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Welfare Aziendale
Servizi che danno colore al lavoro dei dipendenti e alla vita privata
Welfare Aziendale

Dicembre 03, 2020
Welfare Aziendale
Welfare aziendale e previdenza complementare: tutto quello che c’è da sapere
Oggi sempre più persone scelgono di convertire i premi di risultato in contributi destinati al fondo pensione. Scopri perché questa opzione è tanto conveniente.
Negli ultimi decenni si è assistito ad una contrazione sempre più marcata dei servizi di welfare offerti dallo Stato ai cittadini, che non ha risparmiato neanche le pensioni.
In passato, chi lavorava e versava i contributi statali aveva la certezza di ottenere una buona pensione; adesso, invece, le cose sono cambiate. Molti lavoratori temono di non riuscire a raggiungere questo ambito traguardo, mentre chi ha la certezza di raggiungerlo, teme di non ricevere una somma sufficiente a vivere una vita dignitosa. Per questo la maggior parte delle persone sceglie di affidare parte dei propri guadagni a forme pensionistiche complementari quali sono i fondi pensione di categoria o privati, oppure di investire nell’assistenza sanitaria.
In questo articolo parleremo della previdenza complementare nei piani di welfare aziendale e perché è conveniente scegliere di convertire il premio di risultato in contributi da versare nel fondo pensione.
Previdenza complementare e deducibilità dei contributi: cosa dice la legge?
Perché conviene convertire i premi di risultato in contributi al fondo pensione?
I vantaggi fiscali per l’azienda
Perché scegliere di ricevere il premio di risultato in denaro conviene di meno?
Quando è possibile convertire il premio di risultato in contributi al fondo pensione?
Come convertire il premio di risultato in contributi al fondo pensione con Day Welfare
Previdenza complementare e deducibilità dei contributi: cosa dice la legge?
Scegliere di destinare una parte dei contributi versati durante l’anno ad un fondo pensione è già vantaggioso per un lavoratore.
Secondo quanto stabilito dalla normativa vigente (articolo 10 del TUIR), infatti, è possibile dedurre dal reddito imponibile IRPEF i contributi destinati a forme pensionistiche complementari fino al limite di 5.164,57 euro annui. Questo limite include sia i contributi versati dal lavoratore, sia le somme versate per eventuali familiari a carico.
I vantaggi fiscali, poi, aumentano per coloro che si trovano alla prima occupazione e hanno iniziato da poco a versare i contributi. Per i primi cinque anni, infatti, il limite per la deducibilità fiscale dei contributi previdenziali destinati ai fondi pensione è innalzato di 2.859,29 euro.
Le eventuali quote di TFR destinate al fondo pensione complementare non sono invece deducibili.
Tra le possibilità previste dalla legge per incrementare il proprio fondo di previdenza complementare c’è anche la conversione del premio di risultato in contributi da destinare ad esso.
Detassazione dei premi di risultato
Tra le somme che godono di una tassazione agevolata ci sono anche i premi di risultato, cioè quegli importi che vengono corrisposti ai lavoratori se l’azienda riesce a raggiungere determinati obiettivi in un periodo di tempo prestabilito.
Dal 2016 in poi è stato stabilito che i premi di risultato versati nella busta paga dei lavoratori dipendenti venissero sottoposti a una tassazione agevolata, con un’aliquota IRPEF fissata al 10%.
Vengono assoggettati alla tassazione agevolata tutti i premi di risultato che hanno un importo pari o inferiore ai 3.000 euro annui, erogati ai lavoratori dipendenti che hanno un reddito annuo che non supera gli 80.000 euro.
Se un lavoratore decide di convertire queste somme in welfare aziendale invece di richiederne il versamento in busta paga, avrà diritto a vantaggi fiscali ancora maggiore.
Perché conviene convertire i premi di risultato in contributi al fondo pensione?
Quando al lavoratore vengono riconosciuti dei premi di produttività legati al raggiungimento di determinati obiettivi di incremento della produzione o del fatturato, quest’ultimo può decidere di ricevere un importo in denaro oppure di convertire la somma corrispondente in beni e servizi di welfare. La previdenza complementare è uno dei servizi più vantaggiosi dei piani di welfare aziendale. Ecco quali sono i 3 benefici principali che si ricavano da questa scelta:
aumenta la deducibilità fiscale;
i premi convertiti in pensione integrativa non sono tassati;
si ottiene un risparmio contributivo.
1. Aumenta la deducibilità fiscale
Il premio di risultato convertito in contributi destinati alla previdenza integrativa è deducibile dalle tasse fino al limite di 3.000 euro annui e non fa cumulo con i 5.164,57 euro che un lavoratore può versare nel fondo di previdenza integrativa durante l’anno senza che questi vengano tassati.
Se, per esempio, un lavoratore ricevesse un premio di risultato di 3.000 euro e decidesse di convertire l’intero importo in contributi, in aggiunta ai versamenti che effettua periodicamente, potrebbe risparmiare per la pensione una somma pari a 8.164,57 euro annui, senza doversi preoccupare che venga erosa dalle tasse.
2. I premi convertiti in pensione integrativa non sono tassati
Secondo quanto stabilito dalla legge, i premi convertiti in pensione integrativa non solo sono deducibili al momento del versamento nel fondo pensione, ma mantengono l’esenzione dalla tassazione anche quando questa viene erogata o vengono richieste delle anticipazioni sulle somme versate.
3. Si ottiene un risparmio contributivo
Il premio di risultato che confluisce all’interno di un fondo pensione di categoria o privato non viene gravato dall’imposizione fiscale per la pensione INPS (l’aliquota corrente è del 9,19%). Sia il lavoratore che l’azienda, quindi risparmiano sulle tasse. La perdita che si viene a creare sull’assegno pensionistico di base per il mancato versamento dei contributi INPS viene compensata dalla conversione del premio in pensione integrativa.
I vantaggi fiscali per l’azienda
La scelta dei lavoratori di convertire le somme ricevute come premio di risultato in servizi di welfare aziendale, e in contributi per la previdenza complementare in particolare, comporta diversi vantaggi fiscali anche per le imprese. Che, in questo modo, sono maggiormente incentivate nell’offrire premi in denaro e servizi di welfare ai propri dipendenti.
Nel caso il premio di risultato venga erogato direttamente in busta paga, l’azienda deve versare i contributi INPS sulla somma erogata e sottostare ad altri oneri, anche se ottiene l’esenzione dall’IRES e la completa deducibilità della somma.
Se, invece, il premio di risultato viene convertito in welfare aziendale, l’azienda non deve sostenere spese aggiuntive, poiché non deve versare INPS e IRES né sottostare ad altri oneri.
Perché scegliere di ricevere il premio di risultato in denaro conviene di meno?
Scegliere di ricevere un premio di risultato in denaro conviene di meno perché le somme erogate direttamente in busta paga sono soggette a tassazione, anche se agevolata. Ad esse, infatti, si applica l’aliquota IRPEF del 10% che, nonostante sia inferiore all’aliquota ordinaria, erode comunque parzialmente la capacità di spesa del lavoratore.
Prendiamo ad esempio il caso di due dipendenti che ricevono 1.000 euro di premio di risultato: il primo, che chiameremo Stefano, sceglie di farsi versare l’intero importo in busta paga; il secondo, che chiameremo Laura, invece, decide di versarlo nel fondo di previdenza complementare.
STEFANO
€1.000 IN BUSTA PAGA
LAURA
€1.000 IN CONTRIBUTI PER IL FONDO PENSIONE
Imposta sostitutiva IRPEF al 10%
€100,00
Non dovuta
Contributo INPS (9,19%)
€91,9
Non dovuto
Netto disponibile
€808,10
€1.000,00
Quando è possibile convertire il premio di risultato in contributi al fondo pensione?
È possibile convertire il premio di risultato o gli incrementi di retribuzione garantiti dai contratti integrativi in contributi al fondo pensione nel caso in cui tale possibilità sia prevista nella contrattazione collettiva di secondo livello.
Come convertire il premio di risultato in contributi al fondo pensione con Day Welfare
Day Welfare è la piattaforma Up Day dedicata ai piani di welfare per le aziende. Grazie ad essa, per gli HR manager diventa facilissimo creare e gestire i piani di welfare per la propria azienda.
La piattaforma mette a disposizione anche un’area riservata per ciascun dipendente che, in ogni momento, potrà verificare il suo credito welfare e scegliere come investirlo.
Se un lavoratore decide di convertire una parte o l’intera somma del suo premio di risultato in contributi per la previdenza integrativa, potrà eseguire questa operazione utilizzando la piattaforma Day Welfare. Ecco quali sono i passaggi da seguire:
se si è già registrati, basta accedere all’area riservata, altrimenti si deve eseguire prima la registrazione;
dopodiché si deve accedere alla sezione previdenza integrativa e inserire l’importo che si desidera destinare alla propria pensione integrativa;
si deve indicare anche il nome del fondo in cui verrà versata la quota. È possibile eseguire versamenti sui fondi di categoria, sui fondi aziendali e sui fondi privati;
alla fine, si deve confermare l’operazione. Entro qualche settimana, sarà l’azienda stessa a versare la somma selezionata sul fondo selezionato.

Agosto 31, 2020
Welfare Aziendale
Welfare Voucher: cosa sono e come utilizzarli
I voucher welfare sono lo strumento preferito dalle aziende per erogare benefit ai propri dipendenti. Scopri cosa sono e come funzionano.
Sempre più spesso le aziende che offrono dei benefit aziendali ai propri dipendenti decidono di utilizzare come strumento i welfare voucher: buoni di valore variabile che si utilizzano per usufruire dei beni e dei servizi previsti dal piano di welfare aziendale. In questo articolo troverai tante informazioni utili su come incassare e utilizzare questi buoni.
Cosa sono i voucher welfare?
Come si riscuotono i voucher welfare?
Come si possono spendere i voucher welfare?
Perché convengono?
Vantaggi per il lavoratore e per l’azienda
Cosa sono i voucher welfare?
Il voucher, in generale, è uno strumento in uso da molti anni, in particolare in ambito turistico: si tratta di un titolo di credito che viene impiegato per prenotare o pagare determinati servizi.
Nati in Europa, introdotti in Italia dalla Legge di Bilancio 2016, i voucher welfare sono un utile strumento per le aziende che desiderano rendere più semplice la fruizione dei beni e servizi compresi nel piano di welfare aziendale messi a disposizione dei dipendenti.
Si tratta di buoni cartacei o elettronici considerati come titoli di credito personali (cioè spendibili solo dal titolare), accessori alla retribuzione ordinaria, che danno al lavoratore il diritto di ottenere beni e servizi di vario tipo presso i fornitori convenzionati con l’azienda, e possono essere erogati anche in sostituzione dei premi di produttività.
Secondo quanto stabilito dall’articolo 3 – bis dell’articolo 51 del TUIR (Testo Unico sulle Imposte sul Reddito), l’erogazione di beni e servizi da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione (i voucher welfare, appunto), in modalità cartacea o elettronica, che riportino il valore nominale.
I voucher welfare, quindi, mantengono le stesse agevolazioni fiscali dei beni e servizi di welfare, perciò non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente e sono esenti da tassazione, almeno fino alla soglia stabilita dalla legge di 258,23 euro. Soglia che per il 2024 è stata innalzata a 2000 € per i dipendenti con figli a carico e a 1000 € per tutti gli altri.
In quanto titoli di credito defiscalizzati, secondo quanto stabilito dall’articolo 6 del TUIR, i voucher welfare devono avere le seguenti caratteristiche:
devono essere nominativi;
possono essere utilizzati solo dal titolare o dai familiari fino al 1° grado di parentela;
non possono essere ceduti;
non possono essere convertiti in denaro;
danno diritto all’erogazione di un solo bene, prestazione, opera o servizio, per il loro intero valore nominale e non possono essere integrati dal titolare (a parte alcune eccezioni).
Sempre la normativa, il comma 2 dell’articolo 6 del TUIR, prevede una deroga all’obbligo di utilizzare il voucher per un solo bene/ prestazione, prevedendo che esso possa essere speso per una pluralità di servizi compresi nel “carrello della spesa” o “paniere” previsto dal piano di welfare aziendale, purché l’importo di tali beni e servizi non superi il limite fissato dalla legge di 258,23 euro.
Differenza tra welfare voucher e buoni pasto
Attenzione, però, a non confondere i voucher welfare con i buoni pasto, che rappresentano un servizio sostitutivo di mensa e sono regolamentati in maniera diversa.
L’erogazione dei voucher welfare non preclude l’uso dei buoni pasto e viceversa, in quanto si tratta di due misure di welfare aziendale completamente diverse.
In particolare, i buoni pasto sono esclusi dalla tassazione sulla base di un importo giornaliero (fissato in 4 euro per i cartacei e in 8 euro per gli elettronici), possono essere utilizzati per acquistare solo cibi già pronti o prodotti alimentari e possono essere integrati con somme di denaro versate dal lavoratore, se la somma spesa supera il valore del buono.
Come si riscuotono i voucher welfare?
Il lavoratore ha a disposizione diversi modi per riscuotere i voucher welfare, che variano in base alle scelte dell’azienda e alla tipologia di buono (se cartaceo o elettronico).
Nel caso in cui un’impresa decida di gestire da sé l’emissione dei voucher welfare, per riscuoterlo il lavoratore dovrà comunicare all’azienda qual è il bene o servizio di welfare aziendale per cui intende spenderlo, scegliendo tra quelli proposti, e sarà poi la stessa impresa a emettere un buono cartaceo o elettronico che il lavoratore potrà spendere per ottenere il servizio scelto.
Se, invece, l’azienda decide di affidare la gestione dei voucher welfare a una società esterna, come Day, il lavoratore potrà accedere alla propria area riservata e scegliere il bene o servizio che preferisce. La società incaricata provvederà all’emissione di un buono spesa cartaceo o elettronico, a seconda delle disposizioni aziendali o delle preferenze del lavoratore, da spendere online o in uno dei negozi convenzionati.
Solitamente, l’utilizzo del voucher deve avvenire entro l’anno d’imposta in cui è stato emesso.
Ecco un esempio per capire meglio il funzionamento dei voucher welfare. Mettiamo il caso che un’azienda decida di erogare al proprio dipendente un bonus di 200 euro annui, spendibile tramite voucher: per ottenere il suo buono, il lavoratore accederà alla piattaforma digitale Day dedicata ai servizi di welfare aziendale, attraverso il sito o l’app e sceglierà il bene o il servizio per cui intende spendere il proprio bonus. Day si occuperà poi di creare il voucher welfare che il titolare potrà spendere presso l’esercizio o gli esercizi convenzionati che erogano i beni o servizi selezionati.
Grazie all’uso di una piattaforma di welfare dedicata, l’azienda non dovrà preoccuparsi di cercare i partner con cui stipulare le convenzioni né gestire le operazioni di emissione dei voucher, mentre il lavoratore potrà scegliere in totale autonomia come spendere il suo voucher e riceverlo in tempi brevi.
Come si possono spendere i voucher welfare?
I voucher welfare danno diritto a ricevere una pluralità di beni e servizi, che vengono scelti dall’azienda al momento della creazione del suo piano di welfare aziendale.
Un piano di welfare aziendale può comprendere agevolazioni che toccano diversi ambiti della vita lavorativa e familiare del dipendente, quali: sanità, assistenza per bambini e anziani, istruzione dei familiari, trasporti, formazione personale del dipendente, previdenza, tempo libero e benessere, shopping.
A seconda dei beni e servizi compresi nel piano di welfare, perciò, il lavoratore può richiedere un voucher welfare da spendere per: viaggi, centri benessere, palestre, abbonamenti a cinema o teatri, acquisto di libri per i figli, corsi di formazione, shopping, abbonamenti ai mezzi pubblici, rette scolastiche.
Perché convengono?
I voucher welfare rappresentano uno strumento utile e conveniente per l’erogazione e la fruizione dei servizi di welfare aziendale.
Specialmente per le aziende di piccole e medie dimensioni, gestire l’erogazione dei beni e dei servizi compresi nel piano di welfare può risultare piuttosto difficile, poiché è inverosimile riuscire, ad esempio, a costruire una palestra o un asilo nido all’interno della struttura. Per questo, risulta più pratico stipulare convenzioni con strutture esterne, che si occuperanno poi di erogare i servizi al dipendente.
Tuttavia, anche stipulando una convenzione, rimane il problema del pagamento dei beni e servizi fruiti dal lavoratore: se, infatti, il datore di lavoro versasse nella busta paga del proprio collaboratore una somma di denaro da spendere presso gli esercizi convenzionati, tale somma verrebbe tassata. Con l’erogazione di un voucher welfare, invece, il lavoratore ha a disposizione l’intera somma e l’azienda gode di numerosi vantaggi fiscali.
Facciamo un esempio concreto. Un’azienda decide di erogare al dipendente 200 euro di bonus, da spendere per acquistare i beni e i servizi che preferisce. Nella tabella, si può vedere la differenza tra l’erogazione dell’importo in busta paga, che viene eroso dalle tasse anche qualora si trattasse del premio di risultato, e l’emissione del voucher welfare, che, invece, è totalmente esente da tassazione.
IMPORTO IN BUSTA PAGA
PREMIO DI RISULTATO
VOUCHER WELFARE
IMPORTO LORDO
€200,00
€200,00
€200,00
CONTRIBUTI INPS 9,19%
€18,38
€18,38
€0
IMPONIBILE IRPEF
€181,62
€181,62
€0
ALIQUOTA CONVENZIONALE IRPEF SENZA DETRAZIONI 27,5%
€49,94
€0
€0
ALIQUOTA IRPEF AGEVOLATA 10%
€0
€18,16
NETTO IN BUSTA PAGA /IMPORTO WELFARE NETTO DISPONIBILE
€131,68
€163,45
€200,00
Per quanto riguarda l’azienda, invece, l’emissione dei voucher welfare le garantisce diversi vantaggi fiscali, tra cui l’esenzione dal versamento dell’IVA e la totale deducibilità dei buoni per un importo di 258,23 euro annui a dipendente.
Per fare un esempio concreto, se un’azienda eroga dei voucher del valore di 258 euro a 60 dipendenti, otterrà un risparmio che si aggira attorno ai 1.290 euro all’anno, mentre il dipendente avrà a disposizione l’intero importo.
Vantaggi per il lavoratore e per le aziende
Riepilogando, i benefici maggiori del voucher welfare per i dipendenti sono:
riduzione del cuneo fiscale;
detassazione;
maggior potere d’acquisto, derivante dalla non imponibilità del buono;
possibilità di ottenere il bene o servizio scelto senza intaccare il proprio stipendio.
Tra i vantaggi del voucher welfare per le aziende ci sono:
motivazione e fidelizzazione dei propri collaboratori;
esenzione dal versamento IVA;
deducibilità al 100% per un importo complessivo annuo di 258,23 euro a dipendente;
facilità di emissione.
*con il nuovo decreto approvato dal Consiglio dei Ministri in data 8 agosto 2020, il limite per la detassazione di beni e servizi riconosciuti ai lavoratori dipendenti passa a 516,46 euro. Il raddoppio dell’esenzione fiscale sul welfare aziendale è però limitato all’anno d’imposta in corso, e quindi si applica esclusivamente al 2020

Agosto 27, 2020
Welfare Aziendale
Fringe benefit, raddoppia l’esenzione fiscale: le novità 2020
Le novità in merito alla tassazione dei fringe benefit rientrano nel pacchetto di misure fiscali del decreto approvato dal Consiglio dei Ministri in data 8 agosto 2020 che modifica quanto previsto dall’articolo 51, comma 3 del TUIR, portando la soglia di esenzione fiscale per i fringe benefit da 258,23 euro a 516,46 euro.
Entro tale limite, il valore di beni ceduti e servizi erogati dalle imprese ai propri lavoratori dipendenti non concorrerà alla formazione del reddito, e sarà quindi esente da imposte e contributi.
Il raddoppio dell’esenzione fiscale è però limitato all’anno d’imposta in corso, e quindi si applica esclusivamente per i fringe benefit riconosciuti nel 2020.
Cosa sono i fringe benefits?
I fringe benefits sono beni e servizi erogati dalle aziende ai dipendenti su base volontaria, nell’ambito di politiche di welfare aziendale volte a migliorare la qualità della vita e la produttività dei collaboratori.
fringe benefits sono costituiti sia da strumenti e agevolazioni che migliorano e facilitano la vita lavorativa del dipendente, sia da benefici di cui i collaboratori possono usufruire nella loro sfera privata, durante il tempo libero, per perseguire i propri interessi, e a cui possono avere accesso anche le famiglie.
Perchè riconoscere i fringe benefits al dipendente?
I fringe benefits sono benefici accessori che, in passato, molte aziende vedevano solo come costi aggiuntivi da evitare il più possibile, oppure come vantaggi a cui avevano diritto solo i dipendenti delle grandi aziende. Il massimo che veniva concesso ai lavoratori era una gratifica in busta paga, più o meno generosa, se il bilancio di quell’anno mostrava un segno positivo.
Oggi, invece, sempre più imprese, anche di medie e piccole dimensioni, sono attente alle esigenze dei propri collaboratori e si sono rese conto del valore aggiunto che comporta la concessione di questo tipo di agevolazioni.
Questo perché ci si è accorti che dei dipendenti appagati e soddisfatti sono più produttivi e rappresentano quindi un vantaggio per l’azienda, che vedrà così aumentare il proprio potenziale.
Riconoscere i fringe benefits al dipendente significa investire nel capitale umano della propria impresa, e questo è importante perché:
i dipendenti che si sentono più gratificati e meno stressati sono più produttivi;
si crea un rapporto di fiducia più stretto tra l’impresa e i suoi collaboratori;
si riduce il turnover;
la reputazione aziendale subisce un miglioramento visibile;
le persone talentuose in cerca di lavoro vengono invogliate ad entrare a lavorare in azienda.
Inserire i fringe benefits nel proprio piano di welfare aziendale è conveniente per le aziende anche da un punto di vista fiscale, perché ad essi è riservata una tassazione agevolata.
Cadhoc il fringe benefit ideale per azienda e dipendenti
Cos'è Cadhoc? E' il voucher shopping di Up Day, soluzione perfetta per gratificare il personale, fidelizzare i clienti, premiare la forza vendita.
Un dono sempre indovinato, sia per chi lo fa che per chi lo riceve.
Chi riceve questa tipologia di voucher ha il vantaggio di decidere in che modo spenderlo. Può essere un voucher per fare shopping nelle migliori catene di negozi, oppure può essere convertito in buoni da spendere negli shop e-commerce più cliccati della rete.
Cadhoc nel welfare aziendale
Cadhoc inoltre è la soluzione per i rinnovi contrattuali nazionali di categoria che prevedono flexible benefit obbligatori al loro interno. Il buono spesa per acquistare benzina, libri scolastici, alimentari ecc. che si adatta alle diverse esigenze dei lavoratori. Un esempio? Il contratto Metalmeccanico, Orafi e Argentieri, Telecomunicazioni e Confapi Comunicazione e Servizi Innovativi.
Il buono shopping universale per incentivare e motivare il personale, fidelizzare i clienti e premiare la forza vendita è l'ideale in ogni occasione dell'anno ed è la soluzione per gratificare in modo personale qualunque collaboratore, dal più tradizionalista al nativo digitale grazie alla sua spendibilità on e offline. Tanti vantaggi fiscali alle aziende, perché Cadhoc è l’incentivo che soddisfa davvero i desideri di tutti.
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Agosto 11, 2020
Welfare Aziendale
Chi ha diritto al welfare aziendale?
Il welfare aziendale si rivolge ai lavoratori dipendenti del settore privato con misure volte a migliorarne la qualità della vita. Scopri nel dettaglio chi sono i destinatari di queste misure.
Lo strumento del welfare aziendale è impiegato da un numero sempre crescente di aziende per offrire un sostegno al reddito dei lavoratori e soddisfarne i bisogni, così da migliorare la conciliazione vita-lavoro. Per loro natura, le misure di welfare aziendale non possono essere erogate ad personam ma devono essere rivolte a una pluralità di soggetti.
In questo articolo ti spiegheremo chi ha diritto al welfare aziendale e perché.
Ogni azienda ha un piano di welfare aziendale?
Chi beneficia del piano di welfare?
I vantaggi per i lavoratori
Il datore di lavoro può fare più piani di welfare differenti tra loro?
Ogni azienda ha un piano di welfare aziendale?
Sono sempre di più le aziende italiane, anche tra le PMI, che riconoscono il valore del welfare aziendale e decidono di offrire ai propri dipendenti benefit e incentivi di vario tipo. Anche grazie all’introduzione del Jobs Act, che si è posto come obiettivo l’introduzione di sistemi di welfare aziendale sempre più dinamici e innovativi.
Spesso, sono gli stessi contratti collettivi di categoria che impongono alle imprese di mettere a disposizione dei propri dipendenti misure di welfare aziendale di vario tipo. Altre volte, sono le aziende che decidono di offrirle autonomamente ai lavoratori.
Tuttavia, ciò non significa che tutte queste imprese abbiano attuato un piano di welfare aziendale. Sono molti i casi in cui le misure vengono erogate senza essere comprese in uno schema ben definito.
Quando il welfare aziendale è obbligatorio
La sempre crescente attenzione nei confronti del welfare aziendale e dei suoi numerosi vantaggi per aziende e dipendenti ha fatto sì che sempre più categorie ne riconoscessero l’utilità.
Così, negli ultimi anni, è accaduto sempre più spesso che, in occasione del rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro di diversi settori siano state incluse al loro interno una serie di iniziative per migliorare la qualità della vita dei dipendenti.
I primi a inserire l’obbligatorietà delle misure di welfare nel loro contratto collettivo sono stati i metalmeccanici, seguiti poi da altri settori, tra cui le telecomunicazioni, gli orafi e argentieri, gli operatori di telefonia, il turismo e la ristorazione.
Secondo quanto stabilito da questi contratti, il contributo non può essere monetizzato, cioè non può essere inserito nella busta paga del dipendente o convertito in denaro, ma deve essere finalizzato all’erogazione di beni e servizi che rientrino tra le misure di welfare aziendale.
I vantaggi di un piano di welfare aziendale
Perché le misure di welfare offerte ai dipendenti risultino davvero efficaci e riscuotano il consenso delle persone a cui sono rivolte, è bene che vengano inserite all’interno di un piano di welfare aziendale.
Nel piano di welfare, infatti, sono indicati:
le categorie di dipendenti che hanno diritto a beneficiare dei beni e dei servizi offerti;
quali beni e servizi siano i più adatti ad essere erogati ai lavoratori;
le modalità in cui deve avvenire l’erogazione delle misure di welfare;
i criteri di valutazione per capire se il piano stia o meno funzionando.
Il piano di welfare aziendale, perciò, offre alle imprese diversi benefici:
consente di individuare le misure di welfare già presenti in azienda e di valorizzarle;
permette di strutturare l’offerta di beni e servizi di welfare in modo da renderla davvero conveniente sia per l’impresa, sia per i lavoratori;
consente di monitorare la soddisfazione dei dipendenti nei confronti dei servizi di welfare erogati.
Le soluzioni di welfare Day per aziende e dipendenti
Le aziende che trovano difficile gestire il proprio piano di welfare possono affidarsi ad una società come Day, che ha sviluppato la piattaforma Day welfare.
Un servizio strutturato e completo, che permette di comporre le tipologie di benefit in base alle esigenze aziendali, così da garantire la soddisfazione dei dipendenti, stilare il regolamento che ne regola la fruizione e offrire un supporto continuo agli HR manager.
Chi beneficia del piano di welfare?
La fruizione dei piani di welfare aziendale è riservata ai lavoratori dipendenti delle aziende private, ma può essere estesa anche ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti che hanno un rapporto di lavoro continuativo con le stesse (ad esempio i professionisti che hanno un contratto co.co.co.).
I beni e servizi che ne fanno parte, per essere considerati parte del welfare aziendale e godere delle agevolazioni fiscali, non possono essere erogati ad personam ma devono essere rivolti alla generalità di dipendenti o a categorie omogenee di lavoratori, come indicato dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi all’articolo 51.
I beni e servizi erogati ad personam dall’azienda al dipendente, infatti, non godono di tassazione agevolata in quanto sono considerati parte integrante della retribuzione.
Con categorie omogenee di dipendenti non si intende solo la distinzione più classica tra dirigenti, operai o lavoratori che appartengono a determinati reparti. Tra le categorie omogenee di lavoratori che possono venire individuate dai datori di lavoro per l’erogazione del welfare aziendale, ci sono, ad esempio:
dipendenti con lo stesso livello contrattuale (V, IV, III, II livello e così via);
dipendenti che appartengono a una stessa sede aziendale, allo stesso ufficio o allo stesso settore;
dipendenti con figli;
dipendenti che appartengono a una determinata fascia di reddito;
dipendenti che decidono di convertire in welfare aziendale il proprio premio di risultato.
I lavoratori non sono gli unici beneficiari delle misure di welfare aziendale erogate dalle aziende. La legge prevede anche l’estensione della fruizione di determinate agevolazioni ai loro familiari.
Anche in questo caso, è il TUIR, all’articolo 12, a indicare chi sono i familiari che hanno diritto ad avere accesso ai beni e servizi offerti nell’ambito del piano di welfare. Si tratta di:
i coniugi non legalmente ed effettivamente separati;
i figli, compresi i figli naturali riconosciuti e i figli legalmente adottati o in affido;
i genitori, compresi i genitori adottanti;
i generi e le nuore;
il suocero e la suocera;
i fratelli e le sorelle.
I vantaggi per i lavoratori
Grazie al welfare aziendale i lavoratori hanno accesso a una serie di agevolazioni sia lavorative che personali, come ad esempio l’orario di lavoro flessibile o la possibilità di ottenere beni e servizi per sé e per i familiari, che favoriscono la conciliazione vita-lavoro, riducono il livello di stress e aumentano il benessere di chi le riceve.
I servizi di welfare, inoltre, possono essere totalmente o parzialmente detassati, sia dal punto di vista contributivo, sia dal punto di vista retributivo, cosa che aumenta il potere d’acquisto del beneficiario.
Il datore di lavoro può fare più piani di welfare differenti tra loro?
La risposta a questa domanda è no, per un’azienda non è possibile sviluppare più piani di welfare in contemporanea.
La natura stessa del piano di welfare non rende necessario, per le aziende, svilupparne più di uno in contemporanea, in quanto ogni piano può comprendere una pluralità di misure di welfare, anche molto diverse tra loro, e venire integrato all’occorrenza.
Dopo aver individuato le categorie di lavoratori alle quali destinare il welfare aziendale, il datore di lavoro decide quali siano le misure di welfare da inserire all’interno del piano. Tali misure possono riguardare la sfera lavorativa del lavoratore, oppure quella familiare. Ad esempio, possono riguardare la sanità, l’istruzione, la formazione personale del dipendente, la previdenza complementare, il tempo libero, i trasporti pubblici.
I beni e servizi compresi nei piani di welfare aziendale possono avere natura accessoria (fringe benefits) o complementare alla retribuzione (flexible benefits), come auto aziendale, voucher welfare, pensione complementare, assicurazione sanitaria, rimborso delle spese per l’istruzione dei figli (ad esempio la retta dell’asilo), assistenza per i parenti non autosufficienti, e così via.
Sarà poi il lavoratore a scegliere quale delle misure sia più adatta alle sue necessità e ai suoi scopi.
Non c’è, invece, nessuna legge che vieti alle aziende di strutturare un piano di welfare limitandolo a determinate categorie di beni e servizi. In alcuni casi, le aziende, specialmente quelle di grandi dimensioni, creano piattaforme complesse e articolate, che toccano tutte le aree del welfare. In altri, dopo aver studiato le necessità e le preferenze dei propri dipendenti, le imprese decidono di creare un piano di welfare che si concentri solo su un’area specifica.
Anche se non è possibile, e utile, per un’azienda, sviluppare più piani di welfare in contemporanea, può accadere che le aziende sviluppino più piani di welfare in successione. Per sua natura, infatti, il piano di welfare aziendale è uno strumento dinamico, che, per essere sempre attuale ed efficiente, ha bisogno di rinnovarsi periodicamente.
I piani di welfare possono avere una durata variabile, cioè avere scadenza annuale, biennale o triennale. Una volta giunti a scadenza, devono essere rinnovati. Se un’impresa, misurando l’efficacia del proprio piano di welfare, si rende conto che le misure adottate non hanno più la stessa efficacia di quando è stato sviluppato o sono diventate obsolete, può decidere di svilupparne uno nuovo, partendo dai dati già in suo possesso o raccogliendone di nuovi.

Luglio 27, 2020
Welfare Aziendale
L’auto aziendale ad uso promiscuo
Tra le agevolazioni concesse più spesso dalle imprese ai propri dipendenti nell’ambito dell’applicazione delle politiche di welfare aziendale c’è l’auto aziendale ad uso promiscuo. Ecco tutto quello che devi sapere su questo tipo di benefit.
La concessione dell’auto aziendale ad uso promiscuo ai lavoratori dipendenti e ai professionisti è considerata una remunerazione in natura, soggetta a tassazione agevolata. Scopri quali sono i requisiti perché l’auto aziendale sia considerata ad uso promiscuo e come funzionano l’utilizzo e la tassazione di questo tipo di benefit.
Cosa significa auto ad uso promiscuo?
Come funziona?
La tassazione dell’auto ad uso promiscuo
Chi può usufruire dell’auto a uso promiscuo?
Auto ad uso promiscuo: chi paga la benzina?
Auto ad uso promiscuo e buoni carburante
Auto aziendale ad uso promiscuo e maternità
Cosa significa auto ad uso promiscuo?
Prima di vedere come funziona questo benefit, cerchiamo di capire cosa significa “auto ad uso promiscuo” e cosa la differenzia dall’auto ad uso aziendale e dall’auto ad uso esclusivamente privato.
Ognuna di queste tre modalità di fruizione dell’auto aziendale, infatti, comporta obblighi e agevolazioni diverse sia per il lavoratore, sia per il datore di lavoro.
Iniziamo dalla definizione che ci riguarda più da vicino: quella di auto ad uso promiscuo. Con questo termine si intende l’utilizzo dell’auto aziendale da parte del dipendente sia per esigenze lavorative, sia per esigenze personali, quindi anche al di fuori dell’orario lavorativo (ad esempio il sabato e la domenica o nei giorni di vacanza), senza che quest’ultimo debba sostenere i costi di acquisto o di gestione.
Quando l’auto è ad uso aziendale, invece, il dipendente può usarla solo ed esclusivamente in ambito lavorativo e non durante il tempo libero.
Quello dell’auto ad uso personale è un caso piuttosto raro, che prevede la fruizione a titolo esclusivamente privato di un’auto fornita dall’azienda al dipendente.
A seconda del caso, il benefit erogato dall’azienda comporta anche diverse modalità di tassazione.
Come funziona?
L’auto aziendale ad uso promiscuo è il caso più tipico, per quanto riguarda l’erogazione di questo tipo di fringe benefit. Il suo funzionamento segue delle regole ben precise, contenute nel contratto individuale stipulato tra l’azienda e il dipendente che ne usufruisce.
Le aziende che intendono offrire l’uso dell’auto aziendale come benefit ai propri dipendenti stipulano un contratto di noleggio a lungo termine o di leasing con un concessionario per ottenere le autovetture da fornire ai lavoratori. In seguito, viene stipulato un altro contratto, tra l’azienda e il dipendente, per regolamentare i termini di utilizzo del mezzo.
Tale concessione può avvenire sia in sede di assunzione, sia quando il rapporto di lavoro è già in essere: in entrambi i casi, essa viene regolamentata dal contratto individuale stipulato tra il dipendente e il datore di lavoro.
Nel contratto di assegnazione si possono trovare, tra le altre, tutte, o alcune, di queste voci:
l’indicazione che l’auto è data in concessione al dipendente sia per lo svolgimento delle sue mansioni durante l’orario di lavoro, sia per uso personale;
se altre persone, oltre al dipendente, hanno diritto ad usare l’auto;
a quali obblighi deve sottostare l’utilizzatore dell’auto (ad esempio, il rispetto delle norme del Codice della Strada o l’obbligo di occuparsi della manutenzione o revisione del veicolo);
se il dipendente debba o meno versare una quota all’azienda per l’uso del veicolo.
La tassazione dell’auto ad uso promiscuo
L’auto ad uso promiscuo, essendo un fringe benefit, cioè una prestazione in natura concessa al lavoratore in aggiunta al compenso ordinario, è esclusa solo parzialmente dalla tassazione.
Per calcolare in maniera esatta la quota di benefit che andrà a comporre il reddito imponibile, che sarà quindi assoggettata sia all’IRPEF, sia all’imposizione contributiva, si usano come riferimento le tabelle ACI, che vengono aggiornate ogni anno, in concomitanza con l’emissione della nuova legge di bilancio.
Questo perché, per la tassazione di questa determinata tipologia di fringe benefit, si fa valere il valore convenzionale del bene (cioè un importo forfettario), e non quello definito normale. Nel caso specifico, il valore del bene assoggettato a tassazione è pari al 30% dell’importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15.000 km annui, calcolato sulla base del costo chilometrico indicato nelle tabelle.
Per eseguire il calcolo corretto della percentuale che verrà inserita in busta paga, il datore di lavoro dovrà ripartire l’importo previsto dalle tabelle ACI sul numero di giorni in cui al dipendente è concesso l’uso del veicolo.
Facciamo un esempio pratico. Al lavoratore viene concessa in uso promiscuo una Jeep Renegade 1300 T4 da 150 cavalli. Il costo chilometrico convenzionale di questa vettura, nelle tabelle ACI in vigore per il 2020, è di 0,5338 euro che, moltiplicato per 15.000, dà un totale di 8.007 euro. Di questi, il 30 %, cioè 2.402,01 euro, finiranno nella busta paga del lavoratore. Supponiamo che il dipendente abbia in uso l’auto per 25 giorni al mese: in busta paga, ogni mese, verrà indicato un importo di 200,16 euro, che sarà soggetto al pagamento di IRPEF e contributi.
In alcuni casi, al dipendente viene richiesto dal datore di lavoro il pagamento di un indennizzo per l’uso privato dell’auto fornita in dotazione dall’azienda: in questo caso, il costo dell’indennizzo viene sottratto dal valore convenzionale indicato in busta paga.
Se, ad esempio, al lavoratore venisse richiesto il pagamento di un indennizzo di 50 euro al mese, l’importo che figura in busta paga non sarebbe più di 200,16 euro, ma di 150,16 euro.
Dal mese di luglio 2020, la quota di valore convenzionale da attribuire al lavoratore in busta paga diminuisce al 25% se gli viene assegnata un’auto poco inquinante. Se, invece, il veicolo è considerato altamente inquinante, l’importo che viene indicato in busta paga può andare dal 30 al 50 per cento del valore convenzionale.
Chi può usufruire dell’auto ad uso promiscuo?
In teoria, possono usufruire dell’auto ad uso promiscuo sia il dipendente, sia i suoi familiari, purché i loro nomi siano inseriti nell’assicurazione stipulata dall’azienda. Non tutte le imprese, però, concedono questa possibilità al lavoratore.
Solitamente, nel contratto di assegnazione, è specificato se il suo uso è riservato solamente al lavoratore oppure se è esteso anche ai familiari.
Auto ad uso promiscuo: chi paga la benzina?
Il pagamento dei costi sostenuti per il carburante dell’auto aziendale ad uso promiscuo spetta in parte al dipendente, in parte al datore di lavoro.
Quando il lavoratore utilizza l’auto aziendale per lavoro, ha diritto ad ottenere un rimborso delle spese sostenute per l’acquisto del carburante. Rimborso che, tuttavia, non viene erogato in base alle ricevute che certificano la spesa sostenuta dal dipendente.
Anche in questo caso, vengono in soccorso di aziende e lavoratori le tabelle ACI, questa volta relative ai costi chilometrici. Queste tabelle sono quelle che i datori di lavoro utilizzano per calcolare la quota convenzionale che costituirà il rimborso del carburante che spetta al dipendente a cui è assegnata l’auto.
Auto ad uso promiscuo e buoni carburante
Anche nel caso in cui il lavoratore utilizzi l’auto per questioni personali, e quindi non abbia diritto ad ottenere un rimborso del carburante acquistato, può comunque ammortizzare il costo del carburante se, tra i fringe benefit che gli vengono concessi, ci sono anche i buoni carburante.
I dipendenti che ricevono dall’azienda i buoni carburante, infatti, possono utilizzarli anche per pagare il rifornimento dell’auto aziendale.
Chi utilizza i voucher Cadhoc di Day, inoltre ha la possibilità di convertirli in buoni carburante seguendo una semplice procedura online. Dopo averli convertiti, il lavoratore può utilizzare i suoi buoni per fare rifornimento nelle catene Q8 e IP.
Auto aziendale ad uso promiscuo e maternità
Cosa succede quando una lavoratrice che usufruisce dell’auto aziendale ad uso promiscuo va in maternità? Il benefit può essere revocato e la quota di valore convenzionale inserita in busta paga può venire sospesa?
Molte lavoratrici si pongono queste domande, spesso perché l’azienda per cui lavorano chiede loro la restituzione del mezzo durante il periodo di maternità.
I fringe benefit, essendo regolamentati da un contratto, non possono essere revocati in maniera unilaterale dall’azienda quindi la lavoratrice in maternità avrà comunque diritto all’uso dell’auto e sarà tenuta al pagamento delle tasse sulla quota di valore convenzionale computata in busta paga.
Nel caso in cui l’azienda chieda alla lavoratrice la restituzione del veicolo durante il periodo della maternità, essa sarà tenuta a corrisponderle un’indennità su base mensile.