorni residui non goduti.    Quali documenti vanno prodotti al datore di lavoro? Per ottenere il congedo matrimoniale si deve presentare una richiesta scritta al datore di lavoro con un preavviso di almeno 6 giorni rispetto alla data del matrimonio (anche se è meglio presentare la richiesta con un anticipo maggiore).  Entro 60 giorni dal rientro al lavoro, inoltre, è necessario fornire all’azienda copia del proprio certificato di matrimonio. Nel caso in cui il documento non fosse ancora pronto alla scadenza del termine, i lavoratori possono produrre un’autocertificazione che attesti la celebrazione del matrimonio civile; anche lo stato di famiglia può essere accettato in sostituzione del certificato di matrimonio.  Oltre al certificato di matrimonio, entro 60 giorni dalle nozze è necessario presentare anche il modulo per la richiesta dell’assegno per congedo matrimoniale dell’INPS.    Unione civile e congedo matrimoniale Con l’entrata in vigore della Legge Cirinnà (Legge n° 76 del 20 maggio 2016) alle persone dello stesso sesso che contraggono un’unione civile sono stati riconosciuti gli stessi diritti di chi contrae un matrimonio civile.  Perciò, anche i lavoratori che contraggano un’unione civile hanno diritto al congedo matrimoniale. Questo diritto è ribadito anche da una circolare INPS del 2017.   Assegno per congedo matrimoniale INPS: come funziona? L’assegno per il congedo matrimoniale erogato dall’INPS è un’indennità che copre una parte dei giorni di congedo spettanti al lavoratore e, solitamente, viene erogato in busta paga a meno che chi ne abbia fatto richiesta non sia disoccupato.  Ecco a quanto corrisponde: per operai e apprendisti: 7 giorni di retribuzione (ma dalla retribuzione giornaliera va detratta una percentuale del 5,54% - rimane, infatti, a carico del lavoratore);  per i lavoratori a domicilio: 7 giorni di guadagno medio giornaliero (e anche in questo caso, come nel precedente, rimane la percentuale del 5,54% a carico del lavoratore);  per i marittimi: 8 giorni di salario medio giornaliero (e anche in questo caso, come nel precedente, rimane la percentuale del 5,54% a carico del lavoratore); per chi ha un contratto di lavoro part-time verticale: i giorni di retribuzione che coincidono con quelli previsti dal contratto (ma va sempre detratta una percentuale a carico del lavoratore). Il resto dei 15 giorni di congedo matrimoniale viene retribuito direttamente dal datore di lavoro.  Casi particolari L’assegno è cumulabile con l’indennità INAIL per infortunio sul lavoro fino al raggiungimento dell’importo che sarebbe spettato a titolo di retribuzione.  Non è, invece, cumulabile con le prestazioni di: malattia, maternità, cassa integrazione e trattamenti di disoccupazione. In questi casi, di solito, al lavoratore viene corrisposto l’assegno per il congedo matrimoniale in quanto più favorevole.
Tassazione dei fringe benefit
Gennaio 10, 2022
Welfare Aziendale

La tassazione dei fringe benefits

Sono sempre di più le aziende che sviluppano piani di welfare aziendale che comprendono l’erogazione di fringe benefits. Scopri se, quando e come vengono tassati. Considerati come benefici in natura, i fringe benefits sono beni e servizi alternativi alla retribuzione in denaro che finiscono comunque in busta paga. Ecco tutto quello che c’è da sapere sulla loro tassazione. I fringe benefits sono tassati? Casi di esclusione dalla tassazione Qual è la normativa in fatto di tassazione dei fringe benefits? Fringe benefits in busta paga I fringe benefits sono tassati? Secondo il principio di omnicomprensività stabilito dal comma 1 dell’articolo 51 del TUIR qualsiasi bene, servizio o somma di denaro che il datore di lavoro abbia attribuito al dipendente deve necessariamente risultare in busta paga. Quindi tutti i fringe benefits, che sono delle agevolazioni concesse da un’azienda ai propri dipendenti, devono essere indicati in busta paga. Ciò vuol dire che verranno tassati? La risposta a questa domanda è quasi sempre sì. La maggior parte dei fringe benefits è considerata parte del reddito accumulato dal lavoratore nel corso dell’anno d’imposta e quindi viene assoggettata a tassazione INPS e IRPEF. Diciamo quasi sempre perché ci sono dei casi in cui i fringe benefit sono esclusi dalla tassazione, e altri in cui le tasse sono dovute solo per una parte del valore del bene o servizio accessorio erogato dall’azienda al proprio collaboratore. Per calcolare correttamente le imposte dovute sui fringe benefit, bisogna anche tenere conto della differenza tra la base contributiva e la base retributiva. Per quanto riguarda il versamento dei contributi, infatti, esistono delle soglie oltre le quali un bene o servizio non è più tassabile. Per il versamento dell’imposta sui redditi, invece, può diventare imponibile l’intero valore del bene, a meno che esso non sia compreso tra i casi di esclusione totale o parziale. Solitamente, è il datore di lavoro che inserisce i fringe benefit in busta paga e si occupa di trattenere alla fonte la quota dovuta per il pagamento delle imposte. Tuttavia, anche per il dipendente è importante conoscere sempre il valore del fringe benefit che viene erogato e i casi in cui esso può essere escluso totalmente o parzialmente dalla tassazione. Casi di esclusione dalla tassazione Anche se la maggior parte dei fringe benefits viene tassata, ci sono diversi casi in cui essi sono esenti in maniera totale o parziale dall’imposizione fiscale. Come per il principio di omnicomprensività, anche in questo caso a venirci in aiuto per farci capire quali sono i casi in cui i fringe benefit sono esclusi dalla tassazione è l’articolo 51 del TUIR, che elenca tutti i casi in cui essi sono esenti dal rientrare nella base imponibile per il pagamento delle imposte. Vediamo quali sono i principali casi di esclusione dei fringe benefits dal pagamento delle tasse, tenendo anche conto dell’aggiornamento del TUIR alla legge di bilancio 2021: i contributi previdenziali versati e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza agli obblighi di legge, e i contributi di assistenza sanitaria versati ad enti che hanno esclusiva finalità assistenziale fino a un importo massimo di 3615,20; la somministrazione di vitto da parte del datore di lavoro all’interno di mense aziendali gestite direttamente dall’azienda o da soggetti terzi; la prestazione di servizi di trasporto collettivo offerta alla collettività o a una sola categoria di dipendenti, anche se affidata ad aziende di trasporto pubblico; le somme erogate o rimborsate per l’acquisto di abbonamenti ai mezzi di trasporto pubblico alla collettività dei dipendenti o a una parte di essi o ai loro familiari; tutte le somme, i servizi e le prestazioni erogati dalle imprese alla generalità o a una parte dei dipendenti per far sì che i loro familiari possano avere accesso ai servizi di istruzione (anche scuole dell’infanzia), ai servizi di mensa ad essi collegati, alle ludoteche, ai centri estivi e doposcuola; le borse di studio erogate ai familiari dei dipendenti; le assicurazioni stipulate dall’azienda contro il rischio di infortuni a carico del lavoratore; il valore delle azioni in stock option a condizione che rimangano in possesso del dipendente per almeno 3 anni. Questi sono i principali casi di esclusione totale dei fringe benefits dalla tassazione. Ci sono, poi, altre agevolazioni che concorrono solo in parte a formare il reddito imponibile. Tra le più importanti ci sono: i buoni pasto; l’auto aziendale ad uso promiscuo (se l’auto è ad esclusivo uso aziendale è invece totalmente esente dalla tassazione); i prestiti a tasso agevolato erogati dal datore di lavoro ai collaboratori; i fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato; i rimborsi spese. Qual è la normativa in fatto di tassazione dei fringe benefits? La normativa di riferimento per la tassazione dei fringe benefits è il TUIR (il Testo Unico sull’Imposta dei Redditi), emanato con il Decreto del Presidente della Repubblica n° 917 del 22 dicembre 1986 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre dello stesso anno), di cui ogni anno viene approvata una versione aggiornata all’attuale legge di bilancio. L’articolo 51 del TUIR comma 3, in particolare, stabilisce anche quali siano i fringe benefits che rientrano nel reddito imponibile e i casi di deducibilità totale o parziale. Esonero dei fringe benefit dalla tassazione   Secondo quanto stabilito dalla legge: tutti i beni o servizi erogati dal datore di lavoro ai dipendenti sotto forma di contributo liberale, compresi voucher, buoni sconto e omaggi aziendali (sono esclusi i buoni pasto) nel medesimo anno di imposta, sono esonerati dal concorrere alla formazione del reddito da lavoro dipendente per un importo complessivo di 258,23 euro (aumentato a 2000 € per dipendenti con figli fiscalmente a carico e a 1000 € per tutti gli altri, limitatamente all'anno 2024) Anche i buoni pasto sono esclusi dalla tassazione, ma solo nel caso in cui non siano di importo superiore ai 4 euro per quanto riguarda i buoni cartacei, e agli 8 euro per i buoni elettronici. In caso vengano erogati al lavoratore buoni di importi maggiori, la parte eccedente i limiti fissati dalla legge concorrerà a formare il reddito imponibile. Valore normale e valore convenzionale Al fine di inserire correttamente in busta paga gli importi che formano il reddito da lavoro dipendente, è importante conoscere con certezza il valore del bene. Nella maggior parte dei casi, si considera come base imponibile il valore normale del bene (art. 9 del TUIR), che consiste nel prezzo praticato in media per la sua vendita. Ci sono poi alcune eccezioni, come le auto aziendali ad uso promiscuo, gli immobili offerti al dipendente e i prestiti in cui la base imponibile è data da un valore convenzionale. Fringe benefits in busta paga La quota di fringe benefits che finisce in busta paga e, quindi, viene tassata, nella maggioranza dei casi non costituisce l’intero valore del benefit. Tra i casi più comuni di tassazione in busta paga dei fringe benefits ci sono: l’auto aziendale; i prestiti concessi ai dipendenti; le abitazioni concesse in affitto ai collaboratori. Nel primo caso, quello dell’auto aziendale, la somma che andrà inserita in busta paga viene stabilita servendosi di un costo chilometrico convenzionale, che è contenuto in apposite tabelle aggiornate ogni anno dall’ACI. Per quanto riguarda i prestiti concessi ai dipendenti, la somma da inserire in busta paga è pari al 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento (TUR) e l’importo degli interessi calcolato in base al tasso agevolato applicato dall’azienda. Se ad un dipendente viene concessa un’abitazione in affitto, la somma che verrà indicata in busta paga è pari alla differenza tra rendita catastale + spese di gestione del fabbricato e il canone di affitto versato dal lavoratore.     Esempio di tassazione dei fringe benefits in busta paga Vediamo un esempio concreto di come i fringe benefits erogati al lavoratore dipendente vengono contabilizzati in busta paga. Uno dei fringe benefit più diffusi in assoluto è costituito dai buoni pasto. Mettiamo il caso che un dipendente riceva dal suo datore di lavoro dei buoni pasto elettronici del valore di 11,50 euro. La parte che eccede gli 8 euro giornalieri sarà assoggettata al versamento dei contributi e delle tasse. Ipotizziamo che i buoni pasto gli siano stati riconosciuti per 20 giorni nel mese di marzo. Questa sarà la sua ipotetica busta paga: retribuzione lorda euro 1.850,00; quota assoggettabile a tassazione                               3,5 euro x 20 giorni = euro 70,00. Ai fini del calcolo dei contributi INPS la retribuzione da prendere in considerazione sarà pari alla retribuzione lorda sommata alla quota dei buoni pasto assoggettabile a tassazione, quindi: 1.850,00 + 70,00 = 1.920,00. Applicando a questa base imponibile l’aliquota INPS del 9,19 % si ottiene un importo di 176,44 euro, che andrà inserito in busta paga come quota contributiva da versare. Questo per quanto riguarda la contribuzione. Adesso bisogna calcolare l’IRPEF, cioè l’imposta sul reddito da lavoro dipendente. La base imponibile per il calcolo dell’IRPEF è data dalla somma del reddito lordo alla quota di buoni pasto assoggettabile a tassazione, a cui si sottrae l’importo dovuto per i contributi INPS, quindi: (1850 + 70) – 176,44= 1743,56 La base imponibile per l’IRPEF è quindi di euro 1743,56. Su di essa viene calcolato l’importo dell’IRPEF lorda, a cui vanno poi sottratte le detrazioni per lavoro dipendente e gli eventuali carichi di famiglia per ottenere l’IRPEF netta. Supponendo che l’IRPEF netta (IRPEF lorda – detrazioni) sia pari ad euro 233,50, la busta paga del dipendente comprensiva di fringe benefit sarà così composta.     Retribuzione lorda euro 1.850,00 Buoni pasto non esenti euro 70,00 Contributi INPS Euro 176,44 IRPEF netta 233,50 Netto a pagare 1510,06 Tassazione fringe benefit: le novità del 2024   Nel 2024 la novità più importante è stata l’aumento della soglia di esenzione dalla tassazione per i fringe benefit, limitatamente a questo anno. La soglia passa a 2000 € per dipendenti con figli fiscalmente a carico e a 1000 € per tutti gli altri. In aggiunta a beni e servizi, il datore di lavoro potrà rimborsare anche le spese per le utenze domestiche - luce, acqua e gas naturale (no GPL) – e le spese per l’affitto e gli interessi del mutuo sulla prima casa.
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