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In quali casi la pausa pranzo sul lavoro è obbligatoria?
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In quali casi la pausa pranzo sul lavoro è obbligatoria?

La pausa pranzo è un periodo di tempo che viene concesso al lavoratore per consumare il pasto. Quando è obbligatorio concederla? I lavoratori part-time hanno diritto ad usufruirne? Deve essere retribuita? Le risposte in questa guida.

 

La legge prevede, per i lavoratori dipendenti, la possibilità di fare la pausa pranzo, cioè di interrompere momentaneamente il proprio lavoro per consumare il pasto. La pausa pranzo deve essere sempre concessa ai collaboratori? E, soprattutto, ci sono dei casi in cui è obbligatoria? 

Facciamo un po’ di chiarezza sulle regole per la pausa pranzo, partendo dalla normativa di riferimento. 

 

La normativa sulla pausa pranzo

Come per le ferie lavorative, anche per quanto riguarda la pausa pranzo la normativa di riferimento è costituita dal Decreto Legislativo 66/2003 il quale, all’articolo 8, comma 1, sancisce l’obbligatorietà della pausa pranzo qualora l’orario di lavoro giornaliero sia superiore alle 6 ore

Per stabilire se durante la pausa pranzo il lavoratore abbia diritto alla retribuzione, invece, il D. Lgs. 66/2003 rimanda all’articolo 5 del Regio Decreto 1955 del 1923 e l’articolo 4 del Regio Decreto 1956 del 1923. 

Oltre a queste leggi, della normativa sulla pausa pranzo fanno parte anche i contratti collettivi delle varie categorie, eventuali accordi sindacali stipulati tra un’azienda e i suoi dipendenti e i regolamenti aziendali. 

Perché e quando la pausa pranzo è obbligatoria?

La finalità della pausa pranzo, secondo quanto indicato dalla normativa, non è solo quella di permettere al lavoratore di consumare il suo pasto, ma anche di favorire il recupero delle energie psico-fisiche e di attenuare il ritmo di un lavoro monotono e ripetitivo

Il comma 2 dell’articolo 8 del D. Lgs. 66/2003 stabilisce inoltre che la pausa a cui ha diritto il lavoratore tra la fine e l’inizio di ogni periodo giornaliero di lavoro, di cui può usufruire anche sul luogo di lavoro, non debba essere inferiore ai 10 minuti. Il decreto demanda poi ai contratti collettivi di categoria il compito di stabilire la durata della pausa pranzo, che può essere decisa anche attraverso la stipula di accordi sindacali.

In generale, anche da quanto si può evincere dai Regi Decreti 1955 e 1956 del 1923, la pausa pranzo ha una durata minima di 10 minuti e una durata massima di 2 ore. 

La pausa pranzo è retribuita? Cosa dice la legge

Secondo quanto stabilito dall’articolo 5 del R.D. 1955 del 1923, non si considerano come lavoro effettivo:

  • i riposi intermedi che siano presi sia all’interno che all’esterno dell’azienda; 
  • il tempo impiegato per recarsi sul luogo di lavoro; 
  • le soste di lavoro di durata non inferiore a dieci minuti e non superiore alle due ore, comprese tra l’inizio e la fine di ogni periodo di lavoro della giornata lavorativa. 

Sono invece considerate come lavoro effettivo le soste, anche superiori ai 15 minuti, concesse agli operai che svolgono un lavoro molto faticoso, così che possa recuperare le condizioni psicofisiche necessarie allo svolgimento delle sue mansioni. 

La pausa pranzo, perciò, non rientrando nel computo delle ore di lavoro effettivo, non può essere retribuita. A prevedere un’eccezione a questa regola possono essere i contratti collettivi di lavoro, che hanno la facoltà di stabilire che il tempo dedicato alla pausa pranzo possa rientrare nella retribuzione. 

Chi stabilisce quando fare la pausa pranzo e la sua durata?

A decidere quando i lavoratori possono fare la pausa pranzo è, di solito, il datore di lavoro, che deve tenere conto delle esigenze organizzative e produttive dell’azienda. Insieme all’orario di lavoro, anche la pausa pranzo viene inserita nel regolamento aziendale e nel contratto individuale di ciascun lavoratore.  

Anche la durata della pausa pranzo, di solito, è stabilita dal datore di lavoro, che può rifarsi alla contrattazione collettiva o ad accordi interni per determinarla. Fermo restando che la normativa stabilisce che la pausa pranzo non debba essere inferiore ai 10 minuti e non possa superare le due ore, viene concessa almeno mezz’ora di pausa agli operai, in particolare a quelli addetti alle linee produttive

Alle persone che, invece, svolgono mansioni impiegatizie, di solito viene concessa almeno un’ora di pausa. 

La Circolare del Ministero del Lavoro numero 8 del 3 marzo 2005 precisa, inoltre, che il lavoratore possa usufruire della pausa pranzo anche rimanendo sul luogo di lavoro. Ciò che conta è che il tempo concesso per la pausa pranzo venga fruito in maniera continuativa, perché possa produrre gli effetti per il quale è stato pensato. 

Il lavoratore può rinunciare alla pausa pranzo?

No, il lavoratore non può rinunciare alla pausa pranzo, neanche dietro la previsione di una compensazione economica. Può chiedere, tuttavia, al datore di lavoro, di concentrare la pausa pranzo all’inizio o alla fine della giornata lavorativa, di fatto riducendo l’orario di lavoro (Circolare del Ministero del lavoro 8/2005). 

Nel caso in cui il datore di lavoro conceda a un dipendente questa possibilità, dovrà comunque accordare al lavoratore dei periodi di riposo compensativo.  

Part time e pausa pranzo: quali le regole?

La normativa sulla pausa pranzo stabilisce che i lavoratori dipendenti abbiano diritto ad usufruirne nel caso in cui l’orario di lavoro superi le sei ore giornaliere. 

Per loro natura i contratti part-time, a differenza di quelli full time, prevedono un orario di lavoro ridotto che, di solito, non raggiunge le sei ore giornaliere. Ciò significa che i lavoratori con un contratto di lavoro part-time non hanno diritto ad usufruire della pausa pranzo

Pausa pranzo e allattamento: la lavoratrice ha diritto alla pausa per il pranzo?

L’articolo 39 del Decreto Legislativo 151 del 2001 prevede che le donne lavoratrici, nel primo anno di vita del bambino, abbiano diritto a due periodi di riposo giornalieri di un’ora ciascuno, di cui possono godere anche consecutivamente, a condizione che l’orario di lavoro sia superiore alle 6 ore. Nel caso in cui l’orario di lavoro sia inferiore alle 6 ore, la lavoratrice ha diritto ad una sola ora di riposo giornaliero. 

Molte lavoratrici dipendenti si chiedono se, oltre alle due ore di riposo giornaliero, abbiano diritto di godere anche della pausa pranzo, dal momento che le ore concesse per l’allattamento sono considerate a tutti gli effetti come orario di lavoro e vengono retribuite. 

A dare una risposta definitiva a questa domanda è stata la risposta ad interpello del Ministero del Lavoro numero 2 del 2019 la quale ha chiarito che, dal momento che la lavoratrice che ha diritto al riposo per l’allattamento svolge un orario di lavoro effettivo inferiore alle 6 ore, non ha diritto alla pausa pranzo

Pausa pranzo, mensa aziendale e buoni pasto: cosa dice la normativa?

La normativa che regola la sicurezza sul lavoro impone alle aziende con più di 30 dipendenti di predisporre una sala con funzione di refettorio adeguatamente attrezzata da mettere a disposizione dei collaboratori. 

Al contrario di quanto accade per la pausa pranzo, tuttavia, non esiste una legge specifica che obblighi le aziende ad offrire il servizio di mensa ai propri dipendenti. Tale obbligo sussiste solo nel caso in cui siano i CCNL di riferimento a prevedere che le aziende offrano ai lavoratori il servizio di mensa. 

In questo caso, le imprese hanno tre possibilità per adempiere a questo obbligo: 

  • istituire una mensa interna gestita direttamente dall’azienda; 
  • istituire una mensa interna gestita da una società esterna;
  • offrire ai lavoratori una misura compensativa, come i buoni pasto o l’indennità sostitutiva di mensa

Nel caso in cui un’azienda non abbia la possibilità di istituire una mensa interna dove i lavoratori possano consumare il pasto durante la pausa pranzo, l’opzione più conveniente per datore di lavoro e collaboratori è rappresentata dai buoni pasto.

Disponibili sia nel formato cartaceo, sia nel formato elettronico, i buoni pasto sono ticket di importo variabile che il lavoratore può utilizzare per acquistare pasti già pronti presso gli esercizi commerciali convenzionati. Al contrario dell’indennità sostitutiva di mensa, che viene considerata parte della retribuzione ordinaria e, quindi, tassata di conseguenza, i buoni pasto sono esenti dalla tassazione fino ad un importo massimo di 4 euro per i buoni cartacei e di 8 euro per i buoni elettronici.


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